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ria nei libri talmudici ", che egli, nel domestico suo orto, avea una pianta di senapa, sopra la quale solea ascendere come sopra di una ficaia.

Io non sono davvero partigiano di quella fantasia abbastanza strana, la quale vollero chiamare generazione spontanea 15; ma è indubitato, che l'opera dell' uomo, benchè in molti casi indispensabile alla vita vegetale, ha tuttavia molto limitata efficacia allo svolgimento di quella; talmente che quando l'uomo ha affidato il seme alla terra debitamente preparata, appena gli resta a fare altro, che guardare ed aspettare. Il resto lo fa il seme da sè, o piuttosto lo fanno i varii agenti, che concorrono all'attuazione, e vogliamo dire al pieno esplicamento della virtù seminale chiusa in quel granello: vi concorrono la terra, l'acqua, l'aria e soprattutto i corpi celesti, che meno di tutti il paiono; ma l'uomo, che pose in terra il seme, non vi fa attorno più altro, se non coglierne il frutto, quando sia maturo. Questo fatto naturale porse materia al Redentore da esporci in una parabola, come quella maravigliosa virtù aumentativa del seme evangelico, che testè vedemmo adombrata nel granello di senapa, si sarebbe esplicata lungi dalla presenza sensibile di chi avealo messo in terra; il quale, fatta quella prima seminagione, s'è ritirato, nè ricomparirà colla sua persona, se non al tempo della mèsse; cioè al dì del Giudizio. E s'intende da sè, che qui si nega intervenirvi la sua azione visibile; chè quanto all' invisibile essa non manca, non può mancare mai, e nella stessa vegetazione è indispensabile e perenne. Ecco dunque come si legge in quel luogo di S. Marco: << Il regno di Dio è come un uomo, che sparga la sementa in ter<< ra; che ei poscia dorme, e si leva di giorno e di notte 1o, e la se« menta (intanto) germina e cresce, mentre egli neppure vi << pensa (così pare si debba intendere quel dum nescit ille). Per<< ciocchè la terra fruttifica da sè prima l'erba, poi la spiga, poi << il pieno frumento nella spiga ". Quando poi avrà prodotto il frutto, tosto quell' uomo vi mette la falce, perchè la mèsse già << si presenta. » Quel dormire di notte e levarsi di giorno: dormiat et exurgat nocte ac die è una maniera ebraica, somigliante all'altra, forse più espressiva, di entrare ed uscire 18, e valgono entrambe fare le sue cose, attendere alle proprie faccende; l'ultro poi, congiunto al fructificat, detto della terra, nel greco è aútoμátη ʼn rñ, e non significa già che la terra rechi frutto, senza

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che altro agente vi concorra; ma significa senz'altra opera d'uomo; e da Erodoto 19 e Diodoro 20 quella voce è applicata in questo senso precisamente alla terra.

IV. Chiunque conosce in qualche modo ciò che era il genere umano prima di Cristo, e ciò che è divenuto poichè in esso fu sparso quel po' di dottrina, che era la sustanza e come il nucleo del S. Evangelo; chi, dico, conosce ciò, può intendere il profondo significato di questa paraboletta, la più breve di tutte, contenuta in un solo versetto (è il 33) di questo Capo XIII di S. Matteo. In esso si legge così: « Un'altra parabola favellò loro (Gesù): Simile « è il regno dei cieli a lievito, il quale una donna prende e na<< sconde in tre staia di farina " (chiamo staio il satum, ch'è mi« sura giudaica di circa 25 libbre) finchè tutta non sia lievitata » Dove quel totum fermentatum può forse intendersi per tutto in genere; ma io credo, che questo neutro, riferito a farina femminino, sia stato mantenuto dal greco, nel quale l'äλcupov, farina è appunto di genere neutro: maniera di enallage, che ha altri riscontri nel N. Testamento. Ma lasciando le parole, e venendo al concetto, singolare è davvero quell' azione del lievito, il quale in piccolissima mole, com'è, investe e pervade di sè una massa tanto maggiore di farina, e quasi la tira nel suo proprio essere per guisa, che non ne rimanga particella, quanto che tenuissima, che non ne sia lievitata. In somma, come notò S. Ambrogio ", Fermentum cum sit magnitudine parvum, specie simplex, natura commune, tantam fortitudinem intrinsecus gerit, ut.... totam massam faciat esse quod ipsum est. Or tale fu la strapotente virtù, diciamo così, assimilativa, che spiegò ed esercitò nel mondo quel poco lievito cristiano, postovi o meglio nascosovi dal N. Signore! Esso solo bastò a farlo tutto cristiano, fino nei più intimi penetrali della società domestica e civile; fino nelle più intime fibre del cuore umano. Nè vo' lasciare una molto pratica osservazione, che a questo proposito fa il Crisostomo 23, le cui parole nel nostro vulgare sono queste: «Se dodici uomini (intende gli Apostoli) bastarono a lievitare quasi tutta la farina, che è il mondo, ripensate attentamente quanta debba essere la nostra malizia, quanta la nostra ignavia, i quali non bastiamo a convertire queste reliquie del Gentilesimo, quando dovremmo pure potere soddisfare a mille mondi ». Fin qui il Santo. Che se a noi pare di non avere

resti gentileschi da condurre a Cristo, forse che non viviamo in mezzo ad un Paganesimo redivivo, sopra di cui non sarebbe difficile esercitare una molto efficace azione ristauratrice, solo che si avesse mente, e cuore informati dalla carità di Cristo? Ma chi vi pensa? chi se ne cura? Faccia anzi Dio che il Paganesimo redivivo, in vece di essere da noi ricondotto a Cristo, non sia piuttosto per distrarre noi da Cristo!

Alquanto analoga a questa del lievito è l' altra parabola della lucerna, perchè veramente e quello e questa sono ordinati a benefizio del mondo: quel primo con operazione quasi arcana, col farlo fermentare e perfezionarsi; questa seconda all'aperto, quanto può e deve essere la luce. È poi da osservarsi, che questa della lucerna non fu proposta colle altre alle turbe, ma fu detta in privato agli Apostoli, dopo che il Signore ebbe loro spiegate le altre parabole: il che ci dà la chiave alla intelligenza di questa; facendoci intendere il fine, al quale fu indirizzata. Fino allora avea Cristo comunicate molte e grandi verità agli Apostoli; e nelle ultime parabole, ad essi soli interpretate, avea loro aperti i grandiosi futuri destini del regno dei cieli, e dobbiamo intendere della Chiesa, che egli era venuto a stabilire nel mondo. Ora qui volle ammonirli, che se aveano ricevuta una tanta luce, non doveano ritenerla per sè; ma doveano spanderla attorno, perchè la fosse veduta da quanti più si potesse ; e gli Apostoli mostrarono col fatto, che non aveano ricevuta indarno una siffatta ammonizione. Dopo ciò, vi sarà agevolissima l'intelligenza della breve paraboletta. « E diceva loro (così si continua S. Marco alla

spiegazione del seme sparso): Forse che si reca una lucerna, << perchè sia posta sotto del moggio, o sotto del letto? O non la << mettono anzi sopra il candelabro, acciocchè quelli che entrano << veggano la luce? » Lo stesso ha S. Luca, del quale solo è quest'ultima frase, salvo che la reca non in forma d'interrogare, ma di affermare, e S. Matteo, in altra occasione, ha quasi il medesimo". Ho poi voltato il numquid venit lucerna per forse che si reca una lucerna, essendo manifesto, che trattandosi di lucerna, che non può venire da sè, quel venit richiede qualche altra cosa: p. e. in conclave, in cubiculum, ed ha sempre il senso di essere portata. Forse l' Epretat si potea voltare in infertur; ma supposto, che il Vulgato l'abbia reso per venit, con quel si reca si fa italiano insieme, e si spiega. Fu in oltre chi pensò 25, che per

letto si dovesse intendere, non quello, in cui si dorme o si giace per infermità, ma quello, in cui gli Orientali si adagiavano alla mensa, detto dai Latini lectulum triclinare, perchè vi si allogavano tre commensali; ma ciò non si deduce dalla voce xliv, la quale trovo adoperata nella Bibbia anche pei dormenti 26 e per gl'infermi ; nè credo si possa dalla loro forma dedurre, che il letto triclinare fosse meglio acconcio a nascondervi sotto la lucerna, che non il comune.

Detto ciò, Gesù aggiunse: « Chè non vi è cosa occulta, la << quale non sia manifestata, nè ascosa, che non sia conosciuta, « e non venga all'aperto. » Così S. Luca, e, con leggiere varietà nelle parole, anche S. Marco. Gl' Interpreti si travagliano non poco a trovare un nesso logico tra questo verso 22 ed il precedente; ma a me pare che non lo troveranno mai, finchè suppongono, qui affermarsi in generale (ciò che nel resto è verissimo), tutto a suo tempo dover' essere conosciuto. Ad un tale senso si possono accomodare queste parole; ma quando se ne vuole il senso proprio e letterale, esso non credo potere essere altro, che questo. Il significato intimo delle parabole, comunicato in privato agli Apostoli, era rimasto occulto e nascosto alle turbe, agli Scribi, ai Farisei: in somma a tutti, salvo i Dodici 28. Ora qui il Signore volle asserire, che la cosa non saria restata così; che tutte quelle dottrine sariano state conosciute, sariano venute all'aperto; ed il tanto, che se n'è sempre saputo e se ne sa nella Chiesa, ci mostra che quella predizione si è pienamente avverata. Egli poi ebbe ottimo destro a farla dall'avere menzionata la lucerna da mettersi sul candelabro; e lucerna principalmente doveano essere gli Apostoli, dai quali si sarebbe sparsa la luce, tra le altre cose, anche sopra di questa. Allora tuttavia quell'asserzione non dovett' essere dai presenti ben intesa; perchè vi troviamo aggiunta la formola, ond' egli solea richiamare l'attenzione sopra cose di non facile comprendimento: Si quis habet aures audiendi, audiat. Quest'ultima giunta è del solo Marco; ma Luca vi accoppia la dottrina già esposta altrove del darsi a chi ha, e del togliersi a chi non ha, o piuttosto si crede di

avere.

V. Cristo avea detto agli Apostoli, che li avrebbe fatti pescatori di uomini 29; e stando a questa immagine, il mare, in cui do

vea esercitarsi quella pesca, sarebbe stato il mondo, il quale per la profondità dei suoi gorghi, per le sue perpetue agitazioni e non rare tempeste, e soprattutto pei frequentissimi naufragi che vi si fanno, si può molto bene assomigliare al mare; tanto che nel mondo in generale si potrebbe riscontrare quel turbulentissimae profunditatis oceanum, che il M. Leone 30 vide nell' antica. Roma. Sopra questa analogia è fondata la parabola della rete messa nel mare; parabola molto somigliante a quella delle zizzanie, perchè in entrambe ci è rappresentata la mistione indiscreta di buoni e malvagi nella Chiesa, e ci si descrive il loro finale discernimento nel novissimo dei giorni, colla sola differenza, che, in quella prima, i malvagi ci si mostrano come soprasseminati dal diavolo ai buoni in questa seconda si suppongono trovarsi gli uni e gli altri indistintamente nella stessa rete; quantunque non senza l'opera del maligno, che già padrone di tutto il mare, non continuò, ma riprese il suo dominio sopra una parte dei pesci raccolti fortunatamente nella rete. È acconcia poi questa parabola, non meno dell'altra, a cessare dai Cristiani, anche sinceri e timorati, quella specie di maraviglia e quasi di scandalo, che talvolta prendono al vedere i tanti empii ed iniqui di ogni maniera, che pur troppo sono nel seno della stessa Chiesa. Si sa questa è rete, che raccoglie e spazza nel suo passaggio ogni cosa: aspettate che la sia tirata al lido, e vedrete. Dall' altra parte, è utile questa parabola eziandio per ammonire i buoni a non pigliare troppa fiducia dal trovarsi nella rete apostolica, cioè nella Chiesa: questo certamente è una insigne grazia, non può negarsi, e non potremo mostrarcene mai abbastanza riconoscenti alla pietà divina, che in quella graziosamente ci accolse; ma sicuri e fuori di ogni pericolo non saremo, se non quando sia fatta la cerna sul lido, e noi saremo stati tra gli scelti.

Aggiungendo pertanto questa alle altre parabole già proposte, il Signore disse: Ancora, il regno dei cieli (cioè l'Evangelo << o meglio la Chiesa) è somigliante ad una rete gettata nel ma«re, la quale raguna ogni maniera di pesci. E quando fu piena, « (i pescatori) la trassero fuori, e sedendo presso il lido, scelsero «< i buoni (e li riposero) in vari arnesi, ed i cattivi gettarono via. << Così sarà nella consumazione del secolo (cioè alla fine del << mondo): usciranno gli angeli, e separeranno i malvagi di mez<< zo ai giusti, e li getteranno nella fornace del fuoco: ivi sarà

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