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di Dio sulla terra, era rinato a libertà, e che spettava alla Chiesa, depositaria della dottrina, ed esecutrice de' comandi di Cristo, appianare il cammino e guidarvelo. Il clero adunque per virtù di cosiffatti ragionamenti assumeva un diritto di tutela sui popoli oppressi; e benchè fosse in riverenza ai nuovi dominatori, ne aborriva l'usurpato potere. Questo sentimento fu il più tenace vincolo che ricongiunse le forze degli oppressi e del clero nella cara illusione di rialzare la già caduta romana potenza; la quale, comecchè fosse ridotta a pura idea, era il solo concetto di civiltà radicatosi nelle menti e destinato a durarvi per molti secoli. Così la trasformazione politica maturavasi senza coscienza di forze ingenite presenti, o preveggenza di tendenze future.

Il clero quindi in questa epoca, affatto suddito in faccia a' governi, dominava assoluto su tutte le classi del popolo, ne regolava le voglie, ne reggeva le sorti, ne consolava la esistenza e mentre da un lato s' inalzano le chiese, si fondano i monasteri, si dotano entrambi d'immense ricchezze, si accumula in somma ciò che creava la potenza terrena della Chiesa; diffondonsi da un altro lato i lumi per quanto la riluttanza morale de' popoli lo concede, — si alleggiano gli agricoltori, si emancipano gli schiavi, si creano tutti i mezzi possibili a migliorare le condizioni de' cittadini. Il fioco lume che splendè in mezzo alle fitte tenebre de' secoli barbari partiva da' monasteri. Diresti che nella pace solenne di quegli ermi ricoveri, elette schiere di uomini benefici vegliassero a modo delle antiche vestali ad alimentare e tener desto il sacro fuoco dell' umano sapere I patriarchi, nello ideare le loro istituzioni monastiche, certamente non mirarono a creare accademie di dotti, ma ad offerire un porto di salute nelle terribili procelle della vita, a porgere all'uomo travagliato nel pellegrinaggio della esistenza i mezzi più sicuri, onde per la via della contemplazione preparare l'anima al suo futuro destino, e negli stessi martirii del corpo anticiparle in certa guisa i celestiali godimenti. Moltiplicati per ogni dove siffatti asili, tutte le classi de' cittadini vi trovavano ricovero; e mentre per istituto erano i monaci tenuti ad esercitare i più vili lavori materiali, non trascuravano di nutrire

la mente. E con quello spirito di carità evangelica onde asciugavano le paludi, coltivavano la terra, ospitavano gl' infermi, redimevano gli schiavi, con lo spirito medesimo di carità raccoglievano quasi in unico volume le forze della cultura intellettuale ormai vicine a spegnersi per le perenni e continue tempeste di guerre, di rapine, di violenze, d' incendii, che minacciavano il finimondo. Essi erano architetti, ornavano di musaici le chiese, dipingevano le sacre immagini all' adorazione dei popoli, coltivavano la musica. In somma le arti, dai furenti selvaggi cacciate dalle popolose città, trovavano ricovero sotto i tetti santificati dalla religione. So che la civiltà cresciuta a pieno vigore ha finora ingratamente sconosciuti gl'immensi beneficii che n'ebbe nell'epoca della crisi tremenda; ma adesso un senso più sano di critica è sorto a governare la storia, e ad impedire che si confonda lo stato sano di un ente col suo stato corrotto.

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In quello che sono per dire sta lo immenso beneficio, che i monaci del medio evo resero segnatamente alle lettere. Per un canone della loro regola, erano essi tenuti a impiegare parecchie ore del giorno copiando libri. Non è dubbio che, secondo la intenzione dei loro fondatori, questo comandamento intendesse parlare di libri unicamente di sacro argomento: ma, per la formula generica onde era concepito, in progresso di tempo fu assunto a più larga, anzi alla universale significanza della lettera. Le opere di letteratura profana, che dagli antichi Padri, nel furore del loro entusiasmo religioso, erano ad un tempo citate e fulminate, furono ricercate, conservate, trascritte e commentate nella tranquillità de' conventi, e compartite gratuitamente a chi richiedevale. Vedi strano contrasto! mentre la vita di que' venerabili scorreva in assoluto divorzio dai piaceri mondani, mentre le loro anime, rapite perpetuamente alla contemplazione delle cose celesti, abborrivano da ogni cura terrena, gl'ingegni loro, non che a trascrivere avvegnachè a ciò occhi e mani bastassero affaccendavansi a chiosare autori, che avevano scritto in un senso prettamente profano. In tal guisa erige1 Vedi addietro pag. 10.

2 Senza parlare degl' innumerevoli codici, di che sono ricche le più ri

vano ne' loro cenobii biblioteche ricchissime, quasi santuarii di ricovero ai monumenti della morta letteratura, che dovevano servire ad un' epoca, nella quale l'ordine civile, riconquistato il campo del sapere, ebbe il vantaggio di raccogliere in essi le tradizioni della primitiva e potentissima sua vita, e ricongiungerle alle nuove forze della sua rigenerazione intellettuale, che effettuavasi coeva alla rigenerazione politica.

E qui sorge la filologia, con una importantissima questione, a chiederci come, e quando, e dove nascesse la nuova lingua italiana. La critica già da cinque secoli si mise a questa indagine; e se primamente, per mancanza di materiali, fu costretta a vagare incerta tra le congetture, e quindi ad insanire in vaniloquii noiosi, ai dì nostri, per intemperante ambizione di novità più che per amore del vero, ha siffattamente riannuvolata la questione, che a coloro cui sta a cuore più il pieno scioglimento del problema che l'ammirazione de' dotti, giova retrocedere al punto, onde le indagini prime movevano.

Credo non sia chi non sappia, come, sino dall' epoca de' primi Cesari, la lingua latina andasse discendendo dall'altezza alla quale gl'illustri scrittori del così detto secolo d'oro l'avevano inalzata; e che se la letteratura potè, dopo quel tempo, gloriarsi di scrittori grandi rispetto al pensiero, concentrato e ritemprato a nuova severità sebbene in po

nomate biblioteche d' Italia, nel Museo Britannico esistono circa trenta manoscritti delle opere di Terenzio, arricchiti di commenti e disegni allusivi a' varii soggetti, per mano dei monaci. Tuttochè non sia indubitabile che essi appartengano ai tempi surriferiti, basti a conferma di quanto dico rimandare i miei lettori alla storia del solo monastero di Monte Cassino, per convincersi che esistono, fino dai tempi immediati alla fondazione di quel famoso cenobio, tanti e tali elementi da prestarsi mirabilmente al quadro più magnifico, per chi volesse con piena estensione trattare del medio evo. Eugenio, monaco benedettino del settimo secolo, compose una poesia in versi saffici sopra la Estate, nella quale vedesi apertamente lo sforzo d' imitare Orazio. Il venerabile Beda, l'uomo più dotto del secolo ottavo, scriveva ad imitazione di Catullo una poesia su la morte di un uccello favorito, della quale il principio è questo:

Plangamus cuculum, Daphnis dulcissime, nostrum ec.

Entrambi questi pezzi poetici si possono vedere nell'opera di BRUCE WHITE, Histoire des Langues Romanes et de leur Littérature, tom. I, pag. 588.

chissimi, dallo inferocire della tirannide imperiale, la forma non ostante le forze straordinarie di questi pochissimi andava perdendo di quella venustà, che, cominciata a corrompersi, non vagliono cure di uomini dotti o compensi d'arte o robustezza d'ingegno a ristabilire. Diresti che il bello sia sostanza, la quale, comechè prona a riprodursi e modificarsi perpetuamente, rilutta con invincibile repugnanza a riassumere il carattere una volta perduto. Principio verissimo, fondato sulla eterna testimonianza della storia dell' umana fantasia, il quale, ove fosse adottato dai critici, li renderebbe più utili alle arti, o almeno più giusti e meno corrivi a giudicare. Così andò sempre, con crescente movimento, la beltà dello idioma latino subendo la cominciata vicenda, in modo che nella età di Boezio, giusta la osservazione di un egregio scrittore vivente,' manda gli estremi aneliti tuttavia armoniosi, quasi ultimo canto del cigno della morente letteratura. Da que'tempi in poi, i fasti delle lettere latine non si compongono se non di certe informi compilazioni enciclopediche, la più parte eseguite da autori non nati in Italia, l'apparizione delle quali, come acutamente notò altro dotto scrittore, è costante fenomeno che precede, e più spesso accompagna, la decadenza intellettuale di un popolo. Quasi lo spirito umano estenuato rinunziasse alle vaste miniere del sapere, che aveva per anni lunghissimi possedute, e gli bastasse, direi così, una quintessenza di tutte raccolta in piccolissimo vaso, perduta la forza di fare, si dette a compilare.

I miei lettori hanno inteso parlare de' breviarii storici del medio evo, che abbracciando tutti i tempi e tutto l'universo, e fattone un ammasso, quadripartivano la materia in monarchie, secondo il significato allegorico delle quattro bestie politiche del profeta Daniele; e dividevano la crono

4 HALLAM, Literature of Europe etc., cap. I.

2 HEEREN, Geschichte des Studium der Classischen Litteratur etc.

3 Il metodo che a narrare la Storia Universale adottava la partizione in Monarchia Assiria, Persa, Greca e Romana, lasciato in abbandono dagli Italiani sino dal trecento, divenne così inerente alla letteratura storica da durare fino al passato secolo ne' paesi dove la barbarie ebbe vita più lunga. Chi osava scuotere quel giogo imposto dalla superstizione, cra tenuto eretico. Contra chi ardi impugnarlo in Germania scagliavasi un famoso teologo di Wittember

logia in sette età, delle quali la sesta era sempre quella in cui scrivevano, e si stavano ad attendere l'ultima, che doveva incominciare dalla venuta dell' anticristo, allora con ansietà indicibile di momento in momento aspettato, e finire col giudizio universale. In molte di queste cronache parecchi fogli bianchi si annettevano alla fine del volume con queste parole in cima ad ogni pagina: septima mundi ætas; destinati a contenere la storia di questo ultimo periodo, la cui durata specificavasi dalle passioni, opinioni e tradizioni dello scrittore. Lo scibile umano poi era tutto condensato in certi altri breviarii chiamati trivio e quatrivio, de' quali furono compositori o propagatori gli uomini più reputati che allora splendessero. Da ciò si argomenti di che specie fosse la cultura della mente umana, a quei tempi: al che aggiungendo come, chiuse le scuole per un editto di Giustiniano,

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ga, Guglielmo Jano, nel 1712. La questione fu agitata con estrema virulenza; e l'uomo reverendo, sei anni dopo, in Lipsia, ripubblicava il suo scritto, corredato di nuove ragioni, col titolo seguente: Antiquæ et pervulgatæ de quatuor monarchiis sententiæ contra recentiorum quorumdam objectiones plenior et uberior assertio.

Vedi tutte quasi le cronache del medio evo, e segnatamente il Chronicon Nurimbergense di Schedel. L' edizione è in foglio reale magnificamente stampata nel 1493: l'adornano circa milledugentocinquanta incisioni eseguite da Pleydenwurf e da Wolgemuth, maestro del celebre Alberto Duro. Vi è annesso un trattato delle più illustri città della terra, di Enea Piccolomini (Pio II).

Il Trivio trattava di grammatica, dialettica e rettorica: il Quatrivio abbracciava l'aritmetica, la geometria, la musica e l'astronomia. Ciascuno di questi trattati non è se non una raccolta di poche scarne e inesatte indicazioni tratte da varii autori, e Dio sa come connesse insieme. E perchè allora tutto si formulava in versi, il Trivio ed il Quatrivio vennero espressi ne' due seguenti:

« Gram. loquitur; Dia. vera docet; Rhet. verba colorat.

» Mus. canit; Ar. numerat: Geo. ponderat; Ast. colit astra. »> 3 Paolo Orosio, San Prospero, Flavio Lucio Destro, Cassiodoro, Vittore vescovo africano, Alano vescovo di Ravenna, Isidoro Ispalense cominciano le loro cronache dalla creazione, e finiscono ai tempi in che vivevano. L' Ormoesla (titolo poscia da' copisti alterato in quello di Orchestra) di Orosio, scritta a mostrare le calamità del mondo sotto il paganesimo, e destinata quasi contrapposto a far risaltare la magnifica pittura della Città di Dio, che Santo Agostino andava ritraendo ai cristiani, fu il libro che ottenne sopra tutti estesa popolarità; in guisa che fino all'età di Dante leggevasi con la riverenza onde erano studiati i classici. De Vulgari Eloquentia, lib. II, cap. 6.

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