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RIMECALIFORNIA

DI GUIDO CAVALCANTI

GIA EDITE.

SONETTI.

1.

Voi, che per gli occhi miei passaste al core,

E svegliaste la mente, che dormia
Guardate all'angosciosa vita mia,
Che sospirando la distrugge Amore:
E' va tagliando di sì gran valore,
Che i deboluzzi spiriti van via:
Campa figura nova in signoria,
E boce è quando mostra lo dolore.
Questa vertù d' Amor, che m'ha disfatto,
Da'yostri occhi gentil presta si mosse,
Lanciato m'ha d'un dardo entro lo fianco:
Sì giunse il colpo dritto al primo tratto,
Che l'anima tremando si riscosse,
Veggendo morto il cor nel lato manco.

11.

'vidi gii oechi, dove Amor si mise, Quando mi fece di sè pauroso,

Che mi sguardar, come fosse annoioso; Allora dico, che 'l cor si divise: E se non fosse, che Donna mi rise, Io parlerei di tal guisa doglioso, Ch' Amor medesmo ne faria cruccioso, Che fe l'immaginar, che mi conquise. Dal ciel si mosse un spirito in quel punto, Che quella Donna mi degnò guardare, E vennesi a posar nel mio pensiero : E li mi conta sì d'Amor lo vero, Che ogni sua vertù veder mi pare, Siccome fosse dentro al suo cor giunto.

111.

O Donna mia, non vedestu colui,
Che sullo core mi tenea la mano,
Quand' io ti rispondia fiochetto e piano
Per la temenza degli colpi sui?
El fu Amore, che trovando vui

Meco riflette, che venia lontano
A guisa d'uno arcier presto soriano
Acconcio sol per ancidere altrui :
E trasse poi degli occhi miei sospiri,
I quai si gittan dallo cor sì forte,
Ch'io mi partì sbigottito fuggendo:
Allor mi parse di seguir la morte,
Accompagnato di quelli martirj,

Che soglion consumare altrui piangendo.

IV.

S'io priego questa Donna, che pietade
Non sia nemica del suo cor gentile,
Tu dì, ch'io sono sconoscente, e vile,
E disperato, e pien di vanitade.
Onde ti vien sì nova crudeltade?

Già rassimigli a chi ti vede umile,
Saggia, e adorna, ed accorta, e sottile.
E fatta a modo di soavitade.

L'anima mia dolente, e paurosa

Piange nei sospiri, che nel cor trova,
Sicchè bagnati di pianto escon fore:
Allor mi par, che nella mente piova
Una figura di donna pensosa,
Che vegna per veder morir lo core.

V.

Gli miei folli occhi, che 'n prima guardaro Vostra figura piena di valore,

Fur quei, che di voi, Donna, m'accusaro
Nel fiero loco, ove tien corte Amore.
Immantenente avanti a lui mostraro,
Ch'io era fatto vostro servitore:
Perchè sospiri, e dolor mi pigliaro
Vedendo, che temenza avea lo core:
Menarmi tosto senza riposanza

In una parte, là 've trovai gente;
Che ciaschedun si dolea d'Amor forte.
Quando mi vider, tutti con pietanza
Dissermi; fatto sei di tal servente,

Che non dei mai sperare altro che morte.

VI.

Tu m'hai sì piena di dolor la mente,
Che l'anima sen briga di partire:

E gli sospir, che manda il cor dolente,
Dicono agli occhi, che non puon soffrire.
Amore, che lo tuo gran valor sente,
Dice: el mi duol, che ti convien morire
Per questa bella Donna, che neente
Par, che pietate di te voglia udire.
Io fo come colui, ch'è fuor di vita;

Che mostra a chi lo guarda, ched el sia Fatto di pietra, o di rame, o di legno:

E porto nello core una ferita,

Che si conduca sol per maestria,

Che sia, com' egli è morto, aperto segno.

VII.

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Chi è questa, che vien, ch'ogni uom la mira, E fa di clarità l'aer tremare,

E mena seco Amor, sicchè parlare
Null' uom ne puote, ma ciascun sospira?
Ahi Dio, che sembra, quando gli occhi gira?
Dicalo Amor, ch'io nol saprei contare;
Cotanto d'umiltà donna mi pare,
Che ciascun'altra in ver di lei chiam'ira.
Non si porria contar la sua piacenza ;
Ch'a lei s'inchina ogni gentil vertute,
E la beltate per sua Dea la mostra:
Non fu sì alta già la mente nostra,

E non s'è nosta in noi tanta salute:
Che propriamente n'abbiam conoscenza .

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