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XXIX.

Lo fin piacer di quello adorno viso Compose il dardo, che gli occhi lanciaro Dentro dallo mio cor, quando giraro Ver me, che sua biltà guardava fiso : Allor senti' lo spirito diviso

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Da quelle membra, che se ne turbaro
E quei sospiri, che di fore andaro,
Dicean piangendo che 'l core era anciso.
Là u' di poi mi pianse ogni pensiero
Nella mente dogliosa, che mi mostra
Sempre davanti lo suo gran valore;
Ivi un di loro in questo modo al core
Dice: pietà non è la vertù nostra,
Che tu la truovi; e però mi dispero .

XXX.

E' non è legno di sì forti nocchi,
Nè anco tanto dura alcuna pietra;
Ch' esta crudel, che mia morte perpetra
Non vi mettesse amor co' suoi begli occhi.

Or dunque, s'ella incontra uom, che l' adocchi,
Ben gli de' 'l cor passar, se non s' arretra ;
Onde 'l convien morir; che mai no' impetra
Mercè, che 'l suo dever pur si spannocchi.
Deh! perchè tanta vertù data fue

Agli occhi d' una Donna così acerba,
Che suo fedel nessuno in vita serba ?
Ed è contr' a pietà tanto superba

Che, s' altri muor per lei, nol mira piue,
Anzi gli asconde le bellezze sue?

XXXI.

Ben dico certo, che non è riparo, Che ritenesse de' suo' occhi il colpo : E questo gran valore io non incolpo ; Mal duro core d ogni mercè avaro, Che mi nasconde il suo bel viso chiaro; Onde la piaga del mio cor rimpolpo, Lo qual niente lagrimando scolpo, Nè muovo punto col lamento amaro. Così è tutta via bella, e crudele D'amor salvaggia, e di pietà nemica; Ma più m' incresce, che convien, ch' io'l dica, Per forza del dolor, che m' affatica; Non perch' io contr' a lei porti alcun fele: Che vie più, che me l'amo, e son fedele ;

XXXII.

Io son sì vago della bella luce

Degli occhi traditor, che m' hanno occiso;
Che là, dov' io son morto, e son deriso,
La gran vaghezza pur mi riconduce:

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E quel che pare, e quel che mi traluce
M' abbaglia tanto l'uno e l'altro viso,
Che da ragione, e da vertù diviso
Seguo solo il disio, com' ei m' è duce:

Lo qual mi mena pien tutto di fede
A dolce morte sotto dolce inganno
Che conosciuto solo è dopo il danno :

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E mi duol forte del gabbato affanno ; Ma più m' incresce (lasso) che si vede Meco pietà tradita da mercede .

XXXIII.

Io maladico il dì, ch' io vidi in pria La luce de' vostri occhi traditori

El punto,

che veniste in sù la cima Del core, a trarne l'anima di fori: E maladico l' amorosa lima

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Ch' ha pulito i miei motti e' be' colori, Ch' io ho per voi trovati e messi in rima Per far, che 'l mondo mai sempre v' onori E maladico la mia mente dura

Che ferma è di tener quel, che m' uccide; Cioè la bella, e rea vostra figura ;

Per cui Amor sovente si spergiura; Sicchè ciascun di lui e di me ride ; Che credo tor la ruota alla ventura

XXXIV.

Nelle man vostre Raccomando lo spirito E se ne va sì dolente

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o dolce Donna mia

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Lo mira con pietà, che 'l manda via .
Voi lo legaste alla sua signoria ;
Sicchè non ebbe poi alcun valore
Di poterlo chiamar, se non signore,
Qualunque vuoi di me quel vo', che sia.
che a voi ogni torto dispiace;
Però la morte che non ho servita

Io so

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Molto più m' entra nello core amara :
Gentil Madonna mentre ho della vita 2
Per tal ch' io mora consolato in pace,
Vi piaccia agli occhi miei non esser cara.

Vol. II.

D

XXXV.

Non accorgete voi d' un, che si smuore
E va piangendo, sì si disconforta ?
I prego voi se non ven siete accorta)
Che voi'l miriate per lo vostro onore;
Ei sen va sbigottito in un colore
Che 'l fa parere una persona morta ;
Con una doglia, che negli occhi porta,
Che di levargli già non ha valore:

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E quando alcun pietosamente il mira
Il cuor di pianger tutto si distrugge
E l'anima ne duol, sì che ne stride :
E se non fosse, ch' egli allor si fugge;
Si alto chiama a voi, poichè sospira,

Ch' altri direbbe or sappiam, chi l'uccide.

XXXVI..

Se vedi gli occhi miei di pianger vaghi Per novella pietà che 'l cor mi strugge;

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Per lei ti priego, che da te non fugge
Signor, che tu di tal piacere isvaghi

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Con la tua dritta man; cioè, che paghi Chi la giustizia uccide, e poi rifugge Al gran tiranno del cui tosco sugge, Ch' egli ha già sparto, e vuol che 'l mondo alE messo ha di paura tanto gielo (laghi ; Nel cuor de' tuoi fedei, che ciascun tace: Ma tu, fuoco d'amor, lume del cielo, Questa vertu che nuda e fredda giace, Levala sù vestita del tuo velo;

Che senza lei non è in terra pace

XXXVII.

Molti volendo dir, che fusse Amore, Disser parole assai; ma non potero Dir di lui in parte, ch' assembrasse il vero. Ne diffinir qual fosse il suo valore:

Ed alcun fu, che disse
che disse, ch' era ardore

Di mente imaginato per pensiero :
Ed altri disser ch' era desidero

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Di voler, nato per piacer del core:

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Ma io dico ch' Amor non ha sustanza Nè è cosa corporal, ch' abbia figura ; Anzi è una passione in disïanza;

Piacer di forma dato per natura, Sicchè 'l voler del core ogni altro avanza ; E questo basta finchè 'l piacer dura.

XXXVIII.

Per quella via, che la bellezza corre Quando a destare Amor va nella mente, Passa una donna baldanzosamente " Come colei, che mi si crede torre : Quand' ella è giunta a piè di quella torre Che tace, quando l'animo acconsente Ode una boce dir subitamente;

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Levati, bella donna
bella donna, e non ti porre;
Che quella donna che di sopra siede
Quando di signoria chiese la verga,
Come ella volse, Amor tosto la diede:
E quando quella accomiatar si vede
Di quella parte,
dove Amore alberga,
Tutta dipinta di vergogna riede.

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