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20.

25.

30.

35.

Chè non pur lui, ma 'l suo onor difende. (9)
E certo la sua doglia (10) più m'incende,
Quand' io mi penso ben, donna, che vui(1)
Per man d'Amor là entro pinta sete:
Così e voi dovete

Vie maggiormente aver cura di lui;

Chè quei, da cui convien che il ben s'appari,
Per l'immagine sua ne tien più cari. (12)
Se dir voleste, dolce mia speranza,

Di dare indugio a quel ch' io vi domando,
Sappiate che l'attender più non posso;
Ch'io sono al fine della mia possanza.
E ciò conoscer voi dovete, (13) quando
L'ultima speme a cercar mi son mosso;
Chè tutti i carchi sostenere addosso
De' l'uomo infino al peso ch'è mortale,
Prima che 'l suo maggiore amico provi,
Che non sa qual sel trovi :

E s'egli avvien che gli risponda male,
Cosa non è che tanto costi cara,

Che morte n'ha più tosta e più amara.(14)

nell'incertezza dei mss. migliori. Altri: Per soccorrere al servo (r, r', r", p', b', l'. ecc.).

(9) Siccome il servo è proprietà del padrone e membro della sua famiglia, ne segue che l'onore suo ridonda a gloria del padrone. Così se il servo ha bisogno di aiuto, il padrone lo deve soccorrere senz'altro; perchè, soccorrendolo, difende non solo lui, il servo, ma anche l'onore proprio.

(10) Il dolore del cuore.

(11) Lez. unanime. La vulgata (Quand'io mi penso, donna mia) non ha sostegno di mss. Qualcuno legge: Quando mi penso ben, donna, che vui (1, r', 1.40, 42 e 44 e 49, v. 7182 ecc.). O anche: Madonna mia, quando penso (rd, г. 1029 e 1083).

(12) Perchè quello (Amore), dal quale

conviene che s'impari ogni cosa buona, per l'immagine sua, cioè per l'immagine vostra, ch'egli mi dipinse nel cuore, ci tiene più cari.

Al v. 25 leggo quei coi mss. migliori (p, b, b', p', r, l' cs. ecc.). Altra lez. è: Que' (m, m',r', cg. ecc.). La vulgata(quel) è trascurabile (1, r. 1029 e 1091, as, m. VII, 1103).

(13) Qualche ms. legge potete (cg, r. 1029, v. 3213, m. VII, 1100).

(14) Dice Dante ch' egli si è rivolto alla sua donna per aiuto, trovandosi al fine della sua possanza, presso a morire. E di questo voi vi dovete accorgere, aggiunge, dal fatto ch'io mi son rivolto a voi, come al maggiore amico ch'io abbia, per implorare l'ultima speranza, per cercare l'ultima áncora di salvezza, alla quale attaccarmi; perchè

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40. E voi pur sete quella ch'io più amo, E che far mi potete maggior dono,

45.

50.

E 'n cui la mia speranza più riposa;
Chè sol per voi servir la vita bramo; (15)
E quelle cose, che a voi onor sono,
Dimando e voglio; ogni altra m'è noiosa. (16)
Dar mi potete ciò ch'altri non osa; (17)
Chè 'l si e 'l no tututto (18) in vostra mano
Ha posto Amore; ond' io grande mi tegno.
La fede ch'io v'assegno, (19)

Move dal vostro portamento umano;
Chè, ciascun che vi mira, in veritate.

l'uomo deve sostenere addosso tutti i
carchi, tutte le più fiere sventure, fino
all'ultimo peso, all'ultima fatale sven-
tura, che gli cagiona la morte, prima
di mettere a prova, chiedendolo d'aiuto,
il suo maggiore amico, che non sa come
troverà disposto (potendo anche darsi
che gli neghi l'implorato soccorso): E
se avviene che questi gli risponde male,
cioè non lo corrisponde, nessun' altra
cosa gli riuscirebbe più dolorosa; nem-
meno la morte potrebbe recargli un do-
lore più pronto e più grave. Questo è il
vero significato della stanza, che però
non fu inteso da alcuno. Il che del v. 33
sta per perche; non è pronome relativo.
Invece al v. 39 non ha valore causale,
come si ritenne; ma è particella di le-
gamento o di congiunzione. Infatti si
vuol dire che il rifiuto partito dal mi-
gliore e primo amico, riesce più duro di
qualunque dolore; tanto duro, che la
morte non ha cosa, sventura, che riesca
più tosta e più amara.

Ho letto tanto costi cara, perchè questa è la lez. comune. La vulgata costi tanto cara è rara (r. 1040, 1083, 1306, 2823, v. 7182). Dei mss. del sec. XIV ce la dà il solo m'.

(15) Come risponde bene questo verso ai versi 27-29 della canz. II! Che sol per lei servir mi tengo caro: E' miei pensier, che pur d'amor si fanno, Come a lor segno, al suo servigio vanno. Cfr.

pure i versi 43-44 della stessa canzone.

(16) Cfr.: Perocchè, s'io procaccio di valere, Non penso tanto a mia proprietate, Quanto a colei, che m'ha in sua podestate (Canz. II, 59). Cfr. anche il v. 30 e 56 della canz. medesima.

(17) Vedi quanto fu detto in proposito a pag. 132. Osa, abbia il suo reale significato di osare, ardire, o stia invece per usare (ant. ausare per il cambiam. di au in o), poco importa; le conclusioni, cui allora venimmo, rimangono sempre. A me però sembra che qui abbia il valore di osare, ardire: ce lo dice chiaramente il verso che segue. Infatti mentre la Pargol. poteva dir di si e di no al Poeta (che 'l si e'l no è in vostra mano), essendo libera delle proprie azioni, l'altra donna che non osa, non può invece farlo; essa non è padrona di sè. Qualche ms., forse per semplificare la lez. e rendere più chiara l'allusione che qui si fa a una donna, legge addirittura: Dar mi potete cio ch'altra non osa.

(18) La maggioranza dei mss. ci dà una lez. quasi priva di senso: Che 'l si e'l no di me in vostra mano (b, m, m', p, 1, cg. ecc.). Per la nostra abbiamo: 1', p', r, r", b', r. 1003, 1040 ecc. Qualche ms. legge anche: Che 'l si e 'l no tutto in vostra mano (r', p. 183 e 186, r. 1117, m. VII, 1100).

(19) La fiducia che ripongo in voi.

55.

60.

Di fuor conosce che dentro è pietate. (20)
Dunque vostra salute omai si muova,

E vegna dentro al cor, che lei aspetta,
Gentil madonna, come avete inteso:
Ma sappia che all'entrar di lui (21) si trova
Serrato forte di quella saetta,

Ch' Amor lanciò lo giorno ch'io fui preso,
Per che lo entrare a tutt' altri è conteso,
Fuor ch' a' messi d'Amor, ch'aprir lo sanno
Per volontà della virtù che 'l serra. (22)

(20) Perchè ciascun che vi mira, conosce in verità di fuor, dal vostro aspetto, che dentro al cuore è pietate, alberga la compassione.

(21) Per questo verso abbiamo varie lezioni. Intanto possiamo subito fissare la lez. ma sappia, contro i numerosi mss. che hanno ma sappi; perchè il Poeta parla sempre in 2 pers. plurale. Dovremmo tutto al più, per non urtare la grammatica, leggere sappiate (sappiate che all' entrar di lui...), come ha il rd. 184 e il r. 1083. Sappi fu una corruzione di sappia, e sappiate provenne da un sappi, che si dovette modificare per evitare l'errore patente. Il soggetto di sappia è salute. Il lui dell'emistichio seguente (all'entrar di lui) non si riferisce a salute, che è di genere femminile, ma a core. Sicchè non dovremo intendere: quando la salute (il saluto) si farà davanti al core per entrare, o quando starà per entrare. Ma: in su l'ingresso del core, in su la porta del core, esso (core) si trova serrato ecc. Però non tutti i mss. leggono all'entrar di lui; alcuni hanno: Ma sappia (o sappi) che l'entrar di lui (cioè l'ingresso, la porta del core) si trova serrato (b, m, cg, cs, as, l. 40, 44, r. 1156, 2823 ecc.). Quale accetteremo delle due lezioni? Ci sembra la prima, essendo molto frequente nei mss. migliori (b', r, r', 1, 1', p, p', m'ecc.).

(22) Intendi: Ma la vostra salute (il vostro saluto) sappia che all'entrar di lui, cioè sull'ingresso, sulla porta sua (del core), il core si trova serrato forte,

chiuso ermeticamente a causa di quella saetta, ch'Amore vi lanciò lo giorno ch' io fui preso, m'innamorai di voi; perchè fin da quel momento, lo entrare, l'ingresso, fu conteso a ogni altro saluto, meno ch' a' messi d'Amor, ch' aprir lo sanno per volontà della virtù che 'l serra; vale a dire, per volontà di quella medesima virtù che lo serrò. In altri termini, perchè le porte del cuore si disserrino, è necessario che vengano aperte da quella medesima virtù che le chiuse. Come si vede, il significato è semplicissimo: Dante vuol fare intendere alla Pargol., che dal momento ch'egli la vide, non potè amare altre persone. Sicchè è chiaro che al v. 48 non vi sono allusioni a Beatrice, come vollero i commentatori.

Il contenuto di questi versi non ci fa pensare al son. V della donna gentile? Togliete via le vostre porte omai, Ed entrerà costei, che l'altre onora. Alla donna gentile era permesso di sorpassare le porte del cuore di Dante. Ecco che allora il sonetto, che a molti sembrò tanto strano, riceve nuova luce dichiarativa. Per il v. 59 alcuni mss.legg.: A tutt'altre (o a tutte) è conteso (p, b', v. 7182). Si volle forse semplificare la lez., come fece qualcuno al v. 46. Vedi la nota 17. Ma pure il Poeta parla in genere (sebbene, venendo al caso speciale, allude a donne) senza riferirsi ad esseri maschili o femminili: ce lo dice il verso seguente. Qualche ms., sull' esempio del v. 37, legge: A tututti è conteso (r, r. 1093, 1. 90, 37).

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65.

Onde nella mia guerra (23)
La sua venuta mi sarebbe danno,
S'ella venisse senza compagnia

De' messi del signor, (24) che m'ha in balia.
Canzone, il tuo andar vuol esser corto,

Chè tu sai ben, che picciol tempo omai
Puote aver luogo quel, per che tu vai. (25)

(23) Nell' affanno, nelle angustie in cui mi trovo.

(24) S'ella, la vostra salute, venisse senza compagnia de' messi d'Amore.

(25) Canzone, il tuo andar dev'essere breve, spedito, perchè tu sai bene, che poco tempo può rimanere in vita quella

persona, per la quale tu vai, tu sei mandata. L'urb. 687 ce lo dice chiaramente: Che tu sai che poco tempo omai Può durar quello, per lo qual tu vai. Qualche ms. legge: Che tu sai ben che poco tempo omai (rd, v. 7182 ccc.).

SESTINA III.

Al poco giorno ed al gran cerchio d'ombra
Son giunto, lasso! ed al bianchir de' colli,

Questa è la sestina che nei manoscritti viene riportata sempre col nome di canzone, e che a torto fu compresa tra le quattordici del Convito. Dante la citò due volte nel De Vulg. Eloquio (II, 10; II, 13). Questo genere di sestina fu un componimento proprio dei provenzali, dove si distinse Arnaldo Daniello, che si dice ne fosse l'inventore. — Il primo peraltro, che, imitando i Provenzali, arricchisse l'italiana poesia d'un genere di versi siffatto, fu Dante Alighieri con questa e con le altre due sestine, per le quali die' fin d'allora a divedere che la nostra lingua poteva atteggiarsi alle forme d'ogni più scabro componimento. E scabro componimento è appunto la sestina; poichè... i sei versi delle sue sei stanze, oltre i tre del commiato, debbono terminare con le medesime voci, con ordine alternativamente inverso, il che richiede nel poeta molta copia di concetti e grande artifizio – (Fraticelli, pag. 159).

La presente sestina si riferisce, come vedemmo, alla Pietra o Pargoletta, e apre il secondo gruppo di rime che a lei si riferiscono. E l'apre dopo un intervallo di circa due stagioni; perchè, mentre la canzone «La dispietata...», ultima del primo gruppo, fu scritta alla fine della primavera del 1308, essa invece fu composta verso la fine dell'autunno di quel medesimo anno. Essa rappresenta quasi il racconto degli avvenimenti passati, ed è come il riassunto e la rivelazione di quanto si svolse fino a quel tempo. Vedi a pag. 191.

5.

IO.

15.

Quando si perde lo color nell'erba : (1)
E 'l mio desio però non cangia il verde,
Si è barbato nella dura pietra,

Chè parla e sente come fosse donna. (2)
Similemente questa nuova donna

Si sta gelata, come neve all'ombra;
Chè non la muove, se non come pietra,
Il dolce tempo (3) che riscalda i colli,
E che gli fa tornar di bianco in verde,
Perchè li copre di fioretti e d'erba.
Quand' ella ha in testa una ghirlanda d'erba,
- Trae della mente nostra ogni altra donna;
Perchè si mischia il crespo giallo e 'l verde (+)
Si bel, (5) ch'Amor vi viene a stare all'ombra;
Che m'ha serrato tra piccoli colli

(1) Qui il Poeta non vuol dire che è pervenuto alla stagione invernale, ma che si trova in autunno, quando ormai la campagna incomincia a intristire, i colli s'imbiancano per mancanza di vegetazione e si perde il colore nell'erba. Il bianchir de' colli non dipende dalla presenza delle nevi, ma da questa mancanza di vegetazione e di verde, come avverte il verso seguente (3). In dicembre o in gennaio le erbe sono già abbastanza alte. Che si tratti di novembre, ci viene dichiarato anche dalle prime parole della sestina, dove si dice che i giorni si sono accorciati in modo straordinario, e si fa notte assai presto (Al poco giorno ed al gran cerchio d'ombra...).

(2) E il mio desiderio amoroso, sebbene la natura incominci a intristire, non perde punto il suo vigore, cosi forte è abbarbicato nella dura pietra (nella donna), che parla e sente ecc.

(3) Come la neve non si scioglie, non si risente all'ombra, dove non arrivano i raggi del sole, cosi (similemente) questa nuova donna si sta gelata, rimane insensibile; perch' essa, come pietra che nulla sente, non viene smossa dalla dolce

stagione primaverile. Cfr.: Dolce tempo novello, quando piove ecc. (Canz. IV, 67). Col dir questo il Poeta si riferisce alla primavera trascorsa, quando egli la richiese d'amore. Non credo che nuova abbia il significato di giovane, pargoletta, donna di novella età; ma quello di strana, diversa dalle altre, come donna che non si lascia intenerire dall'affetto dell'amante, contro il famoso detto Amor, che a nullo amato amar perdona. Anche noi lo diciamo comunemente : Oh! l'è nuova! Mi riesce nuova davvero!

(4) Cfr. come questa descrizione risponde bene ai versi 29-36 della ball. I: Poi colse di quei fiori, Ch'a lei parean più begli... E a' suoi biondi capegli Se gli giva legando: Ed ivi a poco stando Mi die la ghirlandetta. Il crespo giallo sono i capelli biondi e ricciuti: La Pargol. era ricciuta e bionda. Qualche ms. legge: Si mischia il crespo giallo al verde (b, v. 3213 ecc.). (5) Si bellamente, in un modo cosi bello.

(6) Che è pron. relativo, e vuol dire : quell'Amore che...

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