XI. Se di Bichina il cor fosse diamante Ma s' ella un poco mi stesse ad udita, Ed io avessi l'ardir di parlare, Direi come son sua spene incarnita . E poi le direi com' io son sua vita, Ed altre cose ch' io non vo' contare; Parmi esser certo, che ella direbbe XII. ita. Babbo Bichina, Amore e mia Madre M' hanno già come tordo a siepe stretto : Prima vo' dir ciò che mi fa mio Padre, Che ciascun dì da lut son maledetto. Bichina vuol le cose si leggiadre Che non le fornirebbe Macometto : Amor mi fa invaghir di sì gran ladre, Che par che sien figliuole di Gajetto. Mia Madre lassa per la non potenza, Sicchè lo debbo aver per ricevuto, Poich' io so chiaramente la sua intenza L' altrier vedendo lei, dielle un saluto Per discacciar la sua malevoglienza; Sì disse; va figliuol, che sie fenduto . XIII. Qual è senza denari innamorato Faccia le forche, e appicchisi se stesso: Qual'è la ragion perch' io non m' appicco? Un pensiero, che molto mi par vano : Ch' io ho un padre vecchio e molto ricco : Che attendo pur che muora a mano a mano, E dee morir quando lo mar sia sicco : Fallo Dio per mio strazio essere sano . XIV. Senno non vale a cui fortuna è conta; Nè giova senno ad uomo infortunato ; Nè gran savere ad uomo non sormonta Se a fortuna non piace e non n'è a grato. Fortuna è quella, che discende e monta; Ed a cui dona, ed a cui toglie stato: Fortuna onora e fa vergogna ed onta; E fa parer saggio uomo avventurato . E spesse volte ho veduto avvenire Che usar senno è tenuto in follia, Ed aver preggio per non senno usare Ciò che a fortuna è dato a provvedere Non può fallire e mestier è che sia; Saggio tengo chi sa temporeggiare. XV. Meglio so cavezzar in su d'un letto Che nessun uom che vada su due piedi : Che in prima fo degli altrui denar miei Udirete poi com' io mi assetto : Che in una cheggio per maggior diletto Essere in braccio stretto di colei In cui l'anima el cor e 'l corpo dei E poi quando mi trovo in su la mente Di queste cose, ch' io m'ho millantato Fo mille morti il dì e sto dolente. te, E tutto il sangue mi sento turbato, Un denaro " XVI. non che far cottardita, E non avrò già tanto alla mia vita Che andando per la via ogni uom m' addita . E far tutte le morti ad una vorta: Ch' io ne fo bene cento milia il dia, Ma solo il gran peccato mi sconforta. XVII. o quanto Chi non sente d' Amor o tanto E la sua vita staria giojosa, XVIII. Qualunque ben si fa naturalmente, Nasce d' Amor come dal fiore il frutto, Perchè Amor fa l'uomo esser valente Ancor fa più, che nol trova sì brutto: Che per lui non si adorni immantinente, E non par desso poi, sì 'l muta tutto; Dunque può dire bene veramente Che chi non ama sia morto e distrutto . Ch'uomo val tanto , quanto ha in se bontate. E la bontà senza Amor non può stare, Dunque ben ho io usato veritate. Or va sonetto senza dimorare A tutti innamorati , e innamarate Vol. II. X XIX. che onore, Chi dice del suo Padre altro La lingua gli dovrebbe esser tagliata, Perche son sette le mortal peccata, Ma infra l'altre quello è lo maggiore S'io fossi prete, o pur frate minore Al Papa fora la mia prima andata E direi; Padre Santo una crociata Si faccia in dosso a chi lor fa disnore . Es' alcuo fosse per lo suo peccato, Che in quello stallo gli venisse a mani, Vorrei che fosse cotto e poi mangiato. Dagli uomin nò ma da' lupi e cani Dio mel perdoni, ch' io non ho già usato Motti non bei ma rustici e villani. XX. Oimè d Amor che mi dicesti reo, |