LXXXI. AL MEDESIMO Non credo che 'n Madonna sia venuto E però vo come quel, che è smarruto Che dimanda mercede, e non sa a cui cui, E porto dentro agli occhi un cor feruto, Che quasi morto si dimostra altrui. I' non ispero mai se non pesanza, Ch' ella ha preso disdegno ed ira forte Di tutto quel, che aver dovria pietanza; Ond io me ne darei tosto la morte Se non ch Amor, quand' io vo in disperanza, Te mi dimostra simile in sua corte. LXXXII. A DANTE · Poi ch' io fui, Dante dal mio natal sito Per greve essilio fatto peregrino E lontanato dal piacer più fino E se trovať ho di lui alcun vicino Dett' ho, che questo m' ha lo cor ferito : LXXXIII. AL MEDESIMO . Naturalmente chere ogn' amadore In ciò che dello tuo ardente core LXXXIV. A M. ONESTO BOLOGNESE . Messer, lo mal che nella mente siede E pone e tiene sopra 'l cor la pianta Quand' ha per gli occhi sua potenza spanta, Di dar se non dolor, già mai procede, E questo è 'l frutto, che m' ha dato e diede, Poscia ched io provai ( dolente) quanta E la sua signoria, che voglia manta Mi dà di morte, seguendo sua fede. Providenza non ha ma pur ancide; E se per voi vertù è morta, e 'nfranta, Fortuna è solo che contro le siede ; Ma di tanta vertù quella s' ammanta Ch' Amor siccome in suo soggetto riede Ch' a voi promette già più d' altrettanta. LXXXV. AL MEDESIMO Anzi che Amore nella mente guidi So LXXXVI. AL MEDESIMO . Se mai leggesti gli scritti d' Ovidi D' Amor puoi dire se lo ver non cele Ch' egli è di nobil cuor dottrina ed arte, E tue vertù son con le sue scoperte . Io sol conosco 'l contrario del mele Ch io l'assaporo ed honne pien le quarte, Così stess' io in più pietosa parte LXXXVII. Deh Gerarduccio com' campasti tue Che non monisti allor subitamente Che tu ponesti a quella Donna mente, Dunque fu quello grazioso punto, Ciò che t' incontra, omai ti dei tenere LXXXVIII. A LEMMO DA PISTOJA Cercando di trovar lumera in oro Di quel saper, cui gentilezza inchina in moro Ma più per quello, ch' io non trovo, ploro Per cui la vita natural s' affina, Lasso ! cotal pianeta mi destina, Più le mie pene fare'ti ancor conte Se poi non fusse che tu troppo gioja Ne prenderesti di ciò, che m' è noja. Ben porria, mio Signor anzi ch' io moja, Far convertir in oro un duro monte Che fatto ha già di pietra nascer fonte. LXXXIX. AI ROMANI . A che Roma superba, tante leggi Gli antichi fatti de' tuoi figli invitti XC. Donna d'un che muore, Non accorgete, Ei sen va sbigottito, e d'un colore Che 'l fa parere una persona morta, Con una doglia, che negli occhi porta Che d' aprirli in altrui non ha valore E quando alcun pietosamente il mira E e |