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E per tutti i lavori è difficile fare un'edizione critica, per le rime di cui ci siamo occupati, riesce addirittura impossibile. E la ragione proviene dal fatto che i manoscritti nei quali esse sono contenute, non le riportano per intero, o con un certo ordine sistematico che si riproduce regolarmente, ma le trascrivono alla rinfusa, senza criterio, senza ordine prestabilito, secondo gli scopi speciali ai quali le raccolte furono destinate. Se i manoscritti ci dessero la serie completa delle rime, qualunque fosse l'ordine da loro seguito nel riportarle, non riuscirebbe a dirittura impossibile tentare un lavoro di classificazione; essi invece ci danno raccolte incomplete e del tutto insufficienti per un lavoro di comparazione. Spesso sono due o tre componimenti soltanto che vengono riportati; spesso uno; spesso è una serie mal ordinata che viene interposta a un gruppo di rime diverse, a sonetti e canzoni della Vita Nuova, a poesie del Convito, a rime d'autore incerto o malamente attribuite. Una serie che si apre con alcune rime di Dante, viene spesso interrotta con sonetti del Petrarca o di Guido Cavalcanti, e poi ripresa, e poi interrotta di nuovo, per dar luogo a rime del Guinicelli, di

Guittone d'Arezzo, di Dino Frescobaldi, di Cino da Pistoia e via dicendo. La serie viene a perdere in questo modo il valore, che per noi potrebbe avere; perchè, mentre per una parte riproduce l'ordinamento e la lezione di un esemplare, segue poi per l' altra quasi sempre le tracce di un manoscritto diverso. Noi allora non sappiamo più come contenerci nel lavoro di classificazione, che avrebbe bisogno, per ben riuscire, di serie complete e non di rime disperse soltanto o in numero insufficiente, che non ci permettono di risalire alla ricerca della paternità. Per noi è tanto importante il testo di dieci canzoni ordinate, come quello d'un sonetto o d'una ballata, o d'una serie di brevi componimenti, che la scarsità dei manoscritti non ci permette di fissare con precisione. E ognuno comprende che, quando, come talora accade nel caso presente, un componimento si trova isolato o disperso in qualche manoscritto soltanto, noi non possiamo ricostruire il testo genuino con sicurezza, mancandoci il mezzo per stabilire l'origine del codice e il suo valore. Lo studio del manoscritto in sè non basta, verificandosi spesso che per alcune parti è attendibile, per altre invece scorretto.

Qualcuno potrebbe pensare che, nel caso nostro, non tenendo conto dei componimenti secondari, come dei sonetti, di qualche ballata e di alcune sestine, si potesse iniziare un lavoro di ricostruzione per le sole « quindici canzoni distese» del Convito. Si potrebbe infatti scegliere tra i manoscritti quelli soltanto che ci danno delle canzoni la serie completa e ordinata secondo la disposizione assegnata loro da Dante, scartando, come noi facemmo, tutti quelli che ce la danno incompleta o disordinata. E l'idea sembrerebbe buona a prima vista, giacchè, è indubitato, quell'ordinamento e quella disposizione risale a Dante. Ma non l'è in realtà, perchè nessuno ci assicura che anche fin da principio non vi sia stato qualche copista o qualche studioso,

che abbia preferito cambiare alle rime l'ordine trovato sull'esemplare. I manoscritti che si discosterebbero da quell'ordinamento, potrebbero avere un'attendibilità maggiore degli altri, essendo più vicini per la lezione alla fonte primitiva. Infatti il naz. palat. 180, uno dei codici più antichi e autorevoli, e il barber. 3953, che è il più antico che si conosca, si discostano da quell'ordinamento. Il criterio dunque non potrebbe servire; e nemmeno del resto sarebbe giusto scartare tutti quei manoscritti che non ci danno le raccolte complete, perchè anch'essi potrebbero avere notevole importanza per la loro origine. Questo criterio può essere buono solo per ricondurci all'ordinamento primitivo e allo schema. originario che Dante si propose nello scrivere il Convito, come noi già dimostrammo, sforzandoci di ricostruire sulle sue orme lo scheletro di quell'opera e studiarne le varie vicende. Non è questo il caso della Vita N., che per essere un tutto organico e completo, doveva venire, almeno da principio, trascritta integralmente; in essa v'erano argomenti e divisioni, le rime erano alternate e precedute dalla prosa, costituendo nell' insieme un'opera completa. Anche per la Vita N. si fecero delle selezioni, secondo i casi speciali, come apparisce dalle numerose raccolte che ci presentano i manoscritti; ma la cosa in ogni modo era sempre più regolare; spesso anche in quelle raccolte si manteneva l'ordine che i componimenti avevano avuto nell'opera. Per la Vita N. è certo più logico attenersi di preferenza a quei manoscritti che ci danno il lavoro completo, tentando per mezzo di essi uno studio di ricostruzione, senza trascurare del tutto gli altri: Ma nel caso nostro l'ordinamento delle <«< quindici canzoni distese » non potrebbe servirci ugualmente; la classificazione riuscirebbe quasi priva di fondamento. Se la Vita N. si sapeva da tutti che costituiva un lavoro a parte, un « libello », lo schema delle quindici canzoni invece quasi da nessuno era conosciuto per un tutto

organico e completo: Esso nemmeno corrispondeva all'ordine che le prime canzoni avevano avuto nel Convito, giacchè quella disposizione primitiva era stata alterata da Dante a bella posta, onde non risaltasse l'artifizio da lui voluto. Quell'ordinamento e quello schema poteva anche essere considerato come una raccolta, escogitata e stabilita da un copista qualunque.

Tentare pertanto una classificazione tra i vari manoscritti che contengono le rime da noi studiate, non è possibile; io ne deposi il pensiero, quando esaminandoli m'accorsi che v'era tra loro la più grande disparità e confusione. Se due o più codici si somigliavano per le prime rime, si discostavano poi notevolmente per le altre. I risultati positivi furono pochi. Per fare un lavoro di classificazione, ci manca insomma il filo di Arianna, che ci conduca di tempo in tempo, di periodo in periodo; questo filo cronologico ci abbandona a tratti, presentando delle spezzature improvvise, che noi non abbiamo il mezzo di riallacciare. Chi sa quanti manoscritti, tra l'immensa copia che ve n'era nel M. Evo, non andarono perduti! Noi non li possiamo sostituire o ricolmare con altri mezzi. Gli archetipi non si ricostruiscono, quando l'esemplare da esso ritratto non fu condotto allo stesso modo, o quando altri esemplari intermedi andarono perduti: Manca l'anello di congiunzione. (1)

E noi abbiamo l'esempio di vari codici antichi, che non si possono classificare, e restano isolati nella nostra ricerca genealogica. Citerò il naz. palat. 180, il barber. 3953 e il chigiano L, VIII, 305, che, per quanto feci, non riuscii a ravvicinare con altri manoscritti per quella parte che m'interessava. Molti esemplari dunque andarono perduti; e sic

(1) E ciò dipese sopratutto dall'elemento soggettivo, che spesso il copista volle introdurre nella copia che trascriveva.

come molti dei codici più antichi non sono affatto più corretti di altri posteriori, dovremo dire che anche quelli dovettero essere copie di copie più o meno diligenti.

A noi non è possibile per le rime presenti tentare, come dicevo, un albero genealogico tra i vari manoscritti che possediamo; così almeno deve dire chi ha dovuto studiarli e se n'è occupato di proposito. Il modo stesso che tennero i copisti nel trascriverli, ce l'impedisce. Perchè essi non seguirono già il modo più semplice, di copiare da un esemplare soltanto; ma amarono bene spesso di prendere a modello vari esemplari, dai quali trascrivevano i componimenti per intero o in parte, correggendo e alterando sulla scorta degli altri, a loro piacere, l'esemplare che tenevano sott'occhio come tipico. Ce lo dicono in modo chiaro i fatti e l'esperienza. Due codici, per esempio, vanno pienamente d'accordo per i primi componimenti, dandoci la medesima lezione e il medesimo ordine di trascrizione, e poi per gli altri si discostano essenzialmente : A volte una sola poesia risponde bene per la grafia e per il testo a quella di un altro codice, e tutte le altre si discostano; a volte due o più codici si aprono o presentano nel loro corpo delle rime, che si potrebbero dire le une copie delle altre, e poi nel resto non si somigliano affatto, dando testo e disposizione del tutto differente. La cosa non si spiegherebbe, se non ammettendo quello che poco fa dicevamo, e la libertà capricciosa che gli amanuensi si permettevano. Essi potevano avere un esemplare per modello, ma non si attenevano a quello esclusivamente, nè lo seguivano per intero in tutto il corso del lavoro. Quello che da principio era stato scelto a modello, poteva benissimo in seguito essere sostituito da un altro, che loro sembrava più adatto o più corretto. Essi non andavano tanto per il sottile, nè scrivevano coll' intendimento nostro, che ci faremmo un rimarco di coscienza, se omettessimo in una

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