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zione che avevano, le frappose alle altre della Pargoletta. L'opera era compiuta; lo scopo era stato raggiunto: Non rimaneva che arrestarsi, poichè l'andare oltre sarebbe stato lavoro inutile e gravoso. La grande concezione della Divina Commedia lo rapiva nell'estasi della visione, e le sue forze dovevano concentrarsi tutte quante nell'opera, che gli avrebbe assicurato la fama dei secoli.

Se l'ordinamento che presentano i manoscritti, non è quello che Dante s'era proposto in origine, ma rappresenta solo un ripiego, al quale ricorse per identificare le due donne, dobbiamo ora ricercare quale esso fosse, ricostruendo il vero schema del Convito con l'aiuto di tutto il lavoro preparatorio, che fin qui siamo venuti facendo. Credo opportuno premettere che le canzoni del Convito dovettero essere disposte per ordine cronologico o di composizione. Non si confonda però lo schema originario con quello che ci fu poi lasciato da Dante; chè sono due cose distinte. Ciò potrebbe trarci in errore, o per lo meno servirebbe a condurci lontano dalla soluzione del problema. Che Dante si proponesse fin da principio di mantenere l'ordine cronologico, è una deduzione legittima. Si osservi infatti: Le prime tre canzoni sono disposte, come vedremo, cronologicamente; si commenta prima « Voi, che intendendo... », poi le altre due che furono a vicenda scritte più tardi; le due ultime («Tre donne... » e «Doglia mi reca... ») sono fuori del numero di quelle amorose, e sappiamo ch'erano destinate per gli ultimi due trattati. Se dunque per il Convito, come abbiamo dimostrato, non si debbono ricercare altre canzoni all'infuori di quelle che i manoscritti registrano tra le quindici distese, e se le prime tre sono disposte cronologicamente, e le ultime due d'argomento morale sono come di

vise dalle altre, mi sembra logico conchiudere che anche le rimanenti dovevano essere ordinate secondo il medesimo criterio. Così il Convito sarebbe risultato di due, o meglio di tre gruppi di rime: Il primo sarebbe stato formato dalle canzoni scritte per la donna gentile; il secondo da quelle scritte per la Pietra o Pargoletta; in fine avremmo avuto due canzoni morali, quasi a chiusa dell'opera.

Stabilito ciò e compreso l'artificio adoperato da Dante, allo scopo di rimuovere da sè l'infamia di « tanta passione aver seguitata », la ricostruzione si presenta facile: Basta un po' di buon senso.

Si rimuova innanzi tutto la prima e l'ultima canzone; il loro posto non è quello. Ed avendo in proposito detto abbastanza, è inutile ch'io stia a riassumerne le ragioni. Queste due poesie sono collegate tra loro così intimamente, che non si possono separare; dovettero essere composte senza dubbio con brevissimo intervallo di tempo. Un esame interno ce ne persuade. Ma siccome dovrò ritornare su quest'argomento, quando parlerò delle rime che si riferiscono alla Pargoletta, per ora non me ne occupo. (Si veda il cap. I della Parg.). Anche il Witte (2) intese la necessità

(1) E così infatti doveva essere, altrimenti come avrebbe fatto il Poeta a mostrare il continuo crescendo del suo amore per la Filosofia? Allo stesso modo che l'amore per le due donne s'era venuto in lui accentuando, si sarebbe accentuato anche questo. Non poteva di certo incominciare con «Così nel mio parlar...», e poi rivolgersi a « Voi, che intendendo...». Doveva esservi tra le varie canzoni un legame logico, che giustificasse i vari passaggi: È chiaro. Ora questo legame tra le rime del primo gruppo e quelle del secondo, esiste realmente, perchè, mentre in quelle non si parla di vera passione sensuale, in queste invece si; anzi s'incomincia appunto con una canzone passionale, che può rappresentare benissimo l'anello di unione dei due gruppi. Il periodo alquanto calmo che precedette la composizione di essa, non figura nella raccolta, perchè ivi non si fa menzione delle ballate.

(2) II WITTE (loc. cit.), nella sua ipotetica ricostruzione delle 14 canzoni del Convito, confrontando i versi « El (Amore) m'ha per

SANTI. Il Canzon, di Dante Alighieri, II.

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di accoppiarle, ma poi assegnò loro senza ragione il VII e l' VIII trattato. Se dunque le due ultime canzoni del Convito dovevano essere le due morali, ed esse erano precedute da quelle per la Pargoletta, le quali, dicemmo, dovevano essere disposte secondo un ordine cronologico o di composizione, ne segue che, volendo assegnare un posto a « Così nel mio parlar...», dovremo scegliere senz'altro l'ultimo del gruppo, al quale essa si riferisce. Questa infatti è la canzone della vendetta, dove l'amante disprezzito chiede con tutta la bile e con tutto il risentimento soddisfazione alle sue pene prolungate. La serie si doveva chiudere con una canzone di vendetta: Nemmeno sarebbe logico e decoroso per Dante pensare che, dopo quella canzone, avesse ancora continuato a scriver versi. La musa si dovette intristire, dopo lo sfogo della forte passione che l'aveva fatto fremere. In seguito lo vedremo meglio. Ma se la presente canzone non può essere staccata dall' altra « Amor dacchè... », ne segue che quest'ultima deve precedere « Così nel mio parlar...».

Ora che abbiamo fatto questo primo passo nella nostra ricostruzione, s'incomincia a vedere un po' più chiaro: Conosciamo infatti le prime tre canzoni e sappiamo quali fossero le ultime quattro.

cosso in terra, e stammi sopra Con quella spada, ond' egli ancise Dido » della canzone << Così nel mio parlar...», con un passo del Convito (IV, 26), dove pure si nomina Didone, dai lacci della quale Enea, dopo la caduta, seppe liberarsi; argomenta doversi ritenere sicuramente che la canzone predetta («Cosi nel mio parlar...») fosse destinata al VII trattato. Ciò è falso: Egli non si avvide che Didone, in quei versi, è nominata solo per incidenza e quasi per figura retorica. La canzone fu spiegata dal Witte simbolicamente: La donna cantata rappresentò per lui la filosofia. E così infatti doveva essere, ammettendo, com' egli ritiene, che le canzoni del Convito fossero esclusivamente morali. Se il VII trattato era destinato alla canzone «<Cosi nel mio parlar.....», l'ottavo, egli dice, doveva essere per l'altra « Amor dacchè...». Ma il lato debole del suo lavoro è appunto questo; di asserire senza provare.

Intanto si levi di mezzo la sestina « Al poco giorno... ». Essa non c'entra, perchè la vivanda da Dante apparecchiata era di 14 canzoni; un componimento del resto, non c'è via di mezzo, dev'essere sacrificato; perchè i manoscritti ne registrano 15. Ma qui, prevedo, mi verrà mossa una difficoltà. Se l'ordinamento dei manoscritti va riportato a Dante, per quale ragione, potrebbe osservare qualcuno, la sestinal « Al poco giorno... », fu da lui inserita tra le canzoni del Convito? La ragione mi pare semplicissima. Chi conosce quella sestina si sarà dovuto accorgere ch'essa rappresenta una gran chiave per intendere l'amore che riguarda la Pargoletta. Qualora Dante l'avesse lasciata in disparte, qualcuno forse avrebbe potuto trarre di li argomento per riconoscere l'inganno ideato. La donna ispiratrice è infatti quella stessa delle altre canzoni: Una leggiadra giovane dai capelli biondi, che muove alla danza, inghirlandata d'erbe e di fiori, apparsa per incanto « tra piccoli e altissimi colli »>. Quella sestina non poteva essere trascurata; chè in tal caso sarebbe riuscito troppo facile sorprendere per mezzo di essa l'artefizio. Questa fu la ragione, per la quale Dante pensò di inserirla tra le altre rime, poco curandosi se quelle, invece di 14, divenissero 15. Del resto la quindicesima canzone avrebbe parlato d'un altro amore, di quello per «< una crudel donna » amata veramente dal Poeta, come si sapeva; canzone che, per il posto che occupava, poteva essere anche scartata o confusa con le altre. L'idea era buona; la confusione voluta pareva che in certo modo si potesse raggiungere.

Ora, dando un'occhiata allo specchietto, quale risulta con le piccole modificazioni introdotte, ci accorgeremo subito che si trovano ancora fuori di posto due canzoni. Queste sono: «E' m' incresce... » e « Poscia ch'Amor... »; messe li, tra quelle della Pargoletta, allo scopo di confondere i due amori. Esse, l'avverto subito, non si riferi

scono, come vedremo, a Beatrice o ad altri, ma alla donna. gentile; e sono collegate strettamente tra loro, come lo sono le ultime due della Pargoletta, perchè composte una dopo l'altra, nell' ordine ch'io le ho citate. Ce lo dicono infatti non solo i caratteri interni, ma anche i manoscritti. Mi son preso la noia, esercitando un po' di pazienza, d' osservare quanti fossero i manoscritti che le presentano riunite, e, mettendo da parte quelli che danno la serie completa (i quali però mostrano che dall' ordinatore furono prese come si trovavano e frammischiate alle altre), ho trovato che la maggior parte di essi, anche alcuni di quei disordinatissimi, le riportano di seguito, trascrivendo prima « E' m'incresce...», quindi « Poscia ch'Amor... ». Lo stesso si dica delle due canzoni « Tre donne... » e « Doglia mi reca.....», le quali, sappiamo, dovevano esser riunite in quel modo che il Convito c'indicó. Se i manoscritti non ci menano alla medesima conclusione per « Amor dacchè...» e per «Così nel mio parlar... », è facile comprenderne la ragione. Dante, che assegnò loro gli antipodi, lo venne ad impedire. Ciò è caratteristico, perchè neppure un manoscritto le riunisce; ed è anche una bella conferma di quanto fin'ora s'è detto, perchè ci mostra che gli amanuensi non trascrivevano a capriccio, ma, per quanto introducessero del soggettivo e del personale nelle loro copie, mantenevano sempre il sustrato dell' esemplare che tenevano sott'occhio.

«E' m' incresce... » e «Poscia ch'Amor... >> vanno dunque riunite. Già dissi ch'esse si riferiscono alla donna gentile; ora aggiungo che furono dettate in esilio, e precisamente nei primi anni.(1) Ammesso questo, ch'io asse

(1) Del resto per ora nemmeno sarebbe necessario spingerci fino a quel tempo. Ci basta osservare ch'esse vanno riportate certamente a un periodo posteriore a quello, nel quale furono scritte le prime tre canzoni del Convito.

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