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Poeta aveva errato. Poco fa abbiamo riunito due sorelle disperse, vale a dire la canzone «< Amor, che nella mente... » e la ballata «< Voi, che savete », alla quale si accennava nel commiato:

Canzone, e' par che tu parli contraro
Al dir d'una sorella che tu hai;
Chè questa donna, che tant' umil fai,
Quella la chiama fera e disdegnosa.

Ora è il caso di riavvicinare due fratelli, che, dispersi per il mondo, dimenticarono quasi la loro paternità. I due fratelli, l'ho detto, sono: «Parole mie . . . », « O dolci rime...». Basta leggerli per ravvisarli; stimo quindi inutile farvi dei raffronti. A me, appena balenò l' idea, mi parve d'aver colto nel segno; ne ero pienamente convinto: Ma non mi contentai dei soli argomenti interni; ricorsi ai manoscritti. Il laurenziano XL, 49 e l'ottoboniano 2321 trovai che li riportavano nell'ordine richiesto. Ciò rappresentava già qualche cosa; ma quale non fu la mia sorpresa e insieme la mia soddisfazione, quando in due manoscritti trovai delle didascalie, che confermavano a puntino la mia ipotesi?

Uno di questi fu il riccard. 1094, il quale in fine alle solite 14 (0 15) canzoni del Convito, riportando a c. 135a i due sonetti <« Parole mie...», « O dolci rime...» nell'ordine che loro assegnammo, diceva: Queste due cançone o vero stançe si truovano poste sotto quella cançona che comincia Voi che 'ntendendo. L'altro fu un urbinate, il 687,(1) che, in mezzo a vari altri componimenti di Dante, registrava, a c. 35, sempre con lo stesso ordine, i medesimi sonetti, facendoli precedere dalla preziosissima didascalia: - Questi

(1) Tanto per questo che per il ricc. 1094 vedi in fondo al vol., all'elenco dei mss.

sono duo sonetti che fe' Dante a quella sua cançon che comincia Voi che intendendo il terço ciel movete

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Sicchè, è chiaro, nel sonetto «O dolci rime... » non si allude a un componimento «< qui lui a été attribué », come disse il Ginguéné,) e che Dante voleva ripudiare; nè molto meno vi si deve scorgere una scusa materiale di un trascorso giovanile, come ritenne qualcuno, battendo le orme del D'An

cona. (2)

Non si creda però che la notizia dei due manoscritti vada accettata a occhi chiusi. Che « Parole mie...» voglia alludere a «< Voi, che intendendo...», non c'è dubbio; ma non ne segue che il sonetto si debba riferire a quella canzone esclusivamente, e che le dovesse seguire subito dopo, come potrebbe sembrare dalle didascalie. Anzi vi debbono essere interposte altre rime. Già da qualche tempo Dante aveva inneggiato alla donna «< disdegnosa », per la quale aveva preso a scriver versi, intonando « Voi, che intendendo...». Il mondo li conosceva, poichè s'erano diffusi (per lo mondo siete) ed eran noti da un pezzo; altre parole, dopo quei primi versi, erano uscite dalla sua penna (Voi, che nasceste poich' io cominciai A dir per quella donna...). Se il copista riferì il sonetto direttamente alla canzone, dipese dal fatto ch'essa v'era menzionata; nemmeno gli passò per la mente che altre poesie dolci e soavi (O dolci rime...), erano state già scritte; quelle dolci rime, che nella misteriosa isoletta del Purgatorio avrebbero fatto intenerire Casella, il musico cortese, sotto il limpido cielo, dove « l'aere non si turba » e lo spirito, scevro della carne, spazia liberamente. Quelle sì, eran le dolci rime d'amore, che avevano commosso il Poeta nella vita mortale, come il canto della pace serena che risuonava di cornice in cornice nella mistica montagna della purificazione.

(1) Littérature d'Italie, chap. VII.

(2) Loc. cit., pag. 89.

E del resto che i due sonetti fossero stati scritti vario tempo dopo le prime rime della donna gentile, ce lo dice chiaramente la prima terzina del sonetto « Parole mie...»>: Con lei non state; chè non v'è amore: Ma gite attorno in abito dolente,

A guisa delle vostre antiche suore.

Se quelle rime che erano incominciate da che il Poeta aveva intonato « Voi, che intendendo...», sono dette antiche, vuol dire che tra quella canzone e i due sonetti presenti erano già passati degli anni. È dunque necessario porre tra loro quell'intervallo, che noi dicemmo essere indispensabile per spiegare lo svolgimento di quest'amore. Non potremmo di certo far seguire le rime studiate a breve distanza l'una dall'altra, come fu fatto da qualcuno; si verrebbe a contradire Dante stesso.

Scrivendo « Amor, che nella mente...», Dante si scusava di quanto aveva detto nella ballata, coll'osservare ch'era stato indotto a mentire dal soverchio bisogno d'amore; chè l'anima sua era quasi inferma e « di troppo desio era passionata» (Conv., III, 10). Egli aveva considerato le cose secondo l'apparenza, non secondo la realtà.

Cosi, quand'ella la chiama orgogliosa,
Non considera lei secondo il vero,
Ma pur secondo quel che le parea.

« Amor, che nella mente...», 81.

Nel sonetto di scusa si ritorna sullo stesso motivo: Quel fratello era stato troppo imprudente a parlare in quel modo. Io vi scongiuro che non lo ascoltiate

Per quel signor, che le donne innamora;
Chè nella sua sentenza non dimora

Cosa, che amica sia di veritate.

Quart. II.

È sempre quell'alto e basso, che, come dicevo, si attenuerà solo col tempo e col cessare delle rime d'amore. Poniamo dunque dopo le due sorelle i due fratelli carnali, dei quali non possiamo stabilire troppo minutamente l'epoca della nascita. Questo però è certo, ch'essi vennero alla luce a brevissima distanza tra loro.

A voi verrà, se non è giunto ancora,
Un, che direte: Questi è nostro frate.
«O dolci rime...», quart. I.

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Ai due sonetti dovette seguire senza lungo intervallo la canzone << Le dolci rime d'amor... »; ce lo dice perfino il principio. Le dolci rime d'amore sono infatti quelle stesse, alle quali accennava il sonetto, e che, nominate in un modo così esplicito, presuppongono una cosa già nota. Bisognava che Dante abbandonasse quegli argomenti così dolci; forse vi sarebbe ritornato in seguito; e bramava sperarlo veramente.

Le dolci rime d'amor, ch'io solia

Cercar ne' miei pensieri,

Convien ch'io lasci; non perch' io non speri

Ad esse ritornare,

Ma perchè gli atti disdegnosi e feri,
Che nella donna mia

Sono appariti, m'han chiuso la via
Dell'usato parlare.

Quando fu scritta questa canzone? Dante stesso ce ne dà l'epoca; ma quant'è vaga per una determinazione! — E conciofossecosachè questa mia donna un poco li suoi dolci sembianti trasmutasse a me, massimamente in quelle parti

ove io mirava e cercava se la prima materia degli elementi era da Dio intesa, per la qual cosa un poco da frequentare lo suo aspetto mi sostenni, quasi nella sua assenza dimorando, entrai a riguardar col pensiero il difetto umano intorno al detto errore. E per fuggire oziosità, che massimamente di questa donna è nemica, e per distinguere questo errore che tanti amici le toglie, proposi di gridare alla gente che per mal cammino andavano, acciocchè per diritto calle si dirizzassono; e cominciai una canzone, nel cui principio dissi: Le dolci rime d'amor ch'io (1) solia - (Conv., IV, 1). Dante dunque, prima di venire a questa composizione, si sarebbe astenuto per qualche tempo dal frequentare l'aspetto della sua donna: per la qual cosa un poco da frequentare lo suo aspetto mi sostenni. È questa una confessione, o una menzogna? Dovremo cioè ritenere ch'egli si fosse astenuto veramente dal frequentare la sua donna, ovvero lo dica solo per adattare i versi della canzone al senso che voleva loro dare, alterando così le cose, come s'era proposto nello scrivere la prosa? In parte è forse un ripiego, adoperato per spiegare la causa del raffreddamento ch'ivi apparisce; ma un fondamento di verità vi dev'essere. Si noti intanto una leggera contradizione, che mostra lo sforzo voluto e le difficoltà che il Poeta dovette incontrare, nel torcere ad altro significato le rime che facevan parte del Convito. Egli

(1) Qualora si sapesse quando Dante si occupò di determinare se la prima materia degli elementi era da Dio intesa, la questione cronologica della canzone sarebbe bella che risoluta. Ma per noi la notizia rimane quasi un'enimma, come fu di quell'altra che ci avrebbe guidato a stabilire l'epoca precisa della canzone precedente, « Amor che nella mente...»; voglio dire la notizia che riguarda il tempo in cui Dante sarebbe rimasto offeso della vista. Questa parte della cronologia delle rime per la donna gentile è la più incerta e la meno determinata, mancandoci quei documenti che in tal caso ci servirebbero. Vuol dire però che, nella loro mancanza, ci aiutano molto gli argomenti interni, i quali riescono quasi sempre sufficienti.

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