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Comincia efte parole,

Appreflo che avrai chiesta pietate:
Madonna, quegli, che mi manda a voi,
Quando vi piaccia, vuole,

Se egli ba fcufa, che la m'intendiate.
Amore è qui, che per voftra biltate
Lo face, come vuol, vifta cangiare,
Dunque, perchè gli fece altra guardare,
Penfatel voi, da ch' e'non mutò'l core.
Dille: Madonna, lo fuo core è ftato
Con si fermata fede,

Ch' a voi fervir l'ha pronto ogni penfiero:
Toto fu voftro, e mai non s'è(*) Smagato.
Se ella non te 'l crede,

D', che domandi Amore fe egli è vero.
Ed alla fine falle umil (2) preghiero :
Lo perdonare fe le foffe a noja,

Che mi comandi per messo, ch'ï' moja ;
E vedraffi (') ubbidire al fervidore.
dia (4) colei, ch'è d'ogni pietà chiave
Avanti, che () fdonnei,

Che le faprà contar mia ragion bona:
Per grazia della mia nota foave,
Riman tu qui con lei,

E delal qual verfo corrisponde nella rima, fare in ogni altro luogo delle rime il v. 2. pag. 23.

che fono fparfe in quefta Raccolta fervendo l' aver notato quefto pa folamente.

Madonna, quegli,chemi manda a voi. Speffe volte fi trovano ne' MSS. fimili definenze, le quali pare che ren- I non s'è smagato. Spagn. de dano alquanto alterata la rima; na mayado, perduto, confafo, Smarrie è da farere, che gli fcrittori delle 2 preghiero. Franz. priere, pri pot fie fcrivevano le voci nella loro ghiera e preghiero : demeure, dima ordinaria maniera, le quali poi, in leg-e dimoro: demands, dimanda e a gendofi, fi dovevano pronunziare ac-mando. cordate colla rina: onde in quefto luogo fi deve leggere manda à vui, per la fretta parentella, che l'o ha fempre avuta coll': e così fi deve

3 ubbidire al fervidore. al. ubbidi bon fervidore.

4 E dr a colei, al. a colui.
5 Avanti che SDONNEI. Il Ve

cabo

ma talora bagnava la mia faccia; onde io mi ricopria, con porre effo le mani agli occhi miei; e fe non foffe, ch'io intendea udie anche di lei, perocchè io era in luogo, onde se ne gía la maggior parte di quelle donne che da lei fi partivano; io mi farei afcofo incontanente, che le lagrime m'avevano affalito. E però, imorando ancora nel medefimo luogo, donne anche paffarono pref. o dime, lequali andavano ragionando tra loro queste parole: Chi ce mai effer lieta di noi, che avemo udita parlare questa donna osi pietofamente? Appreffo coftoro venivano altre, che venivano diendo: Quefti, che è qui, piagne, nè più, nè meno, come fe l' vesse veduta, come noi vedemmo. Altre dipoi dicevano di me : Fedrefti, che non pare effo, cotale è divenuto? E così paffando uefte donne, udii parole di me, e di lei in quefto modo, che detto onde io poi penfando, propuofi di dir parole, acciocchè degnamente avea cagione di dire; nelle quali parole io conchiudeffi tutto ciò, che udito avea da quefte donne. E perciocchè volentieri l'avrei domandate, fe non mi fosse stata riprenfione; prefi materia di die, come le io l'aveffi domandate, ed elle mi aveffero rifpofto: e eci due Sonetti, che nel primo domando in quel modo, che voglia ni giunfe di dimandare: nell'altro dico la loro rifponfione, piglianlo ciò che io udii da loro, come fe lo m'aveffer detto rifponlendo; e cominciai il primo:

Voi, che portate la fembianza umíle,

Co' gli occhi baffi mostrando dolore,
Onde venite, che'l vostro colore
Par divenuto (1) di pietà fimile?
Vedefte voi, noftra donna gentile

Bagnar nel vifo fuo di pianto Amore?
Ditelmi, donne, che'l mi dice il core;
Perch' io vi veggio andar fanza atto vile.·
E fe venite da tanta pietate,

Piacciavi di reftar qui meco alquanto:
E checchè fa di lei, non mi celate .
Io veggio gli occhi voftri, ch' hanno pianto:
E veggiovi venir si sfigurate,

Che'l cor mi trema di vederne tanto.

C

Que

Lipieàpi. al. di etra.

Amore ti ftrigue così, non è come l'altre donne, che leggi mente fi muova del fuo cuore. E ciafcuno mi combatteva tant che mi faceva ftare quafi come colui, che non fa per qual via F gli il fuo cammino, che vuole andare, e non fa onde fi vada. fe io penfava di volere cercare una comune via di coftoro, cioè là ove tutti s'accordaffero e questa era molto inimica ver me, cioè di chiamare, e di mettermi nelle braccia della pietà. E in quefto ftato dimorando, mi giunse volontà di fcrivere parole r mate, e diffine allora quefto Sonetto:

Tutti li miei pensier parlan d'Amore,

Ed banno in lor si gran varietate,
Ch' altro mi fa voler fua poteftate,
Altro folle ragiona il fuo valore;
Altro fperando m'apporta dolzore:
Altro pianger mi fa spesse fiate;
E fols' accordano in chieder pietate,
Tremando di paura, ch'è nel core.
Ond' io non fo, da qual materia prenda :
E vorrei dire; e non fo, ch'io mi dica:
Così mi trovo in amorofa erranza .

E fe con tutti vo' fare accordanza,

Convenemi chiamar la mia nimica,
Madonna la Pietà, che mi difenda.

Quefto Sonetto fi può dividere in quattro parti. Nella prima dic e propongo, che tutti li miei penfieri fono d'Amore. Nella fecon da dico che fono diverfi, e narro la loro diverfità. Nella terza di co, in che tutti par che s'accordino. Nella quarta dico che, vo lendo dire d'Amore, non fo da qual parte pigliar materia: ese al vo glio pigliar da tutti, convien ch'io chiami la mia nimica, (1) Ma donna Pietà ; e dico, Madonna, quafi per isdegnoso modo di parlare La feconda parte comincia: Ed hanno in loro. La terza : E So s'accordano. La quarta: Ond' io non fo.

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Appresso la battaglia de'diversi pensieri, avvenne che questa gentiffima venne in parte, ove molte donne gentili erano adunate. Alla qual parte io fui condotto per amica perfona ; credendofi fare ame grandiffimo piacere, inquanto mi menava laddove tante donne moftravano le loro bellezze. Onde io, quafi non fapendo a che io foffi menato, e fidandomi nella perfona, la quale un fuo amico alla estremità della vita avea condotto, diffi a lui: perchè femo noi venuti a queste donne? Allora egli mi diffe: per fare che elle fieno degnamente fervite. E vero è, che adunate quivi erano alla compagnia d'una gentil donna, che difpofata era il giorno; e però, fecondo l'ufanza della fopraddetta Città, conveniva che le faceffero compagnia nel primo federe alla menfa, che facea nella magione del fuo novello fpofo. Sicchè io, credendomi far piacere di questo amico, proposi di stare al servizio delle donne nella fua compagnia; e nel fine del mio proponimento mi parve fentire un mirabile tremore cominciar nel mio petto dalla finiftra parte, e diftenderfi sì di fubito per tutte le parti del mio corpo. Allora dico che io poggiai la mia perfona fimulatamente ad una pintura, la qual circundava quefta magione: e temendo, non altri fi foffe accorto del mio tremare, levai gli occhi, e mirando le donne, vidi tra loro la gentiliffima Beatrice. Allora furono si diftrutti i miei fpiriti per la forza, che Amor prefe, veggendofi in tanta propinquità alla gentiliffima donna, che non ne rimafe in vita più, che gli spiriti del vifo: ed ancora quefti rimafero fuori degli loro ftrumenti, perocchè Amore voleva ftare nel loro nobiliffimo luogo per vedere la mirabile donna; e avvengacchè io foffi altro, che prima, molto mi dolea di quefti fpiritelli, che fi lamentavano forte, e diceano: fe quefti non ci sfolgoraffono così fuori del noftro luogo, noi potremmo ftare a vedere la maraviglia di quefta donna, ficcome ftanno gli altri noftri pari. I'dico che molte di quefte donne, accorgendofi della mia transfigurazione, s'incominciarono a maravigliare e ragionando, figabbavano di me con quefta gentiliffima. Onde l'amico di buona fede, mi prefe per la mano, e traendomi fuori della veduta di queste donne, mi domandò che io aveffi? Allora io ripofato alquanto, e (*) refurreffiti limorti fpiriti miei, e li dif

cac

B 3 (1) Refurressiti, vuol dire riforti. Credo che vada coll'accento fulla pe

cacciati rivenuti alle loro poffeffioni, diffi a questo mio amico q fte parole: Io ho tenuti li piedi in quella parte della vita, di dalla quale non fi può ir più per intendimento di ritornare. E par tomi da lui, mi tornai nella camera delle lacrime, nella qual, pia gendo, e vergognandomi, fra me fteffo dicea: Se quefta don fapeffe la mia condizione, io non credo, che così gabbaffe lan perfona; anzi credo, che molta pietà ne le verrebbe. Ed in que pianto ftando, propofi di dire parole, nelle quali, parlando lei, fignificaffi la cagione del mio transfiguramento: e diceff che io fo bene, ch'ella non è faputa: e che fe foffe faputa, credo, che pietà ne giugnerebbe altrui; e propuofi di dirle, d fiderando che veniffero peravventura nella fua audienza; allora diffi quefto Sonetto:

Coll' altre donne mia vifta gabbate;

(') E non penfate, donne, onde fi mova,
Ch'io vi raffembri si figura nova,
Quando riguardo la vostra biltate.

Se lo fapefte, non porria pietate

Tener più contro a me l'ufata prova:
Che quando Amor si presso a voi mi trova,
Prende baldanza, e tanta ficurtate;

Che'l fier tra' miei spirti paurofi,

E quale ancide; e qual caccia di fora,
(2) Sicch' ei folo rimane a veder vui;

Ond' io mi cangio in figura d'altrui ;

Ma non sì, ch' io non fenta bene allora
Gli guai de' difcacciati tormentofi.

Questo Sonetto non divido in parti, perciocchè la divifione non fa, fe non per aprire la fentenzia della cofa divifa; onde, conciof fiacofachè per la fua ragione assai fia manifefto, non ha me ftiere di divifione. Vero è, che tralle parole, ove fi manifest la cagione di quefto Sonetto, fi truovano dubbiose parole; cioè quan

nultima fillaba. Manca nel Vocabo- penfate, donna. Jario.

(2) Sicch'ei folo rimane. al. Siceb'n (1) E non penfate, donne al. e non solo rimango. . Ch

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