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CANZONE.

D

OGLIA (1) mi reca nello core ardire
A voler, ch'è di veritate amico: (2)
Però, donne, s'io dico

Questa canzone, che è essenzialmente morale, doveva far parte del Convito, ed era appunto destinata, come Dante ci avvertì, a chiusa di quell'opera: vedi a pag. 22. L'argomento che qui si svolge, è la virtù presa nel vero senso della parola, la virtù che deve guidare l'uomo nel <«< corto e breve viaggio» della vita. Chi si discosta da essa diviene servo vilissimo, come l'avaro, che, dominato dalla sete dell'oro, si crea una schiavitù volontaria, e non può avere un momento di pace. Tale confronto costituisce, per così dire, l'episodio più bello e più importante del componimento. Questa canzone fu ricordata da Dante stesso nel De Vulg. Eloq. (II, 2), dove ci disse di aver voluto celebrare con essa la Virtù o la Rettitudine, che dev'essere presa dall'uomo quale direttrice della propria volontà.

Per determinare il tempo in cui la canzone fu scritta, abbiamo mezzi credo sufficienti, perchè un esame attento del contenuto ci assicura ch'essa va ravvicinata con altre rime, delle quali s'è stabilito il probabile tempo di composizione. Queste sarebbero le due ultime canzoni scritte per la donna gentile, vale a dire quella che incomincia «Le dolci rime...» e l'altra che le segui a breve distanza, «<Poscia ch' Amor... ». Infatti, se si osserva bene, è sempre un medesimo concetto quello che ci mena gradatamente dal principio alla fine. La prima, come dicemmo, è la canzone della nobiltà o gentilezza. Ivi si parla « del valore, per lo qual veramente è l'uom gentile » (12); si riprova il giudizio di coloro, « che voglion che di gentilezza sia principio ricchezza » (15). Dante con essa si proponeva di combattere la nobiltà dell'origine e delle ricchezze, che per sè sono nulla, quando riman

5.

Parole quasi contro a tutta gente, (3)
Non vi maravigliate,

gono scompagnate dalla virtù e dalla nobiltà dell'animo. Questo concetto ritorna anche nella canzone seguente « Poscia ch' Amor...». Nella prima s'era detto che la virtù è sempre necessaria per la leggiadria, ma che non è virtù soltanto quella che la forma; sono varie cose riunite insieme, che fanno un tutto armonico e bello (101-120). Nella seconda si ripete lo stesso. Le due definizioni della leggiadria rispecchiano in ambedue i componimenti lo stesso motivo, si può dire senza variazione. Per la gentilezza, per il valore, è necessaria la virtù, senza la quale non può esistere (« è gentilezza dovunque virtute »); ma essa da sola non basta, occorre qualche cosa di più, giacchè non tutti gli uomini virtuosi, «< la gente onesta », possono e debbono essere leggiadri : «Sarà dunque causata, mischiata di più cose (Poscia ch'Amor..., 8.4). Sicchè le due canzoni sono collegate tra loro intimamente; la definizione della seconda ci richiama quella della prima; solo che nella seconda l'argomento è svolto con maggiore ampiezza e trattato più di proposito. Qui infatti troviamo una vera e propria definizione ragionata della leggiadria: «Sollazzo è, che convene Con esso Amore e l'opera perfetta » (89).

La canzone (( Doglia mi reca.....» prende appunto le mosse di qui. Stabilito che per la leggiadria occorrono due cose, virtù e bellezza (Poscia ch'Amor..., 89-95), e che cessa mancando una di esse, il Poeta viene subito a constatare un dato di fatto, la mancanza di una di queste condizioni, per conchiudere che sulla terra non v'è amore nel vero senso della parola, e quindi leggiadria. Anzi quando la canzone si apre, il Poeta accenna a un fatto già noto, ch'egli non crede opportuno dimostrare, essendo manifesto ed avendone già parlato nella canzone precedente. Gli uomini, aveva detto, non amano mai per virtù;

Non sono innamorati

Mai di donna amorosa:

Ne' parlamenti lor tengono scede:

Non moverieno il piede

Per donneare a guisa di leggiadro;

Ma come al furto il ladro,

Cosi vanno a pigliar villan diletto.

« Poscia ch'Amor...», 48.

Parole che giustificano il principio della canzone « Doglia mi reca.....»,

Ma conoscete il vil vostro desire: (4)

Chè la beltà, ch'Amore in voi consente,

che le avrebbe tenuto dietro, senza le quali non sarebbe stato troppo logico. Ammesso che l'uomo è cosi vile, da disprezzare la virtù, condizione indispensabile per raggiungere il vero amore, sarebbe bene, dice Dante, che le donne nascondessero la propria bellezza e disdegnassero di amare. Cosi egli si rivolge alle donne direttamente, per avvertirle d'un fatto che aveva provato nella canzone precedente: Io dico a voi che siete innamorate,

Che se virtute a noi

Fu data, e beltà a voi,

Ed a costui di due potere un fare,

Voi non dovreste amare,

Ma coprir quanto di beltà v'è dato,

Poichè non è virtù, ch'era suo segno.

<< Doglia mi reca...», II.

La donna non deve mettersi in mostra, come bestia che si vende. La bellezza deve destare l'amore nell'uomo, ma non dev'essere fine esclusivo del matrimonio. La bellezza senza virtù genera passione, e la passione non regolata è causa di schiavitù. Ecco.come sorge l'episodio dell'avaro (64-126). L'uomo divenuto bestia e servo dei propri sensi, va in cerca di <«< villan diletto... come al furto il ladro ». È appunto su questo concetto, che si fonda e s'aggira tutta la canzone presente: Disvelato v'ho, donne, in alcun membro,

La viltà della gente che vi mira,

Perchè l'abbiate in ira.

127-129.

Ecco quindi lo scopo del componimento, il quale, come s'è visto, presuppone << Poscia ch'Amor...», da cui si prendono le mosse. Le tre canzoni sono dunque collegate tra loro in modo da non potersi separare; rappresentano tre anelli consecutivi. Dalla prima, che ricerca la leggiadria e riprova la falsa opinione di chi la ripone nelle ricchezze, si viene gradatamente alla terza, che condanna l'amore ed esorta a non amare. In questo modo le tre canzoni esauriscono l'argomento e formano una serie completa. Sicchè se « Poscia ch'Amor...» va riportata al 1303, dovremo dire che la canzone presente non potè essere scritta molto dopo; deve appartenere alla fine di quell'anno, o alla prima metà del 1304.

E c'è anche un altro particolare, che c'induce a ravvicinare i

A virtù solamente

Formata fu dal suo decreto antico,

tre componimenti: il motivo che spinge il Poeta a scrivere. Questo motivo, che potrebbe sfuggire a chi li considerasse isolatamente, è il dolore; quel medesimo dolore che altrove dicemmo proveniva dall'esilio e dalla lontananza della sposa. Anzi si osservi; le tre canzoni si aprono allo stesso modo: Il Poeta, non potendo più scrivere « dolci rime d'amore », perchè il dolore non glie lo permette, dirà del valore, Per lo qual veramente è l' uom gentile, Riprovando il giudizio falso e vile - della gente (Le dolci rime..., 1-15). Egli canterà « disamorato» per dolore, Contr'al peccato, Ch'è nato in noi di chiamare a ritroso Tal, ch'è vile e noioso, Per nome di valore, Cioè di leggiadria (Poscia ch'Amor..., 1-12).

Doglia mi reca nello core ardire

A voler, ch'è di veritate amico:

Però, donne, s'io dico

Parole quasi contro a tutta gente,
Non vi maravigliate.

1-5.

Quale mirabile corrispondenza non v'è dunque tra loro! Tanto il motivo che l'argomento rimangono sempre invariati: il dolore e il desiderio di riprovare la falsa opinione della gente; la ricerca della leggiadria e i mezzi per raggiungerla.

Questo carattere di riprovazione si riscontra anche nella canzone «Tre donne.........». Anzi, se si osserva bene, possiamo dire che vi appariscono gli stessi motivi. Perchè anch'essa veniva scritta per condannare l'ingiustizia, e anch'essa veniva ispirata in un momento di abbattimento morale, prodotto dal desiderio di quella stessa donna, per cui s'era lamentato nelle tre canzoni di cui abbiamo finora parlato: il desiderio della patria si confondeva con quello della sposa, termine ultimo de' suoi ideali. E infatti la canzone « Tre donne... » non fu posteriore di molto a «Poscia ch'Amor...», e quindi all'ultima delle tre canzoni intorno alla leggiadria, essendo stata scritta, come si disse, nel 1305. E allora ci valemmo di altri argomenti. Sicche tutti questi componimenti sono collegati tra loro e connessi in modo armonico, da non potersi disgiungere senza grave danno. Cio serve anche a non farci riportare prima dell'esilio, o innanzi all'epoca da noi stabilita, quelle ultime canzoni che furono scritte per la donna gentile.

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