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nerò partitamente. E prima dell' aere Stabiano, mettendo per ora da banda quanto ne dicono Sencca e Plinio, di cui in seguito dovrò far parola, sarà sufficiente il testimonio di Galeno, ottimo conoscitore e giudice di queste cose. Parlando egli dell' aria di questa Città, dopo aver commendata la curvatura de' suoi colli fino al mare, dice così (1) » Questo Colle (Lattaro) >> adunque rende sicuro il piano da que' venti, » che spirano dall' Oriente, cioè lo Scirocco, il » Levante, il Greco. A tal Colle nel più basso >> del piano si unisce un'altro non piccolo Colle, » che gli antichi Romani nelle loro Istorie, e quelli, che sono più avveduti, dinóminano » Vesuvio. Questo monte è assai celebre a tutti » per le fiamme, che vomita. E ciò appunto >> mi assicura, che non poco influisca a rende»re asciutto quell'aere. D'altra parte in detto

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piano non vi si osservano nè laghi, nè sta» gni, nè fiumi. Lo stesso Colle del Vesuvio >> si contropone a tutti i venti, che sogliono » dominare dalla Primavera fino al declinare del» la State; e da esso ne discende moltissima. » cenere, che è il risultato delle materie, che >> vi si son consummate, o che attualmente bru» ciano il tutto conduce mirabilmente alla sec» chezza di quell' aria. » Così Galeno della salubrità dell' aere Stabiano. E quantunque l'attuale Città non comprenda nel suo perimetro varii di que' Colli, che v'erano al tempo di Galeno; essendone stati separati il monte Lattaro, Gragnano, Pimonte, e Vico-Equense ciò non pertanto essa gode delle medesime pre

(1) Galeno del metodo di curare. Lib. V. cap. 12.

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rogative. La sua posizione non è menomamente cambiata, niuna mutazione vi è avvenuta niuno sconvolgimento, o disastro, onde abbia potuto alterarsi quell'aere. È vero, che hannovi parecchi, i quali o per invidia, o per poca conoscenza del luogo, voglion negare a questa Città un tal pregio, e dicono esser l'aria malSana e soggetta a mutazione nella State. Ciocchè io pure credetti da prima, dando ascolto a coloro, che me l'assicuravano. Ma la mia stessa sperienza mi persuase della falsità di simili asserzioni. (Se pur non vogliam dire, che ciò si sparga a bella posta da coloro, che sono avari; affinchè pel timore dell' alterazione dell'aria in tempo di State, e di Autunno, spaventati i Napoletani, non si muovano ad incomodarli con le loro visite, e loro permanenza). Io infatti, che giunsi in questa Città nel mese di Novembre, vidi che l'aria dovea esser pura, e perfetta, nonchè molto giovevole alla salute, per le ragioni indicate da Galeno; avendo ravvisato il luogo oltremodo ameno per la varietà dilettevole di monti, di pianure, di valli; bagnato dal mare, libero da qualunque palude, o lago, e da qualsivoglia cattiva esalazione di vapore nocivo; che anzi ripieno di aliti sulfurei, e depurato da' sottili effluvii di sale ammoniąco. E ciocchè dal principio opinai, ho veduto esattamente verificato col decorrer degli anni, specialmente ne' tempi di Autunno, e di Està. Questo stesso si conferma con maggiore evidenza da quella moltitudine, che in ogni anno si porta nella fine di Luglio sul Monte Aureo. a venerare il Santuario di S. Michele Arcange lo, di cui in prosieguo farò parola con più

distinzione) la quale giunge talvolta fino a tremila fra nazionali, e stranieri; e dimorando per più giorni colassù, e discendendone ne' primi giorni di Agosto, non si è mai osservato, che alcuno ne abbia sperimentato il minimo nocumento nella salute. Di un tal Monte così parla Capaccio (1), Scrittore accuratissimo, e testimone oculare. » Che se voglia alcun sospettare, » che la vicinanza di questo Monte (Aureo) » debba produrre dell' umidità a delta Città, » ponga egli mente alla serenità del suo Cielo, >> alla favorevole influenza del vicin Mare, e >> così resterà convinto, che un tale incomodo » verun danno non le possa produrre. »

A tutto questo si aggiunga, che Carlo II. d'Angiò si trascelse questa Città a luogo di sua delizia; e per la salubrità dell' aere vi edificò un Palagio, che al presente vedesi quasi abbandonato (2); ed avendo sperimentata la sua

(1) Capaccio nella Istoria Napoletana luogo citato.

(2) Al tempo, che scrivea l'Autore il Real Casino di Quisisana era quasi abbandonato ; ma in seguito il Re FERDINANDO I., di sempre felice rimembranza, lo ha ingrandito, ed abbellito; avendovi aggiunto un delizioso giardino, circondato da moltissimi, e lunghi viali, aperti nelle vicine selve, ed altre delizie proprie della calda stagione. Questo giardino, unitamente agli altri beni Farnesiani del Regno, l'avea il Re Ferdinando ricevuti qua l'erede, per l'intermezza persona del Re Carlo suo padre di Elisabetta Farnese, seconda moglie di Filippo V. Re di Spagna dapoichè Ottavio Farnese nel 1598 credendo a se spettare il cennato giardino, ed altri fondi, allora posseduti da Pietro Giovanni di Nocera di Castellamare, ne istituì il giudizio di revindica; e dopo una strepitosa lite, lo cbbe per tranzazione, mediante il pagamento di ducati 12192, come dall' istromento de'15 Aprile detto an. per Notar Gio: Simone Pepe di Napoli. Ivi

posizione molto giovevole, gli diè il nome di Qui si sana, (1) come anche attualmente si appella. Questo stesso sito fu scelto dal Re Roberto, e da lui ampliato, in modo che ne fu creduto il fondatore; quandocchè in realtà lo fu Carlo II., e quivi appunto egli generò il suo figlio S. Lodovico Arcivescovo di Tolosa, che poi nacque in Nocera (2). Il Re Ladislao ad evitare la peste, che affliggea oltremodo il Regno, in questa Città venne a stabilirsi, ed ivi si trattenne fino a che non fosse cessato il pericolo (3) locchè leggiamo, aver fatto anche la Regina Giovanna II. col suo figliuolo adottivo Alfonso di Aragona, per sottrarsi anch'essi al contagio, che devastava in tal tempo il Regno (4). Veggano dunque tutti coloro, che sinistramente opinano dell'aere Stabiano, in quali errori li abbia menati la poca conoscenza di sto sito Che se ne avessero avuta una perfetta cognizione, son persuaso, che diversamente ne

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era solito il Re Ferdinando trattenersi più mesi dell'anno; e non una volta la Regina Maria Carolina d'Austria di lui moglie, di pur gloriosa memoria, vi riacquistò la salute; in guisacchè per l'intero corso di sua vita non tralasciò mai di venirvi ad abitare in ogni anno nella State: sistema proseguito ancora dal Re Francesco, loro figlio, il quale lo ha di molto ampliato, facendovi edifieare delle nuove fabbriche, ad aggiungere delle nuove delizie. Not. del trad.

(1) Gio: Antonio Summonte. Istoria di Napoli Tom. III. p. 296.

(2) Lo stesso Summonte luogo citato Lib. II. cap. 10. Scipione Mazzella descrizione del Regno di Napoli p. 16. (3) Lo stesso Summonte luogo citato Lib. II. cap. 10. (4) Lo stesso Summonte p. 596 nel luogo citato.

avrebbero giudicato. Ma passiamo a parlare degli altri pregi di questa Città.

Fu essa celebre presso gli antichi per la multiplicità delle acque, onde Columella scrisse così (1).

Fontibus, et Stabiae celebres.

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In prima è a marcarsi il fiume Sarno, che un tempo fluiva interamente per mezzo del territorio Stabiano, e di presente ne bagna solamente una parte, ove si dice il Ponte della Persica; ed ivi separa questa. Diocesi da quella di Nola al luogo propriamente nominato Bottaro. Questo fiume è opportuno ad irrigare le terre, che lo fiancheggiano, ed offre il ristoro agli uomini, ed animali. Nel luogo detto la Fontana esiste un' abbondantissima sorgente di acqua pura, limpidissima, che sgorgando dalla falda del monte non molto discosto dal Porto, e formando quasi un laghetto, è giovevolissima ad ogni genere di persone, e soprattutto a'naviganti. Que sť acqua pochi passi discosto dalla sua sorgente va ad animare non pochi Mulini, i quali posti alla riva del mare riescono utilissimi a' cittadini non solo, ma benanche a' stranieri. Dalla parte opposta, e nell' ingresso della Città sulla strada, che porta a Gragnano, avvi. altro aquedotto abbondantissimo, che calando da' Monti, i quali la sovrastano, dopo aver servito ad altri non pochi Mulini, se ne avvalgono innumerevoli possessori di fondi per irrigare le loro terre. La intera Città poi gode di altri pubblici, e privati aquedotti, che sono avvivati da copiose sorgenti

(1) Columella, che fiorì nell' an di C. 58. Lib. X. della coltivazione degli orti.

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