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LXXI.

Io fui 'n su l'alto e 'n sul beato monte,
Ov' adorai baciando il santo sasso ?
E caddi 'n su quella pietra, ohimè lasso!
Ove Onesta pose la sua fronte

E ch' ella chiuse d'ogni virtù 'l fonte
Quel giorno, che di morte acerbo passo
Fece la Donna dello mio cor lasso
Già piena tutta d' adornezze conte .

Quivi chiamai a questa guisa Amore:
Dolce mio Dio, fa' che quinci mi traggia
La morte a se che qui giace il mio core.
Ma poi che non m' intese il mio Signore,
Mi dipartii pur chiamando Selvaggia.
L'alpe passai con voce di dolore.

LXXII.

A M. AGÁTON DRUSI

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Ciò che procede di cosa mortale Per natura conviene ch' arrivi a morte Perch' a lei contra uman poter non vale Nè manco a lei senno o bellezza forte; Ed è questo sì crudo e duro male Che vita stringe d' esta umana sorte, E spesse volte gioventute assale Ed a ciascuna età rompe le porte;

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Ne si può racquistar mai con preghiera Nè con tormento di doglia, o di pianto Ciò che divora esta spietata fiera

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Però dopo 'l dolor, che v' ha cotanto
Fatto bagnar di lagrime la ciera,
Ben vi dovreste rallegrare alquanto.

LXXII.

A DANTE

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Dante io ho preso l'abito di doglia E innanzi altrui di lagrimar non curo, Che 'l vel tinto, ch' io vidi, e'l drappo scuro, D'ogni allegrezza e d' ogni ben mi spoglia; Ed il cor m' arde in desiosa voglia Di pur doler mentre che 'n vita duro Tal ch' Amor non può rendermi sicuro Ch'ogni dolor in me più non s' accoglia Dolente vo pascendo i miei sospiri, Quanto posso inforzando 'l mio lamento Per quella, in cui son morti i miei desiri ; E però se tu sai nuovo tormento Mandalo al desioso de' martiri Che fie albergato di coral talento

LXXIV.

AL MEDESIMO .

Signor, e' non passò mai peregrino
Over d' altra maniera viandante
Con gli occhi sì dolenti per camino,
Nè così grevi di pene cotante,

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Com' io passai per il monte Apennino, Ove pianger mi fece il bel sembiante Le trecce bionde e'l dolce sguardo fino Ch' Amor con la sua man mi pone avante ; E con l'altra in la mente mi depinge Un piacer simile in sì bella foggia, Che l'anima guardandol se n'estinge; Poscia dagli occhi miei mena una pioggia, Che 'l valor tutto di mia vita stringe > Sio non ritrovo lei cui 'l voler poggia

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Vol. II.

D d

LXXV.

A EMANUEL EBREO.

Quando ben penso al picciolino spazio

Che l'uom del viver ci ha, poi che Dio vuole,
Assai di te, più che d altrui

mi ducle
Ond io mai del ben far mi veggio sazio.
È morto Cesar morio Bonijuzio,
E morti son gran maestri di scuole ;
Morto veggiam chi maggior esser suole ;
E così 'l viver nostro è uno strazio .
Dunque qualche via buona è da tenere
Amare Dio > e seguitur virtute,
Lassar onore, e dispregiar avere

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E dell' offese fatte aver pentute,
Ogni contrario in pace sostenere:
Così dopo la morte avrem salute;
Quel, che non hanno l'anime perdute

LXXVI.

AD AG ATON DRUSI DA PISA .

Druso se nel partir vostro in periglio
Lassaste 'l nido in preda de' tiranni
Son di gran lunga poi cresciuti i danni,

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El Arno al mar n' andò bianco e vermiglio;
Ond' io m' ho preso un volontario essiglio

Da che qui la virtù par si condanni,
E per più presto gir preparo i vanni,
Perch' al vostro giudizio buon m' appiglio .
Duolmi, che verso 'l Po spingemi un vento`,
E non là, dove sete; or che puoi farmi
Fortuna, dico, e 'n qual parte mi guidi?
Risponde: Ove sarai sempre scontento

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E converrà, che d' Amor ti disarmi ;
E non so in questo com' io non m' uccidi.

LXXVII.

AL MEDESIMO .

Se tra noi puote un natural consiglio
Nelle dubbie speranze e negli affanni
Vaglino i miei. che già molti e molt' anni
Sagrarno alla Fortuna il petto e 'l ciglio;
Ed alla fin costretto dall' artiglio

Di quella, ch' ognor sembia al mondo inganni,
Lasciai la Patria, e gli onorati scanni
El securo cammin di vertù piglio

D'aver

Sona tranquillo tiemmi, e son contento D' aver fuggito 'l sangue, il foco, e l'armi, Per cui la gloria muor de Toschi lidi.

Voi ch' aspettate? Di morte 'l talento So ch' averete; e già d' intender parmi Novella rea de' vostri ultimi stridi.

LXXVIII.

AL MEDESIMO .

Signor, io son colui, che vidi Amore
Che mi ferì sì ch' io non camperoe,
E sol però così pensoso voe
Tenendomi la man presso lo core:

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Io sento in quella parte tal dolore
Che spesse volte dico, ora morroe;
E gli atti, e gli sembianti, ch' io foe
Son come d'un, che 'n gravitate more
Io morrò 'n verità, ch' Amor m' ancide
Che m' assalisce con tanti sospiri
Che l'anima ne va di fuor fuggendo ;

Es' io la 'ntendo ben dice che vide
Una Donna apparir ai miei desiri
Tanto sdegnosa, che ne va piangendo.

EXXIX.

AL MEDESIMO .

Lasso, pensando alla destrutta valle Spesse fiate del mio nazio Sole,

Cotanto me n' accendo

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e me ne dole

Che 'l pianto al core 'n sin dagli occhi válle;
E rimembrando delle nuove talle
Ch' ivi son delle piante di Vergiole
Più meco l'alma dimorar non vuole
Se la speranza del tornar gli falle ;

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E senza creder d' aver frutt' omai Sol di vedere il fior era 'l diletto Nè ad altro, ch' a quel, già mai pensai; E se creder non voglio in Macometto Dunque, Parte crudel, perchè mi fai Pena sentir di quel, ch' io non commetto?

LXXX.

A CECCO D'ASCOLI

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Cecco io ti prego per virtù di quella
Ch'è della mente tua pennello, e guida,
Che tu scorra per me di stella in stella
Nell' alto ciel, seguendo la più fida;
E di chi m' assecura e chi mi sfida
E qual per me è laida, e qual bella;
Perchè rimedio la mia vita grida,
E so da tal giudizio non appella :

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E se m' è buon di gire a quella pietra
Dov'è fondato il gran tempio di Giove,
O star lungo 'l bel Fiore, o gire altrove ;
O se cessar della tempesta tetra

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Che sopra 'l genital mio terren piove;
Dimmelo o Tolomeo che 'l vero trove.

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