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si chiude, si dice che la morte gli rincrescerebbe. Ma in qual caso? Solo se la donna rispondesse alla sua richiesta con un rifiuto. Nel caso contrario no, perchè ivi stesso ci vien dichiarato che il Poeta brama di vivere soltanto per servire la donna del suo cuore, di modo che rinuncerebbe volentieri alla vita, qualora sapesse di farle cosa grata (40-46). Chè tutti i carchi sostenere addosso

De' l'uomo infino al peso ch'è mortale,
Prima che 'l suo maggiore amico provi,
Che non sa qual sel trovi:

E s'egli avvien che gli risponda male,
Cosa non è che tanto costi cara,

Che morte n'ha più tosta e più amara.

«La dispietata...», 33.

Ora questa riflessione è preziosissima, perchè ci viene a dare la chiave del rapido passaggio che osserveremo nelle poesie del secondo gruppo, e ci spiega perchè mai Dante in seguito provasse tanto rincrescimento della morte. Che ragione v'era di consumarsi e di piangere per chi si mostrava sorda e insensibile alle sofferenze altrui? Non era giusto penare senza soddisfazione. Ora che l'amico maggiore gli aveva risposto male, nessuna cosa poteva sembrargli tanto dura quanto la morte. E alla morte difatti s'impreca nelle poesie del secondo gruppo. Mi basta citare, per non trascrivere altri passi, la canzone «Così nel mio parlar.....», la più fiera di tutte, dove la Pietra si trasforma in lima crudele, che sordamente gli scema la vita, e dove, terribile come l'ombra di Macbeth, gli apparisce lo spettro della morte, il quale, accompagnandolo nel pauroso cammino che batte, lo fa tremare verga a verga.

Chè più mi trema il cor, qualora io penso
Di lei in parte, ov' altri gli occhi induca,
Per tema non traluca

Lo mio pensier di fuor sì che si scopra,
Ch'io non fo della morte, che ogni senso
Colli denti d'Amor già mi manduca.

27-32.

Non mi dilungo di più su questo particolare: Tutto concorda (è una prova di più anche questa) per indurci alla distinzione alla quale fui costretto venire, dietro l'evidenza dei fatti e l'osservazione spassionata delle cose. La sestina « Al poco giorno...», ripeto quanto già dissi, rappresenta il racconto degli avvenimenti trascorsi, è come la rivelazione e la storia di ciò che diversamente sarebbe rimasto nascosto o poco chiaro. Il tentativo, la lontananza, la fuga, sarebbero passati inosservati, se essa non ce li avesse posti sott'occhio, fermando la nostra attenzione. (1)

Abbiamo dunque due periodi e quindi un' interruzione in quest' amore. Il primo si apre con la ballata «Era tutta soletta...», e si chiude con la canzone «La dispietata mente...»; il secondo s' inizia con la sestina « Al poco giorno...», e termina con << Così nel mio parlar...». Di questi due periodi il primo è molto più lungo, in quanto si svolge nello spazio di circa un anno, estendendosi da una primavera alla fine di un'altra successiva; il secondo invece, che si riapre

(1) La sestina stessa con i versi (9-11)

Chè non la muove, se non come pietra,
Il dolce tempo che riscalda i colli,

E che gli fa tornar di bianco in verde,

pare voglia alludere a una primavera passata, durante la quale il Poeta avrebbe potuto conoscere la durezza della sua donna: E non si alluderebbe già alla prima primavera, quand'essa gli sarebbe apparsa, perchè allora Dante non l'avrebbe potuta conoscere e sperimentare nel vero senso della parola, ma alla seconda, quand' egli, dopo averla corteggiata, scriveva la canzone « La dispietata mente...». Ma forse nemmeno è nccessario andare tanto per il sottile, dietro le prove, mi sembra, sufficienti già addotte.

SANTI. Il Canzon. di Dante Alighieri, II.

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dopo un intervallo di circa due stagioni, è assai più breve, durando quasi un' invernata. Qui il pathos si accentua, e l'azione s'affretta alla catastrofe con rapidità fulminea: « Al poco giorno... » non è che la narrazione del passato, « Amor dacchè... » è un lamento doloroso, « Così nel mio parlar...» è l'ultimo canto della vendetta. Questo incalzarsi è addirittura mirabile.

E va osservata pure un'altra cosa, che cioè, mentre le poesie del primo periodo sono ballate o canzoni con qualche sonetto (lascio da parte le sestine, che per noi non presentano nulla di caratteristico), anzi è appunto un gruppo di ballate vaporose che l'apre; quelle invece che fan parte del secondo periodo, il quale rispecchia un momento più serio e decisivo nella vita dell' Alighieri, sono tutte canzoni e sonetti. Ciò non è punto indifferente per chi brama andare al fondo delle cose. La ballata, solo da principio, quando il Poeta sorrideva quasi e scherzava con quell' amore, poteva prestarsi quale forma letteraria rispondente alla propria condizione d'animo. Sicchè, conchiudendo, la passione, tutta insieme, senza tener conto di quell' intervallo che corse tra i due periodi, durò due anni (1). Quali siano questi anni, lo vedremo in seguito, quando dovremo affrontare la tanto dibattuta e intricata questione cronologica. Ma allora la cosa ci riuscirà facile.

(1) E che durasse molto tempo, ci viene confessato da Dante stesso nel sonetto di risposta (Io ho veduto già senza radice) a quello di Cino da Pistoia, che incomincia: Novellamente Amor mi giura e dice: Giovane donna a cotal guisa verde (la Pargoletta), Talor per gli occhi si addentro è gita,

Che tardi poi è stata la partita.

In seguito troveremo una conferma anche nell'epistola a Moroello Malaspina, perchè se questa veniva scritta quando già s'era diffusa la voce di quest'amore, e quando la passione durava ancora, vuol dire che era già trascorso del tempo.

IV.

LUOGO DOVE SI SVOLSE QUEST' AMORE

Quale fu il luogo dove si svolse tanta passione? Ecco un'altra domanda che ci si presenta. Chi conosce le rime di cui ci andiamo occupando, non dovrebbe tardar molto a rispondere. La prima di esse ci dà subito un' incantevole. scena di campagna. «Era tutta soletta ... » sembra un mezzo idillio campestre, tanto frequente nell'antica poesia romanza, una scenetta ritratta dal vero, come quelle che si svolgono tra gli abitanti dei campi, in mezzo ai pastori, che non conoscono sotterfugi, ma parlano con la commozione sul labbro. e col cuore alla mano, che gli martella nella pienezza della vita. Ci fu chi disse, parlando dell' altra ballata « Per una ghirlandetta...» sorella di questa, che fu composta probabilmente in occasione delle gaie feste maggiaiole. E si pensava certo a Firenze, a qualche bel prato fiorito, che non manca nei colli deliziosi che la circondano, e nei dintorni incantevoli. Ma che le rime per la Pargoletta vadano riportate ad altri luoghi e non a Firenze, è ciò ch' io mi propongo dimostrare in questo capitolo.

Che esse intanto fossero composte in una campagna montuosa, tra piani e monti, dove il Poeta rimaneva per amore, risulta dall' insieme di tutte le immagini, di cui neppure una ve n'è cittadina. Il sonetto « Ora che 'l mondo... >> e le due sestine « Amor mi mena... » e « Gran nobiltà... »

basterebbero da soli a confermarlo. Quei monti, quei colli, quelle foreste che scuotono le vette, rinverdendosi a festa, quelle nebbie che velano il sole alle piante e penetrano nelle ossa, quei prati fioriti che richiamano la vita e dànno l'allegria agli animali e agli uccelli, sono paesaggi che si possono osservare solo nell' aperta campagna, lontano dai rumori cittadini e dalle vie anguste; e sono descrizioni che ci richiamano la solitudine, quando lo spirito, dimentico degli altri, s'attacca alla natura, che ci attrae coll' intimo linguaggio delle cose, e diviene l' unico mondo in cui esterniamo il nostro io. E solo in mezzo alla campagna si può ricevere quell'impressione, che il Poeta descrive al principio della sestina «< Al poco giorno...», quando s' appressa l'inverno e i colli s'imbiancano, come vecchi cadenti, d'un color terrigno per mancanza di erbe. Un cittadino non sarebbe ricorso a quell'immagine, che può suggerire la campagna soltanto; nè gli sarebbero corsi alla mente tutti quei particolari che accompagnano la stagione della morte, come troviamo rilevati in «Io son venuto... ». Sono i venti, le nebbie, il torpore che avvince gli animali e le piante, quello che impressiona il Poeta; sono i sentieri campestri, diletto luogo di diporto, i quali son resi impraticabili dalle pioggie torrenziali; sono le acque congelate dei fossi e delle paludi, che stringono la terra, come fosse di smalto:

Onde 'l cammino al bel giorno mi piacque,
Che ora è fatto rivo, e sarà, mentre
Che durerà del verno il grande assalto.
La terra fa un suol che par di smalto,
E l'acqua morta si converte in vetro
Per la freddura, che di fuor la serra.

<< Io son venuto... », 56.

Dove porge la città simili immagini? Sono anzi in assoluta contradizione, se vogliamo esser giusti. Nè la città

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