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111.

Perchè non furo a me gli occhi dispenti,
O tolti sì, che della lor veduta

Non fusse nella mente mia venuta

A dire ascolta se nel cor mi senti? Una paura di nuovi tormenti

M'apparve allor sì crudele, ed acuta, Che l'anima chiamò: Donna or ci aiuta; Che gli occhi, ed io non rimagniam dolenti. Tu gli hai lasciati sì, che venne Amore A pianger sovra lor pietosamente Tanto, che s' ode una profonda boce: La qual dà suon: chi grave pena sente Guardi costui, e vederà 'l suo core

Che morte il porta in man tagliato in croce.

1X.

A me stesso di me gran pietà viene

Per la dolente angoscia, ch'io mi veggio, Di molta debolezza: quand' io seggio, L'anima sento ricoprir di pene:

Tanto mi struggo, perch' io sento bene

Che la mia vita d'ogni angoscia ha 'l peggio:
La nova Donna, a cui mercede io chieggio,
Questa battaglia di dolor mantiene:
Perocchè quand' io guardo verso lei,
Drizzami gli occhi dello suo disdegno
Si fieramente, che distrugge il core:
Allor si parte ogni vertù da' miei;

Il cor si ferma per veduto segno,
Dove si lancia crudeltà d'Amore.

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Deh spirti miei, quando voi me vedite
Con tanta pena, come non mandate
Fuor della mente parole adornate
Di pianto doloroso, e sbigottite?
Deh, voi vedete, che'l core ha ferite
Di sguardo, di piacere, e d'umiltate:
Deh io vi priego, che voi 'l consoliate,
Che son da lui le sue vertù partite.
Io veggio a lui spirito apparire

Alto, e gentile, e di tanto valore,
Che fa le sue vertù tutte fuggire.
Deh, io vi priego, che deggiate dire
All'alma trista, che parla in dolore,
Com' ella fu, e fia sempre d'Amore.

XI.

Se mercè fosse amica a' miei desiri,
E'l movimento suo fosse dal core;
Di questa bella Donna il suo valore
Mostrasse la vertute a' miei martirj:
D'angosciosi diletti i miei sospiri,
Che nascon della mente, ov'è Amore,
E vanno sol ragionando dolore,
E non trovan persona, che gli miri;
Girieno agli occhi con tauta vertute,
Che'l forte, e duro lagrimar, che fanno,
Ritornarebbe in allegrezza e'n gioia:

Ma sì è al cor dolente tanta noia,

Ed all' anima trista tanto danno,

Che per disdegno uom non dà lor salute.

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Una giovene Donna di Tolosa

Bella e gentil, di onesta leggiadria,
Tant'è diritta, e simigliante cosa

Ne' suoi dolci occhi della donna mia,
Che fatto ha dentro al cor desiderosa

L'anima in guisa, che da lui si svia,
E vanne a lei; ma tanto è paurosa,
Che non le dice di qual donna sia .
Quella la mira nel suo dolce sguardo,
Nello qual fece rallegrare Amore,
Perchè v'è dentro la sua donna dritta.
Poi torna piena di sospir nel core,

Ferita a morte d'un tagliente dardo,
Che questa Donna nel partir le gitta.

XIII.

Per gli occhi fiere un spirito sottile,
Che fa in la mente spirito destare,
Dal qual si move spirito d'amare,
Ch'ogni altro spiritel si fa gentile.
Sentir non può di lui spirito vile;

Di cotanta vertù spirito appare:
Questo è lo spiritel, che fa tremare
Lo spiritel, che fa la Donna umile.
E poi da questo spirito si move

Un altro dolce spirito soave,
Che segue un spiritello di mercede;
Lo quale spiritel spiriti piove;

C'ha di ciascuno spirito la chiave
Per forza d'uno spirito che 'l vede.

XIV.

Avete in voi li fiori e la verdura,
E ciò, che luce, o è bello a vedere.
Risplende più che 'l Sol vostra figura;
Chi voi non vede, mai non può valere.
In questo mondo non ha creatura

Sì piena di beltà, nè di piacere:
E chi d' Amor temesse, l'assicura
Vostro bel viso, e non può più temere.
Le donne, che vi fanno compagnia,
Assai mi piacen per lo vostro amore;
Ed io le prego per lor cortesia,
Che, qual più puote, più vi faccia onore,
Ed aggia cara vostra signoria,
Perchè di tutte siete la migliore.

XV.

A BERNARDO DA BOLOGNA.

Ciascuna fresca e dolce fontanella

Prende in se sua chiarezza e vertute,
Bernardo amico mio; e sol da quella,
Che ti rispose alle tue rime acute.
Perocchè in quella parte, ove favella
Amor delle bellezze, che ha vedute,
Dice che questa gentilesca, e bella
Tutte nuove adornezze ha in se compiute.
Avvegnachè la doglia io porti grave

Per lo sospiro, che di me fa lume,
Lo core ardendo in la disfatta nave,
Mando io alla Pinella un grande fiume,
Pieno di lamie, servito da schiave
Belle ed adorne di gentil costume.

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Beltà di Donna, e di saccente core,
E cavalieri armati, che sian genti,
Cantar d'augelli, e ragionar d'amore,
Adorni legni in mar forti e correnti:
Aria serena quando appar l'albore,
E bianca neve scender senza venti,
Rivera d'acqua, e prato d'ogni fiore,
Oro, e argento, azzurro in ornamenti.
Ciò, che può la beltate, e la valenza

Della mia Donna in suo gentil coraggio, Par, che rassembre vile a chi ciò guarda; E tanto ha più d'ogni altra conoscenza, Quanto lo ciel di questa terra è maggio, A simil di natura ben non tarda.

XVIL

Novella ti so dire, odi Nerone,

Che i Buondelmonti trieman di paura,
E tutti e Fiorentin non gli assicura,
Vedendo, che tu hai cor di lione.
E più treman di te, che d'un dragone,
Veggendo la tua faccia, ch'è sì dura:
Che non la riterrian ponti, nè mura,
Ma sì la tomba del Re Faraone.
Oh come fai grandissimo peccato,
Si alto sangue voler discacciare,
Che tutti vanno via senza ritegno!
Ma bene è ver, che rallargar lo pegno,
Di che potresti l'anima salvare,
Se fussi paziente del mercato.

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