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XXVIII.

Un amoroso sguardo spiritale

M'ha rinovato Amor tanto piacente

Che assai più che non suole uomo m'assale,
Ed a pensar mi stringe coralmente,

Ver la mia donna, verso cui non vale
Merzè, nè pietà, nè esser soffrente,
Che sovent' ore mi dà pena tale

Che 'n poca parte il cor la vita sente.
Ma quando sento che sì dolce sguardo
Per mezzo gli occhi passò dentro al core,
E posevi uno spirito di gioia,

Di farne a lei merzè giammai non tardo:
Così pregata fosse ella d' Amore

Che un po' di pieta no isasse noia.

XXIX.

Dante, un sospiro messagger del core
Subitamente m'assalt dormendo;
Ed io mi disvegliai allor temendo
Ched egli fosse in compagnia d'Amore.
Poi mi girai, e vidi il servitore
Di mona Laggia, che venia dicendo.
Aiutimi pietà, sì che dicendo

Io presi di pietà tanto valore,
Ch'io giunsi amore, che affilava i dardi.
Allor lo domandai del suo tormento,
Ed elli mi rispose in questa guisa:

Di al servente che la donna è presa,
E tengola per far suo piacimento,
E se noi crede, dì che agli occhi guardi.

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Io temo, che la mia disavventura

Non faccia sì, ch'io dica io mi dispero : Però ch'io sento nel cor un pensero, Che fa treinar la mente di paura. E par, ch' ei dica: Amor non t'assicura In guisa che tu possa di leggiero Alla tua Donna sì contare il vero, Che morte non ti ponga in sua figura. Della gran doglia, che l'anima sente, Si parte dallo core un tal sospiro, Che va dicendo: spiritei fuggite; Allor null' uom, che sia pietoso miro, Che consolasse mia vita dolente, Dicendo: spiritei non vi partite.

XXXI.

O tu, che porti negli occhi sovente
Amor tenendo tre saette in mano,
Questo mio spirto, che vien di lontano
Ti raccomanda l'anima dolente;

La qual ha già feruta nella mente

Di due saette l'arcier soriano,

E alla terza apre l'arco, ma sì piano, Che non m' aggiunge essendoti presente. Perchè saria dell' alma la salute,

Che quasi giace infra le membra morta Di due saette, che fan tre ferute. La prima dà piacere, e disconforta, E la seconda desìa la virtute

Della gran gioia, che la terza porta.

XXXII.

Se non ti caggia la tua Santalena
Giù per lo colto tra le dure zolle:
E venga a man di qualche villan folle,
Che la stropicci, e rendalati a pena;
Dimmi se 1 frutto, che la terra mena,
Nasce di secco, di caldo, o di molle:
E qual è vento, che l'ammorta, e tolle:
E di che nebbia la tempesta è piena.
E se ti piace, quando la mattina
Odi la voce del lavoratore,

E'l tramazzar dell'altra sua famiglia;
Io ho per certo, che se la Bettina
Porta soave spirito nel core,

Del nuovo acquisto spesso ti ripiglia.

BALLATE.

I.

Poichè di doglia cor convien ch'io porti,
E senta di piacere ardente foco,
Che di virtù mi tragge a sì vil loco;
Dirò come ho perduto ogni valore.

Io dico, che miei spiriti son morti,

E'l cor, c'ha tanta guerra, e vita poco:
E se non fosse, che'l morir m'è gioco,
Farene di pietà piangere Amore;

Ma per lo folle tempo, che m'ha giunto,
Mi cangio di mia ferma opinione

In altrui condizione;

Sicch'io non mostro quant' i' sento affanno,
Là 'ndio ricevo inganno:

Che dentro dallo cor mi passa amanza,
Che se ne porta tutta mia speranza.

II.

Io vidi donne con la Donna mia:
Non che niuna mi sembrasse Donna;
Ma simigliavan sol la sua ombria.
Già non la lodo, se non perch'è 'l vero,
E non biasimo, altrui, se m' intendete:
Ma ragionando muovesi un pensiero
A dir: tosto miei spiriti morrete.
Crudei, se me veggendo non piangete;
Che stando nel pensier gli occhi fan via
A lagrime del cor, che non la oblia.

111.

Se m'hai del tutto obliato mercede,
Già però fede il cor non abbandona ;
Auzi ragiona di servire a grato ́
Al dispietato core.

E qual ciò sente, simil me non crede;
Ma chi tal vede? certo non persona;
Ch' Amor mi dona un spirito in suo stato,

Che figurato more :

Che quando quel piacer mi strigne tanto, Che lo sospir si mova;

Par che nel cor mi piova

Un dolce Amor sì bono,

Ch' io dico: Donna tutto vostro sono

IV.

Vedete, ch'io son un, che vo piangendo
E dimostrando il giudicio d'Amore;
E già non trovo sì pietoso core,
Che me guardando una volta sospiri.
Novella doglia m'è nel cor venuta,

La qual mi fa dolere, e pianger forte:
E spesse volte avvien che mi saluta
Tanto d'appresso l'angosciosa morte,
Che fa in quel punto le persone accorte;
Che dicono infra lor: questi ha dolore;
E già, secondo che ne par di fore,
Dovrebbe dentro aver nuovi martirj.
Questa pesanza, ch'è nel cor discesa,
Ha certi spiritei già consumati,
I quali eran venuti per difesa

Del cor dolente, che gli avea chiamati:
Questi lasciaro gli occhi abbandonati,
Quando passò nella mente un romore
Il qual dicea dentro biltà che more;
Ma guarda che biltà non vi si miri.

V.

Veggio negli occhi della Donna mia
Un lume pien di spiriti d' Amore,
Che portano un piacer novo nel core,
Sicchè vi desta d'allegrezza vita .

Cosa m'avvien, quand' io le son presente,

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