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Dall' altra parte la promessa fatta di non lasciare difficoltà di momento nei quattro Evangeli, la quale non avesse la sua soluzione, nè notizia necessaria alla piena intelligenza del testo, che non trovasse il suo posto nelle Lezioni ovvero nelle Note; quella promessa, dico, fu ardimentosa, ed a chi conosce la vastità di questi studii, potrà essere sembrata anche troppo ardimentosa. Ora io avrei avuto mal garbo a volere restare (poniamo che improvvidamente mi vi fossi messo) in un letto di Procuste, nel quale mi sarebbe stato impossibile mantenere l'impegno preso. Certo anche colla maggiore ampiezza data al mio lavoro, sono persuaso che difficoltà a sciogliersi e notizie a recarsi mi saranno sfuggite; ma posso assicurare che nessuna ne notai io, o ne trovai notata dagli altri, la quale non fosse nei proprii luoghi inserita.

Vera cosa è che alcuna rara volta ho supposto, essere stata detta di nuovo dal Salvatore una dottrina od una parabola già da lui proposta, ed anche più raramente ho dato come riprodotto un fatto, perchè narrato con diversi aggiunti da diversi Evangelisti: esempligrazia la venuta dei parenti a cercare di Gesù, colle gravi ed istruttive parole da lui dette in quella congiuntura; ed è manifesto che, considerando come identici quei tratti, se ne sarebbe abbreviata di alquanto la esposizione. Ma oltre che per tal modo piccolo assai sarebbe stato il guadagno (forse i casi delle dottrine ripetute non giungono a venti, ed i fatti riprodotti saranno appena un paio), vi è da osservare che la maniera da me seguitata, la quale è la comune dei migliori Interpreti, e notantemente del Patrizi, mi si presentava come assai più conforme al vero, e meglio appropriata alla utilità di chi ascoltava o leggerà. Lasciamo stare la riproduzione dei fatti: chè per la sua rarità appena mi è ucpo considerarla; ma quanto alle dottrine, io reco sotto il Paragr. III della Lezione LXXV un indizio, che mi sembra indubitato, dell' avere il N. Signore proposto ai suoi uditori un documento morale, già da lui colle identiche parole pronunziato innanzi. Se dunque certamente ei lo fece una volta, non abbiamo alcuna ragione di dubitare dell'averlo anche fatto tutte le volte, che dallo studio accurato di un testo, e dal paragone di questo cogli altri ad esso analoghi, ci si rende manifesto che così fece. Nel resto questa ripetizione delle medesime dottrine se potea essere richiesta dalla piccola capacità dei discenti, rispondeva nel tempo stesso alla longanime benignità di un Maestro, il quale non potendo patire penuria di nuove cose a dire, se ridiceva le dette,

ciò non potea fare, che per chiarirne sempre meglio la intelligenza, e destarne più vivo il sentimento in chi le ascoltava. La quale utilità morale delle ripetizioni è stata eziandio la ragione, per la quale io non le ho schivate, ogni qual volta le condizioni del contesto lo esigevano, trattandosi di una Esposizione, la quale deve servire, non tanto a far conoscere cose nuove, quanto a far sentire le già conosciute; e dal conoscere al sentire vi è distanza grande, più grande che comunemente non si crederebbe.

Ed a questo proposito non lascerò di osservare come, nelle applicazioni morali delle dottrine evangeliche, essendomi proposto di preferire ed incalzare quelle, che mi parevano meglio appropriate ai bisogni del nostro tempo, io non ho potuto scegliermi di mio senno i luoghi per farlo. Quando avessi ciò potuto, non avrei mancato a quella specie di convenienza letteraria, che mi liberasse dalle apparenze di troppo insistente, e poco meno che d'indiscreto: io ho dovuto farlo, secondo che il séguito del testo me ne offeriva il destro. Di quì è avvenuto che in più di un caso ho dovuto in una Lezione tornare sopra un soggetto pratico, già toccato in una precedente e non molto lontana; quantunque mi sia adoperato sempre di farlo sotto diverse forme. Questo veramente non è grande disconcio, ed i SS. Padri non solevano molto guardarsene, quando giudicarono vantaggioso l'incontrarlo, come può vedersi specialmente nelle stupende Omilie del Crisostomo Ad populum Antiochenum; tra le quali appena è alcuna, in cui non si tratti e non di passata dello spergiurare, che era vezzo assai prevaluto in quel popolo. Il Santo più di una volta giustifica quel suo tanto ripetersi, come io potrei fare del mio assai minore, mostrando le utilità che certamente se ne debbono vedere, salvo il caso di opinioni preconcette, che vengano a guastare questa, come guastano molte altre cose. Ad ogni modo spero, non si avrà a male, almeno dalle persone discrete, che io nello esporre l'Evangelo al popolo, più che alle abitudini accademiche, mi sia attenuto agli esempii lasciatici dai Padri della Chiesa.

Al di là dei termini indicati più sopra, come raggiunti in questi quattro Volumi, mi restano ora tre Capi per ciascuno degli altrettanti Evangelisti, che nell' ordine della Bibbia vanno innanzi a S. Giovanni, come gli andarono di tempo, e nove di questo; se non fossero otto versetti (6-13) del Capo XXVI di S. Matteo, e sette (3-9) del XIV di S. Marco; i quali tratti essendo posti dove si trovano per una manifesta posticipazione nella storia, dovettero es

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sere anticipati nella Esposizione, e si troveranno inseriti al loro luogo, e propriamente nella Lezione LXXX. Questi 18 Capi, dei quali non meno di una metà è di S. Giovanni, pei prolissi e profondi Sermoni da lui solo riferiti, come tenuti dal N. Signore nell' Ultima Cena; questi Capi, dico, ci offrono con uguale pienezza e con ammirabile consonanza la storia della Passione, e dei conseguenti misteri di Gesù risorto e non m'incresce, sono anzi molto contento, che l'essermi in parte ingannato nei miei computi, mi abbia condotto a trattare questa parte capitalissima dei quattro Evangeli, come cosa tutta a sè in un quinto ed ultimo Volume: il quale spero di poter pubblicare nei primi mesi del venturo anno. Anche in quello certamente studieremo Gesù Cristo; ma lo studieremo sotto un aspetto tutto speciale, e distinto molto spiccatamente da quello, onde ci fu presentato nella parte precedente degli Evangeli; e ben pare che i quattro narratori ispirati, entrando in quest'ultimo Atto, se così potessi esprimermi, del grandioso e sacrosanto dramma teandrico, vi assumano un'aria, non dirò solo più mesta, chè il soggetto stesso il portava, ma più ponderosa, più solenne, che ben ci mostra avere essi sentita tutta l'immensa portata di ciò che narravano. Fin qui essi ci diedero ad ammirare l'Uomo Dio come Taumaturgo, e come Maestro del genere umano; quinci appresso il ci mostreranno come Vittima innocentissima pei peccati del mondo; e nelle sublimi sue ignominie e nei dolori ineffabili, a cui soggiacque, ci daranno la chiave a disserrare quel tremendo arcano della innocenza che soffre: arcano, innanzi a cui l'umana Filosofia resta mutola, quando non voglia bestemmiare; e per contrario la Economia cristiana nel mistero della Croce, che è quasi il culmine, il non plus ultra di quell'arcano, trionfa non pure trovandovi la soluzione dei più formidabili problemi umani, ma attingendone eziandio il principio delle più nobili speranze divine.

In questi 18 Capi narrandosi dai quattro Evangelisti i medesimi fatti, la contenenza ne resta non dirò ridotta ad un quarto, ma certamente accorciata di molto; e però, anche a tener conto delle apparenti antilogie da comporvi, e dei Sermoni riferiti dal solo S. Giovanni, forse non darebbero materia sufficiente ad un Volume dettato col medesimo metodo, onde furono i precedenti. Ma alle circa venti Lezioni, che mi occorreranno ad esporre quest' ultima parte degli Evangeli, dovrò aggiungere alla fine di quelle varii e copiosi Indici: parte essenzialissima e quasi vitale di un lavoro siccome

questo; colla quale giunta non so se mi verrà fatto mantenere a quest'ultimo le medesime dimensioni dei Volumi precedenti; ma studierò che non le soverchi gran fatto. Sia nondimeno come si voglia di ciò, sarà bene fin d'ora dichiarare la ragione ed il modo di uno di questi Indici, destinato ad occorrere ad un incomodo, che il lettore deve avere cominciato a sentire fin d'ora, ed al quale non potrà provvedere, se non quando ne abbia alla mano il mezzo, che ho divisato di fornirgliene.

L'esporre i quattro Evangeli, non ciascuno da sè, ma concordati, cioè conducendone il comento per così dire di fronte, è certamente l'unico mezzo da farne rilevare ed apprezzare la stupenda unità, onde più Evangeli costituiscono un solo Evangelo; da farne eziandio notare la grande identità nella sustanza, e la non minore diversità nelle forme; le armonie perenni che ne risuonano, e le rare dissonanze che a prima vista sembrano scontrarvisi: a comporre le quali egli basta talora mettere a riscontro l'uno dell' altro i testi analoghi tra loro o paralleli, come pure li chiamano. Nondimeno da un siffatto metodo è inseparabile il non lieve inconveniente di sminuzzare i quattro testi, intrecciandone le parti dell'uno a quelle degli altri per guisa, che divenga poi assai malagevole il trovare in forse due migliaia e mezzo di pagine quella, nella quale un verso dato od un séguito di più versi sia esposto. Un tale inconveniente sarà quasi al tutto rimosso col presidio di un Indice, nel quale alla serie non interrotta dei Capi e dei versetti di ciascuno dei quattro Evangeli, sia messo al fianco il richiamo delle singole Lezioni, nelle quali i singoli testi sono dichiarati. Per tal modo la Esposizione Concordata dei quattro Evangeli, mantenendo l'unità ammirabile di un solo Evangelo, fornirà eziandio il vantaggio, che si avrebbe dai comenti singolari di ciascuno.

Il dotto e pio mio confratello, che, come dissi al principio del primo Volume, mi sta facendo l' insigne favore di guardare, per la parte esegetica, queste Lezioni prima che le siano licenziate per la stampa, mi ammonì che io troppo spesso avea l'aria di preferire il testo greco al latino; il che, trattandosi di una Esposizione ordinata, non alla scuola od ai soli dotti, ma al comune delle persone mezzanamente istruite, potea presso i meno avveduti tornare a scapito della riverenza, in che dai Cattolici deve aversi la versione, che diciamo Vulgata. L'osservazione mi parve molto ragionevole; e benchè io lo avessi fatto non mai in cose gravi, e solo nei casi,

in cui mi pareva, che dalle voci e dalle forme originali si potesse recare maggiore vivacità o pienezza ai concetti; tuttavia nel séguito me ne sono notevolmente temperato, come il lettore potrà vedere nel secondo dei due Volumi, che ora metto alla luce. Intanto per ciò che già era fatto, stimo bene dichiarare esplicitamente il pregio altissimo, in che dev' essere tenuta ed io tengo la Vulgata, sia per la intrinseca sua autorità, consecrata dall' uso della Chiesa latina per tanti secoli, sia pel peso che le aggiunse il Concilio di Trento col suo decreto.

Per ciò che concerne l'indirizzo morale, che ho dato a questa Esposizione, per renderla il più che mi fosse possibile appropriata alle condizioni specialissime della moderna società, esso sarà nella parte che ne pubblico ora quello, che fu nella già pubblicata, secondo che lo dichiarai nella Ragione dell' Opera, premessa al primo Volume. Nulla essendosi avverato di fatti o recato di ragioni, che lo mostrasse meno opportuno, non mi è paruto doverlo per alcun rispetto modificare; ed intendo parlare dell'indirizzo generale, come lo esposi e ragionai in quella Prefazione. Chè quanto alle cose secondarie dettevi per incidenza, delle quali solo e forse troppo si parlò e si scrisse in vario senso da varii, io vi tengo così poco, che come allora non ne dissi parola, così anche al presente non credo dovermene occupare, lasciando che il tempo, giudice alquanto tardivo se vuolsi, ma sicurissimo, pronunzii il suo giudizio. Devo nondimeno dichiarare il rammarico, che provai allora e provo tuttavia, all'avere veduto alcuni miei pensieri, da Effemeridi più o meno sospette, presi a scudo di principii, dai quali io sono lontanissimo, come può vedersi da altri miei scritti, e da questo medesimo che ora sto pubblicando. Ma già lo dissi: ciò riguarda cose secondarie ed accidentali: quanto all' indirizzo generale delle applicazioni pratiche, esso, per le ragioni dichiaratene da principio, sarà quello che fin qui è stato; e si badi che il sembrare quello ad alcuni alquanto singolare, non dimostri appunto il grande bisogno che se ne ha.

Affermai allora e confermo adesso, che i grandi mali, onde la presente generazione è travagliata, ed i maggiori che la minacciano, hanno tutti ed in tutti la loro segreta radice nell'obblio pratico delle dottrine evangeliche, intorno al distacco dai beni della terra ed al dispregio di quelli in riguardo del cielo. Da questa disposizione degli animi, intesi principalmente, se non anche unicamente alle cose terrene, i figliuoli del secolo (così chiamò Cristo gli estranei a lui

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