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XXXIX.

Dagli occhi belli di questa mia Dama Esce una vertù d' Amor si pina

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Ch' ogni persona, che la ve', s' inchina

A veder lei; e mai altro non brama.

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Billate, e cortesia sua Dea la chiama :
E fanno ben ch' ella è cosa sì fina,
Ch' ella non pare umana anzi divina;
E sempre sempre monta la sua fama

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Chi l'ama, come può esser contento " Guardando le vertù che 'n lei son tante; Es tu mi dici come 'l sai ? che 'l sento: Ma se tu mi domandi e dici; quante?

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Non t'il so dire; che non son pur cento
Anzi più d' infinite, e d' altrettante

XL.

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.

Da quella luce, che 'l suo corso gira
Sempre al volere dell' empiree sarte
E stando regge tra Saturno, e Marte;
Secondo che lo Astrologo ne spira;

Quella, che in me col suo piacer ne aspira Dessa ritragge signorevol' arte;

E quei, che dal ciel quarto non si parte,
Le dà l' effetto della mia desira;

Ancor quel bel pianeta di Mercuro
Di sua vertude sua loquela tinge;
El primo ciel di se già non l'è duro :
Colei, che 'l terzo ciel di se costringe,

Il cor le fa d' ogni eloquenza puro:
Così di tutti i sette si dipinge.

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XLI.

Ai lasso! ch' io credea trovar pietate,
Quando si fosse la mia Donna accorta
Della gran pena, che lo mio cor porta :
Ed io truovo disdegno, e crudeltate
Ed ira forte in luogo d'umiltate;

Si ch' io m' accuso già persona morta';
Ch' io veggio che mi sfida, e mi sconforta

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Ciò, che dar mi dovrebbe sicurtate .

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Però parla un pensier, che mi rampogna, Com' io più vivo no' sperando mai Che tra lei, e pietà pace si pogna: Onde morir pur mi conviene omai; E posso dir, che mal vidi Bologna; E quella bella Donna ch' io guardai.

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XLII.

Madonne deh vedeste voi l' altrieri
Quella gentil figura, che m' ancide?
Io dico che quand ella un po' sorride
Ella distrugge tutti i miei pensieri:

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Si che giugne nel cuor colpi sì fieri,
Che della morte par, che mi disfide:
Però Madonne, qualunque la vide
Se l'encontrate per via ne' sentieri

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Restatevi con lei per pietate;

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E umilmente la facele accorta,
Che la mia vita per lei morte porta :
E, s'ella vuol che sua mercè conforta
L'anima mia piena di gravitate;

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A dirlo a me lontano lo mandate.

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XLIII.

Voi donne, che pietoso atto mostrate, Chi è esta donna che giace si vinta ? Sare' mai quella, ch' è nel mio cor pinta? Deh! s ella è dessa, più non mel celate . Ben ha le sue sembianze sì cambiate E la figura sua mi par sì spenta, Ch' al mio parere ella non rappresenta Quella, che fa parer l' altre beate.

Se nostra Donna conoscer non puoi, Ch' è sì conquisa, non mi par gran fatto; Perocchè quel medesmo avvene a noi: Ma se tu mirerai al gentil atto

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Degli occhi suoi, cognoscera'la poi :
Non pianger più, tu sei già tutto sfatto.

XLIV.

Onde venite voi così pensose? Ditemelo s' a voi piace

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in cortesia :

Ch' io ho dottanza, che la Donna mia
Non vi faccia tornar così dogliose.

Deh! gentil donne, non siate sdegnose,
Nè di ristare alquanto in questa via
E dire al doloroso che disia

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Udir della sua Donna alcune cose;

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Avvegnachè gravoso m' è l'udire : Si m' ha in tutto Amor da se scacciato, Chi ogni suo atto mi trae a ferire:

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Guardate bene, s' io son consumato Ch' ogni mio spirto comincia a fuggire Se da voi, donne donne, non son confortato..

XLV.

O Madre di virtute luce eterna ' Che partoriste quel Frutto benegno, Che l'aspra morte sostenne sul legno Per scampar noi dall' oscura caverna

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Tu del ciel, Donna, del mondo, Superna, Deh prega dunque il tuo Figliuol ben degno Che mi conduca al suo celeste regno Per quel valor, che sempre ci governa Tu sai chente fu sempre la mia spene : Tu sai chente fu sempre il mio diporto Or mi soccorri, o infinito Bene.

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Or mi soccorri ch' io son giunto al porto, Il qual passar per forza mi conviene; Deh, non m' abbandonar, sommo Conforto

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Che se mai feci al mondo alcun delito L'alma ne piange, e 'l cor ne vien contrito . XLVI.

Di donne io vidi una gentile schiera
Quest' Ognissanti prossimo passato ;
Ed una ne venia quasi primiera
Seco menando Amor dal destro lato

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Dagli occhi suoi gittava una lumiera
La qual pareva un spirito infiammato ;
Ed i ebbi tanto ardir che la sua cera
Guardando vidi un Angiol figurato
A chi era degno poi dava salute
Con gli occhi suoi quella benigna e piana,
Empiendo il core d'ciascun di virtute.

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Credo, che in ciel nascesse esta soprana
E venne in terra per nostra salute;
Dunque beata chi l'è prossimana.

XLVI.

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Un di si venne a me melanconia
E disse voglio un poco stare teco;
E pare a me che si menasse seco
Dolor ed ira per sua compagnia

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Ed io le dissi partiti, va via;
Ed ella mi rispose, come un greco;
E ragionando a grand' agio meco.
Guardai, e vidi Amore che venia
Vestito di novo di un drappo nero,
E nel suo capo portava un cappello
E certo lacrimava pur da vero :

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Ed io gli dissi che hai, cattivello? Ed ei rispose: io ho guai, e pensero, Che nostra Donna muor, dolce fratello..

XLVIII.

A M. BRUNETTO LATINI

Messer Brunetto, questa pulzelletta Con esso voi si vien la pasqua a fare; Non intendete pasqua da mangiare, Ch'ella non mangia anzi vuol esser letta La sua sentenza non richiede fretta, Nè luogo di romor, nè da giullare; Anzi si vuol più volte lusingare Prima che in intelletto altrui si metta.

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Se voi non la 'ntendete in questa guisa, In vostra gente ha molti frati Alberti D' intender ciò, che porto loro in mano Color vme stringete senza risa E se gli altri de' dubbj non son certi Ricorrete alla fine a Messer Giano.

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