LI. Ahimè ch' io veggio per entro un pensiero L'anima stretta nelle man d' Amore Che legata la tien nel morto cuore Battendola sovente, tanto è fiero; Ond' ella morte chiama volentiero Traggendo guai per lo gran dolore Che sente degli suoi colpi spess' ore Quando davante si volge lo vero Per tragger li miei spiriti d' erranza, LII. Una Donna mi passa per la mente Che della sua virtù non è possente ; E vo pensoso negli miei desiri, LIII. Madonna la beltà vostra infollio ་ Sì che nel primo assalto l'abbattio Poscia entrò nella mente e fu signore, E prese l'alma che fuggia di fore, Mosse quella follia, ond è il cuor morto, se non vincesse il torto. LIV. Poscia ch' io vidi gli occhi di costei Non membr altr intelletto, che d' Amore L'anima mia, che presa è dentro al core Dal spirito gentil che parla in lei; E consolando lei dice: tu déi Esser allegra, poi ti faccio onore, Ch' io ti ragiono dello suo valore ; Onde son dolci gli sospiri miei; Per ch' in dolcezza d' esto ragionare, Si muovono da quella, ch' allor mira Questa Donna gentil, che 'l fa parlare ; E vedesi da lei signoreggiare Chè sì valente ch' altro non desira Ch' alla sua signoria soggetta stare. LV. Egli è tanto gentil' ed alla cosa ch' esce di lei nel mio core, La vertù e divien paurosa, E sempre ne dimora in tal tremore, andrà pietanza, E chi le conterà la morte mia Celato in guisa tal che lo credesse ? Non so ch' Amor medesmo n' ha dottanza, Ed ella già mai creder nol potria, LVI. Bella, e gentile, amica di pietate, Valente Donna voi degna d'onore Veggiano gli occhi vostri, e 'l dolce cuore, Il pietoso, che vien pien d'umiltale A ridolersi della gravitate E del peccato, che fa 'l mio Signore, Onde ne cresce tanto il mio dolore Ch' io piango e son di morte in potestate. Ed appare una Donna, che le 'nferra Dentro un luoco, che sospir talvolta L'affliggon si ched io ne caggio in terra. LVII. Senza tormento di sospir non vissi Nè senza veder morte un' ora stando Fui poscia, che' miei occhi riguardando Alla beltate di Madonna fissi ; Come ch' io non credea, che tu ferissi, Amore altrui, quando 'l vai lusingando E sol per isguardar meravigliando In cosi mortal lancia il cor m' aprissi; Anzi credea , che quando tu uscissi Di si begli occhi apportassi dolciore Non già che fossi amaro e fier signore, Ne che 'n guisa cotal tu mi tradissi Che fai sollazzo dello mio dolore Vedendo uscir le lagrime dal core. LVIII. Ogn' allegro pensier, ch' alberga meco, Si come peregrin giunge, e va via, sei ragiona della vita mia, Intendol sì, com' fa 'l Tedesco il Greco . Ahi doloroso me! chi mi soccorre ? Ben veggio mi convien morir del pianto, Che non si può, per nulla cosa Vol. II. torre LIX. ch' io veggio, ch' una Dunna viene Ahimè Per quella Donna, che sen' ira forte Come colei, che sel pone in disnore Onde assalir lo vien si ch' ei ne more LX. Veduto han gli occhi miei sì bella cosa Che dentro dallo cor dipinta l'hanno; E se per veder lei tuttor non stanno Insin che non la trovan non han posa : E fatto han l' alma mia si amorosa, Che tutto corro in amoroso affanno E quando col suo sguardo scontro fanno Toccan lo cuor che sovra 'l ciel gir osa . Fanno nel cielo gli occhi al mio cor scorta Fermandol nella fè d' Amor più forte, Quando riguardan lo suo nuovo viso ; E tanto passa 'n su 'l desiar fiso Che 'l dolce imaginar gli daria morte, Sei non fosse Amor poi, che lo conforta. |