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e la richiese su di un prato recinto di colli. Li sarebbe avvenuta l'apparizione, proprio presso le acque dell'Arno, << juxta Sarni fluenta », come ci dice l'epistola a Moroello. Dante forse se ne andava a diporto e sopra pensieri, solo, solo per la campagna, « securus et incautus». L'apparizione infatti fu improvvisa, « ceu fulgur descendens », quand' egli meno se l'aspettava, quando, assorto nelle sue meditazioni, era uscito di casa per prendere, come si dice, una boccata. d'aria: «Cum primum pedes juxta Sarni fluenta securus et incautus defigerem ». (1) La passeggiata lungo il fiume doveva essere una delle più belle e più poetiche. E la via come passeggio si prestava più delle altre, essendo quasi in piano. Dante, presa stanza in Pratovecchio, avrà inteso anche una certa curiosità di visitare i luoghi vicini; Romena per esempio, che un tempo era stata dimora di Alessandro da Romena suo amico. Una delle prime passeggiate sarà stata quella. E camminando lungo il fiume, giunto quasi di fronte a Romena, che si trovava dall'altra parte e a una certa distanza, si sarà fermato a osservare. La Pargoletta stava cogliendo fiori <«tutta soletta » :

Co' piè ristetti e con gli occhi passai
Di là dal fiumicello, per mirare
La gran variazion de' freschi mai:
E là m'apparve, sì com'egli appare
Subitamente cosa che disvia

Per maraviglia tutt'altro pensare,
Una donna soletta, che si gia
Cantando ed iscegliendo fior da fiore,
Ond'era pinta tutta la sua via.

Purg., XXVIII, 34.

(1) Io credo che queste parole dell'epistola a M. Malaspina vadano intese appunto in questo modo. Dante andava a passeggio lungo le acque dell'Arno: «<securus et incautus defigerem ».

Queste parole racchiudono una confessione: Matelda, che verrà vista da Dante nel Paradiso terrestre, non è altro, come dicemmo, che la Pargoletta, apparsa subitamente, <«< ceu fulgur », sul prato fiorito. Dante le rivolgerà la parola. La donna, che stava con tutta libertà « scegliendo fior da fiore » (che fior giva cogliendo), si appresserà al Poeta; o meglio sarà questi, che, passando il fiume cautamente, si avvicinerà a lei:

Quando io vidi colei,

Che fior giva cogliendo,

Subito giunsi a lei,

E dissi: Io mi t'arrendo

«Era tutta soletta...», 5.

Ed ecco allora il saluto e altre domande, che la curiosità stessa poteva suggerire. Dante era un estraneo; e la donna che se ne stava sul prato, dov'era andata a godersi il sole di primavera, alla vista di una faccia nuova non s'adombrerà, ma si mostrerà cortese e gentile, pronta ad ogni richiesta. Si trattava d'una persona mai veduta, che forse desiderava acquistare conoscenza dei luoghi, o poteva anche aver bisogno di schiarimenti: Stavano in campagna. Un colloquio in tal caso era naturale. E Dante potè anche dichiarare chi egli era, donde veniva e dove dimorava. La Pargoletta «< fece i prieghi suoi esser contenti» (Purg., XXVIII, 58). Allora si comprende quella libertà che la donna si permette da principio, e che, a prima vista, sebbene vi sia un po' di esagerazione, sembra inverosimile. Ma, si osservi, questa libertà e questa gentilezza, che nelle prime ballate, o meglio nella prima, ci fa alquanto meraviglia, in seguito non ritorna più. Quando la donna si sarà avveduta dell'insano desiderio e delle matte voglie del forestiero, non lo curerà più; saprà negargli perfino il saluto. Dunque la cosa è verosimile e presenta qualunque appa

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renza di realtà. Allora s'intende perchè la strada che Dante frequentava per vedere la sua « violetta», divenisse torrente nell'inverno, e fosse malagevole («Io son venuto...», 56): Era vicino al fiume. Quella strada non poteva essere praticata in quel tempo. Ma nella primavera sì; allora diveniva deliziosa, si cambiava in un giardino, in un paradiso terrestre. E allora s'intende perchè d'estate e di primavera il Poeta ci parli di ombre e di piante, di bianchi colli di donne e di danze: le piante del fiume dovevano essere un dolce luogo di ritrovo per la Pargoletta e per le amiche; lì, sotto l'ombra, se ne stavano ciarlando e scherzando. Dante le contemplava, e, riparato dagli alberi, quindi all'ombra delle donne, andava cercando, senza che alcuno lo vedesse, il viso della Pargoletta. Se non fosse così, non sapremmo intendere come mai egli possa dire che stava all'ombra delle donne e dei «< belli colli », di cui amava osservare le forme: I « bianchissimi colli» risaltavano sul verde vivo dell'erbe. E Dante non avrebbe seguito da vicino la Pargoletta, che stava in compagnia delle amiche, se non fosse stato certo che nessuno lo vedeva. Egli temeva di essere scoperto, come temeva la morte, che l'avrebbe atteso inesorabilmente («< Cosi nel mio parlar », 27-30). E fu forse in qualcuna di quelle passeggiate, e certo in più d'una, che vennero fuori le due sestine primaverili, ch'io ritengo furono scritte sull'erba, nella campagna, mentre il Poeta, scherzando e smaniando, contemplava a una certa distanza la Pargoletta, che stava all'ombra delle piante con le amiche. I colli, le vesti, l'ombre ch'esse gittavano e quello che i panni nasconde-. vano, lo « tenevano verde » e lo « collavano », « mirando, fedel come l'erba, Quell'anima cui più le piace l'ombra » (Sest. II, 35). Quelle sestine scritte in campagna, non furono forse più limate; rimasero nella veste ruvida ed incerta con la quale uscirono. E del resto sarebbe stato difficile correggere l'opera scritta quasi per scherzo.

Ma se dobbiamo pensare a qualche bella castellana di Romena, c'è possibile fare dei nomi? E conviene proprio credere che questa donna si chiamasse Matelda? Di donne alla corte di Romena ve n'era ogni ben di Dio. Aghinolfo aveva delle figlie e varie nuore. Che la Pargoletta sia stata qualcuna delle sue figlie? Per esempio Maria, sposata al conte Azzolino di Montecarelli, o la contessa Albiera, data in moglie al conte Galeotto di Modigliana? () O non fosse piuttosto qualcuna delle mogli dei suoi maschi? Una sappiamo che fu la contessa Margherita Malatesta, sposa di Uberto, che, a quanto pare, dimorò sempre in Pratovecchio; un'altra fu Agnese di Dovadola, data in moglie a Ruggeri, che però non potrebbe fare al caso nostro, essendo lontana da Pratovecchio; un'altra Giovanna, sposa di Guido, la quale avrebbe avuto quel medesimo nome ch'ebbe la donna. di Guido Cavalcanti, il primo amico di Dante. (2) Sarà stata questa? Potrebbe anche essere. E allora sarebbe giustificato il timore espresso dal Poeta, quando s'adoprava di nascondere la forte passione che lo turbava. Qualora se ne fosse accorto Aghinolfo o il marito, sarebbe stato fino! (3)

Ma voler fare delle ipotesi in proposito sarebbe tempo sciupato, non essendoci mai possibile pervenire a una conclusione. Ce l'avverte Dante stesso: Giacchè se scrivendo <«< Così nel mio parlar...», vale a dire l'ultima poesia composta per la Pargoletta, ci dice che nessuno conosceva chi essa fosse, e ch'egli si guardava bene di darlo a divedere, vuol dire che la donna rimase sempre un mistero.(4) (1) Vedi SCIPIONE AMMIRATO, pag. 85.

(2) Ivi.

(3) Stando cosi vicino al castello di Romena, e avendo agio di osservare i costumi di quei conti, Dante avrebbe potuto ideare e colorire (e ne sapeva lui la ragione) l'episodio di maestro Adamo.

(4) Anche la Pargoletta dovette essere abbastanza prudente, se accorgendosi della forte passione di Dante e della corte che le faceva, non rivelò mai nulla ad alcuno.

I suoi stessi contemporanei non ne seppero più di noi. Se ne parlarono, tirarono a indovinare. Noi, giunti a questo punto, ci arresteremo, prestando fede a quanto Dante ci disse: E del resto siamo arrivati fin dove ci era possibile arrivare, essendo riusciti a ricostruire in tutti i suoi particolari quest'amore studiato. Contentiamoci; l'intento è stato raggiunto. Sicchè sul nome della donna porremo un punto interrogativo: Dante non volle che si sapesse. Gli amori il più delle volte rimangono chiusi nel sacro tempio della propria coscienza, e noi non lo profaneremo, tanto sarebbe vano ardimento.

Ma dalle rime di cui ci siamo occupati, si delinea ben chiara un'altra pagina della vita di Dante, quella del suo amore nel Casentino, che negli anni della virilità lo venne a sconvolgere nel modo più vergognoso. Aver ricostruito questa pagina è per noi non poco.

L'abbandono nel quale Dante si trovava, la solitudine dell'esilio e la tristezza, furono, vedemmo, i coefficienti principali, che lo fecero, come l'edera al tronco, attaccare tanto fortemente alla prima donna che gli sorrise. Gli accadde come a Giacomo Leopardi, che, nei deliri della passione, condannato a lottare con la propria infelicità fisica, cantava per un ideale di donna, che gli parve l'avesse compreso.

Dante da solo non era bastato a difendersi dall'oggetto del suo male; la « Medusa » terribile, che gli era apparsa in uno dei momenti più critici della sua vita, quando ormai non gli sorrideva più la luce della speranza e s'era spento nel suo cuore ogni affetto, era riuscita a possederlo tutto quanto. Ci vorrà l'aiuto della ragione, che, chiudendogli gli occhi, come Virgilio dinanzi alle mura di Dite, gl'insegni

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