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NOTE

alla Lezione sessantesimaseconda

1 Si potrebbe stampare un libro eru- anche l'adultero; nella prima nondimeno ditissimo intorno a questa omissione; ed si parla bensì di morte, ma non di lapidail Rosenmüller (Schol. in Ioan. VII, zione; ma questa è espressa nella seconda, 53 et VIII) nelle presso a quattro pagine ampliandola a casi analoghi, ed era modo che vi spende, ne dà un saggio molto di pena molto usato presso gli Ebrei. pregevole; ma al mio proposito basta averlo 8 SELDENUS Uxor, hebr. (Lib. III, cap. accennato. Solo noterò, che in alcuni Le-11); Michaelis, Mosaisches Recht zionari greci si legge questa narrazione (Tom. V. §, 260).

per la festa di S. Pelagia e di S. M. Egizia- Lo dissero i principali stessi della ca; nè lascerò la congettura di S. Ago- nazione innanzi al Preside romano: Nobis stino (De adult. coniug. Lib. II, cap. 7), non licet interficere quemquam (Ioan. essersi forse da qualcuno nel principio XVIII, 31).

questo fatto preteríto, per tema, non forse 10 Di quelle esecuzioni tumultuarie a le donne ne potessero pigliare baldanza furia di popolo, contrarie alle leggi roalla infedeltà coniugale. mane, ma pure tollerate dai Romani, il più

2 Concil. Trid. Sess. IV, nel cui De- cospicuo esempio si ha nella lapidazione creto si colpisce di anatema chi non ac- di S. Stefano (Act. VII, 54-59); ma non cetta (come canonici) libros ipsos cum om- ne mancano altri vestigii (Ioan, X, 31; nibus suis partibus.

3 PATRITII, Comm. in Ioan. ad v. 53, Cap. VII.

Act. V. 26; XIV, 5, 19; 11. Cor. XI, 25).

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Ap. Alapide Comm. in Ioan. VIII, 4.

11 HIERONYMUS, Adver. Pelag. II, 17. 12 Le parole di quei codici greci, rese Che in questi 11 versi si scontri italiane sono queste: Scriveva in terra i qualche voce non adoperata da S. Gio- peccati di ciascun di loro. vanni nel resto del suo Vangelo, non può 13 AMBROSIUS, Epist. LXXVI. bastare a negare, che sia sua questa parte, trovandosi nel resto del suo Vangelo al- Sopra questo disordine del condancune voci da lui non usate, che una sola nare la persona in altri ciò, che ammette volta. Per contrario in questo tratto si leg-in sè ed approva, S. Gregorio (Moral. gono voci e maniere usurpate altrove da Lib. IV, Cap. 18) scrive così: Qui enim Giovanni e non dagli altri Evangelisti. Così semetipsum prius non iudicat, quid in alio il яapalaμßávev in senso di deprehendere; rectum iudicet ignorat. Et si noverit forl'hoc autem dicebant tentantes eum; il tasse per auditum quid rectum iudicare ne ultra pecces. Cf. Ioan. VI, 6; V, 14; etc. debeat; recte tamen iudicare aliena merita 5 Matth. XXI, 17; Luc. XXI, 37; non valet, cui conscientia innocentiae proXXII, 39. priae nullam iudicii regulam praebet. Hinc 6 ADRICHOMIUS et ROLAND in Descript. est enim quod insidiantibus quibusdam et puniendam adulteram deducentibus, dici

Palaest.

7 Levit. XX, 10; Deut. XXII, 22. Que-tur: Qui sine peccato est vestrum, primus sta seconda legge addice alla pena capitale in illam lapidem mittat.

16 Il Grimm (Lex. Gr. Lat. in Lib. N. Esdr.). XIII, 7; X, 37. Così ne discorre il T.) alla voce рeßúτepos sotto il 2. a. scri-Wilk (Clavis N. T. Philolog. a. h. v.). Alve: Est nomen dignitatis, quo ornantur quanto diversamente ne giudica il Geseapud Iudaeos assessores magni Synedrü, nius (Lex. Hebr. et Chald. in V. T. lie cita Matth. XVI, 21; XXVI, 42; Mar. bros p. 198 a, 609 b). Da Giuseppe Flavio VIII, 31; XI, 27; Luc. IX, 22; XX, 22;|(De Bell. Iud. Lib. V, cap. 2.) sappiamo, Ioann. VIII, 9; Act. IV, 5, etc. che il Gazofilacio era posto sull'atrio delle

17 In questo verso 10 il greco ha più donne al lato occcidentale del tempio. Ma pienamente: E rizzatosi Gesù, e nessuno questa mi pare troppo lieve autorità, per vedendo, salvo la donna ecc. Crede poi giustificare la disinvoltura di alcuni esegeti l'Alapide, che il nessuno qui ed il solus alemanni, i quali in questo luogo voltano del verso precedente si debbano riferire senza piu l' ἐν τῷ γαζοφυλακίῳ per in atrio ai soli accusatori, non vi essendo nessuna mulierum. ragione di pensare, che non vi si dovessero trovare gli Apostoli e la turba, che stavano ad udire gl' insegnamenti del Signore, quando la donna gli fu presentata. 18 AMBROSIUS, Epist. LXXVI.

19 Sono citati dal Maldonato Comm. in Ioan. VIII, 11.

20 Si vegga a questo proposito il testo di Ugone da S. Vittore recato nella Nota 1, alla Lezione VII.

21 Ioan. XIX, 7.

27 I. Mach. XIV, 49.

28 Ioan. VII, 33, 34.
29 Lezione LXI.

30 CHRYSOSTOMUS, In Ioan. Homil. L, al. XLIX.

3 IANSENIUS, Comm. in Concord. Ev. Cap. LXXVI.

32 MALDONATUS, Comm. in Ioann. VIII, 21. E si osservi, che nelle tre volte, che Gesù pronunziò quella sentenza, la prima (vers. 21) nel greco e nel latino si ha il

22 Verum est testimonium luminis, sive singolare: iv tỷ áμaptíą, in peccato; le alse ostendat, sive se abdat. Augustinus, In tre due (entrambe al v. 24) nella prima Ioan. Tract. XXXVI, 4. in tutti e due i testi si ha il plurale: ¿v

23 Quella legge si trova in sentenza rais paptians, in peccatis; nella seconda Deut. XVII, 6; XIX, 15, Cf. Matth. il greco ha il plurale, il latino il singoXVIII, 16. lare. Standone dunque all'originale, si ren

Si potrebbe domandare come que- de assai plausibile l'opinione di quell' Inste parole: Si me sciretis etc. non ripu- terprete, nel primo caso parlarsi del pegnino alle altre (Ioan. VII, 28): Et me culiare peccato d'infedeltà; nel secondo scitis et unde sim scitis. Ma la risposta è in generale dei peccati.

33 Ioan. VII, 35.

34 ALAPIDE, Comm. in Ioan. VIII, 24; da lui si cita il Lirano.

35 AUG., in Ioan. Tract. XXXVIII, 8. 36 VEN. BEDA, Expos. in Evang. Ioan.

37 TOLETUS, Comm. in h. 1.
38 Exod. III, 14.

facile osservando, che qui si parla del conoscerlo come figliuolo di Dio, dalla quale conoscenza sarebbe stato inseparabile ile conoscere anche il Padre; laddove colà si concede, si lascia correre, e forse non senza qualche ironia, che i Giudei lo co- Cap. VIII. noscevano, secondo che essi aveano detto, solamente quanto alla natura umana. Questa mi pare una sufficiente soluzione del 39 Se quel grande Interprete avesse dubbio, senza bisogno di ricorrere all'al- voluto dire, che tale intelligenza era nitra recata da Origene (Homil. in h. 1.); che mis subtilis per quei Giudei di grossa pasta, qui si parli ai Farisei che nol conosceano, pei quali cose assai meno alte riuscivano colà ai Gerosolimitani che lo conosceano. poco meno che incomprensibili, avrebbe 25 Ioann. V, 46; Lezione XLII. detto verissimo; e nessuno pretende, che

26 Nehem. (iuxta text. hebr. in Vulg. II, coloro dovessero vedere nell'ego sum di

42 AMBROSIUS, De Fide, Lib. II, cap. 4; Hexam. Lib. I, cap. 2, et 4.

questo luogo, o nell'ego sum qui sum dell'Esodo, tutto ciò che appresso vi videro S. Agostino e S. Tommaso. Ad essi basta- 43 PATRITII, Comm. in Ioan. VIII, 25. va il credere così in generale che Gesù era Non si può dubitare dell' uso di quel vero Figliuolo del Dio, che avea parlato a τὴν ἀρχὴν, od anche solamente ἀρχὴν nel Mosè. Ma ciò non toglie, che una parola senso di prorsus, affatto. Il Rosenmüller della Scrittura possa contenere senso più (Schol. in Ioan. VIII, 25) lo mostra con ampio e più profondo di ciò, che è ri- esempii chiarissimi di Platone, Demostene, chiesto dal fine immediato, pel quale si Erodoto, Senofonte, Filone ed altri. Solo profferisce. Il che è tanto più certo, quanto fa un po' di difficoltà il vedere, che quelche si tratta di un parlante, il quale nell'uso non ha alcun altro esempio nel N. profferire la sua parola, vede già quanto T., e certo non se ne fa cenno dal Wilk gli uomini, nella lunghezza di tutti i se- e dal Grimm, entrambi Filologi sacri dicoli, saranno per vedervi; e quindi cer-ligentissimi. Nondimeno, come dissi nella tamente con quella parola ha voluto dire Nota 4, S. Giovanni ha qualche parola quanto le umane intelligenze vi sapranno sua propria, non usata dagli altri Evanscoprire di vero e di bene. Questa fu l'opera gelisti, e da lui non adoperata talora, che della grande scienza cristiana; ed intendo una sola volta: questo tv apxv, nel senso non erudizione, ma scienza, quale in Teo- di prorsus, potrebb'essere una di quelle. logia non fu nè può essere, che la Sco- Nel resto, se la spiegazione proposta non lastica, servita da una Filosofia a sè omo- soddisfacesse, si potrebbe abbracciare l'algenea. L'opera fu scandagliare sempre piú tra, che sottintende al tv àpxǹv la prea fondo le verità rivelate, per trarne fuori posizione xxτà (maniera comunissima ai verità sempre più ampie e più eccelse. Greci); sicchè valesse da principio. Allora Così dall'Ego sum qui sum dell' Esodo la sentenza di quella risposta sarebbe: Io si raccolse l'assoluta identità dell'essenza sono quegli, che da principio vi dico, vi coll'esistenza in Dio, pel quale l'esistere sto dicendo. Ciò soddisfa; ma ciò richieè lo stesso suo essere; dal che, per la ra- de una trasposizione di parole, la quale gione dei contrarii, si raccolse la reale al Patrizi (1. c.) sembra satis inconcinna, distinzione, nelle creature, dell'essenza dal-e non a torto. l'esistenza: verità, che è uno dei precipui 45 AUG., in Ioan. Tract. XXXVIII. cardini dell'umana Filosofia. V. S. Thom. 46 S. THOMAS, 3. p. q. 10. a. 3. In solo Deo esse et essentia sunt idem 47 Il greco ha οὐκ ἔγνωσαν, ὅτι τὸν πατέρα realiter, p. 1, q. 2, a. 1; q, 3 a. 4; q. 5. auтois éλɛyev Tóν Debν: non conobbero che loro a 6; q. 12; a. 2. et passim. Ma soprattutto del Padre parlava, del Dio; dove il λéyw è si vegga l'opuscolo De Ente et Essentia. usato in senso attivo, come potrebbe usarsi il In quel secolo barbaro si chiamava Opu- nostro parlare, ed è notato nel Vocabolario, scolo; ma nel nostro civilissimo è tale ope48 Ioan. III, 14. ra, che pochi intelletti ne sosterrebbero la gravità.

al.

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49 CHRYSOSTOMUS, in Ioan. Homil. LIII, LII..

50 S. THOMAS Sum. Theol. p. I, q. 25,

51 Rom. VIII, 17.

52

Magnum dictum! utique magnum! Ego sum lux mundi. Chrysost. In Ioan. Homil. LII, al. LIII.

53 Ioan. III, 19.

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Ep. Iud. v. 13.

LEZIONE LXIII.

Seguono le dispute di Gesù coi Giudei.
Questi vogliono lapidarlo, ed ei si ritira.

IOANNIS, VIII.

ham non fecit.

53. Nunquid tu maior es patre nostro Abra46. Quis ex vobis ar- ham, qui mortuus est? guet me de peccato? Si et prophetae mortui veritatem dico vobis, sunt. Quem teipsum faquare non creditis mihi? cis?

ster Abraham est. Di- ritatem dico, non crecit eis Iesus: Si fi- ditis mihi. 31. Dicebat ergo Iesus lii Abrahae estis, opera ad eos, qui crediderunt Abrahae facite. ei, Iudaeos: Si vos man- 40. Nunc autem quaeseritis in sermone meo, ritis me interficere, hovere discipuli mei eritis: minem, qui veritatem 47. Qui ex Deo est, 51. Respondit Iesus: Si 32. Et cognoscetis ve- vobis locutus sum, quam verba Dei audit. Pro- ego glorifico meipsum ritatem, et veritas libe- audivi a Deo: hoc Abra- pterea vos non auditis, gloria mea nihil est: est rabit vos. quia ex Deo non estis. Pater meus, qui glori33. Responderunt ei: 41. Vos facitis opera 48. Responderunt er- ficat me, quem vos diSemen Abrahae sumus, patris vestri. Dixerunt go Iudaei, et dixerunt citis, quia Deus vester et nemini servivimus itaque ei: Nos ex forni- ei: Nonne bene dicimus est. unquam quomodo tu catione non sumus nati; nos: Quia Samaritanus 55. Et non cognovidicis: Liberi eritis? unum patrem habemus es tu, et daemonium stis eum; ego autem no31. Respondit eis Ie- Deum. habes? vi eum; et si dixero, sus: Amen, amen dico 42. Dixit ergo eis Ie- 49. Respondit lesus: quia non scio eum, ero vobis: quia omnis, qui sus: Si Deus pater ve- Ego daemonium non ha- similis vobis, mendax. facit peccatum, servus ster esset,diligeretis uti-beo: sed honorifico Pa- Sed scio eum, et sermoest peccati. que me: ego enim ex trem meum, et vos in- nem eius servo. 35. Servus autem non Deo processi, et veni: honorastis me. 56. Abraham pater vemanet in domo in ae- neque enim a meipso 50. Ego autem non ster exultavit, ut videternum: filius autem veni: sed ille me misit. quaero gloriam meam : ret diem meum: vidit, 43. Quare loquelam est qui quaerat, et iu- et gavisus est. 36. Si ergo vos filius meam non cognoscitis? dicet. 57. Dixerunt ergo Iuliberaverit, vere liberi Quia non potestis audi- 51. Amen, amen dico daei ad eum: Quinquare sermonem meum. vobis: si quis sermonem ginta annos nondum 37. Scio, quia filii 44. Vos ex patre dia- meum servaverit, mor- habes, et Abraham viAbrahae estis: sed quae- bolo estis, et desideria tem non videbit in ae-disti? ritis me interficere, quia patris vestri vultis fa- ternum. 58. Dixit eis Iesus: sermo meus non capit cere: ille homicida erat 52. Dixerunt ergo Iu-Amen, amen dico vobis; ab initio, et in veritate daei: Nunc cognovimus, antequam Abraham fie38. Ego,quod vidi apud non stetit: quia non est quia daemonium habes. ret, ego sum. Patrem meum, loquor veritas in eo: cum lo- Abraham mortuus est, 59. Tulerunt ergo laquae vidistis quitur mendacium, ex et prophetae: et tu di-pides, ut iacerent apud patrem vestrum, propriis loquitur: quia cis: Si quis sermonem eum: Iesus autem abmendax est, et pater meum servaverit, non scondit se, et exivit de gustabit mortem in ae- templo.

manet in aeternum.

eritis.

in vobis.

et vos,

facitis.

39. Responderunt, et eius. dixerunt ei: Pater no- 45. Ego autem si ve-lternum.

I.

Essendo

in

ssendo, riveriti Ascoltatori, la libertà dell'arbitrio, come cantò il vostro Poeta Filosofo, il maggior dono, che Dio facesse creando a tutte e sole le creature intelligenti', ne sèguita, che l'esercizio di quello, sciolto da qualsiasi illegittimo impaccio, sia, in tutte le maniere di libertà individuale, domestica, civile

e politica, il bene più degno dell'uomo, e tra gli umani il più prezioso, il meno possibile ad essere compensato o ristorato con altri. Di ciò veramente la odierna generazione non ha alcun bisogno di essere istruita: essa non pure se ne presume persuasa, ma se ne mostra infatuata; e porta pur troppo i panni laceri e le membra peste dagli sforzi erculei, non sempre onesti, e talora anche iniqui, messi in opera per raggiungere un siffatto bene. Ma sgraziatamente, ignorando essa, come tutte le generazioni prima e fuori del Cristianesimo ignorarono, che di tutte quelle libertà è per dignità reina, come è per logica necessità radice quella libertà morale, di cui solo Cristo fu al genere umano autore e maestro, ne è avvenuto, che noi, separatici da Cristo, ci troviamo, per questo rispetto, condannati a deplorare un doloroso ed umiliante spettacolo, che lasceremo per triste, ma salutare istruzione ai nostri posteri. E lo spettacolo è questo; che quanto più codesti uomini millantarono libertà, e tanto più sentirono multiplicarsi e costringersi i loro ceppi; di guisa che quando s'immaginarono di aver tocco il non plus ultra della libertà, allora appunto erano precipitati nel non plus ultra del servaggio, con quel pessimo e più di tutti abbietto suggello del servaggio, che è perderne perfino il sentimento. Non dirò che questa precisamente sia la condizione della società, in cui viviamo; ma egli basta guardarsi un poco i polsi e la borsa per convincersi, che a gran passi vi si cammina. Si! miei riveriti Signori! Quanto più noi, separandoci da Cristo, smarriremo la pratica ed eziandio il concetto della libertà morale, e tanto più cresceranno le negazioni tiranniche delle altre libertà, e le superbie puerili, e i vantamenti stolti di possederle tutte.

Facendosi sempre più serrate e più ardenti le dispute di Gesù coi Giudei, si venne a toccare questo punto della libertà, della quale erano pazzamente gonfii quei miserabili mancipii, meno dei Romani e degli Erodi, che delle loro malnate passioni. Ed allora il Signore ne prese l'occasione di proporre loro il genuino e grandioso concetto della vera libertà da lui portata al mondo. A quei disgraziati la nuova dottrina non fece alcun prò; ed anzi essi, come aveano fatto di tutto il resto, la volsero in veleno, per via sempre peggio astiarne il male odiato Profeta; ma quella dottrina restò nel Vangelo come perenne monumento, dal quale le società cristiane impararono il segreto di tutte le libertà pub

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