Sayfadaki görseller
PDF
ePub

questi dignitarii ecclesiastici compete essenzialmente il diritto di partecipare, ed anche con voto deliberativo, ai Concilii ecumenici; ma i documenti conciliari invece ci dimostrano che fino dal settimo di essi vi ebbero ingerenza, e spesso anche voto decisivo, ecclesiastici non insigniti del carattere episcopale. È pur innegabile che un tal diritto non dipende che dall'annuenza del romano Pontefice; sicchè come da questo fu loro assentito e concesso, dal medesimo potrebbe anche totalmente rivocarsi. È del resto indubitato che, giusta la pratica ora invalsa, oltre i cardinali non insigniti dell'episcopale consacrazione, niuno che non sia vescovo partecipa ai Concilii ecumenici con voto decisivo, fuorchè gli abati e i superiori generali degli Ordini religiosi. Era dunque a risolversi se anche nel prossimo Concilio fosse da assentirsi a questi l'esercizio d'un si importante privilegio, e nel caso affermativo, stante le notabili differenze che passano anche fra le persone comprese in queste due generiche denominazioni, a quali abati e a quali superiori generali di religiose corporazioni si dovesse tal privilegio ritener competente. Siccome poi, la questione sull'ammissione degli abati, e sulle qualità in essi a tal uopo richieste, sebbene molto agitata sul principio del Concilio Tridentino, non appare essersi allora risolta con tutta la sufficiente chiarezza, si volle ora sottoporre allo studio più accurato, onde poter stabilire tali norme che valessero a precludere l'adito a controversie anche in futuro.

Partendo quindi la Congregazione direttrice dal principio, che il solo titolo pel quale agli abati e ai Generali degli Ordini religiosi può competere, secondo la pratica attuale, la partecipazione deliberativa ai Concilii ecumenici, è il possesso di una vera giurisdizione, quale è quella che dicesi quasi episcopale, venne a stabilire le regole seguenti:

Doversi chiamare al Concilio tutti gli abati secolari nullius (dioecesis), appunto perchè indipendenti da ogni vescovo nel governo dei proprii sudditi;

Quanto agli abati regolari, essere parimenti da chiamarsi quelli dei monasteri isolati che costituiscono altrettante abazie nullius, cioè con propria giurisdizione su di un territorio esteriore al monastero stesso, il quale costituisca una specie di diocesi;

Non doversi invece convocare gli abati privi di giurisdizione territoriale esteriore al monastero (esclusione forse adottata in ossequio alla dignità vescovile, onde non associare ai vescovi congregati un numero troppo grande di persone non insignite del loro augusto carattere ), quantunque possa essere stata diversa la pratica più antica (1); .

Quanto a quei monasteri che sono congiunti fra di loro in modo da costituire una Congregazione riconosciuta o approvata dalla Santa Sede, in guisa che oltre gli abati di ciascun monastero esista anche un abate generale dell'intiera Congregazione con giurisdizione su tutti i monasteri insieme uniti, il quale porta perciò il titolo di presidente, doversi chiamare al Concilio il solo abate presidente e non gli altri.

Rispetto ai generali degli Ordini religiosi, pel principio stabilito come fondamentale fu ovvia la decisione affermativa anche a favore di quelli i cui soggetti fossero ridotti a piccolissimo numero, eccettuati quelli a cui per avventura la Santa Sede avesse vietato di più ricevere novizii; e fu altresì riconosciuto il diritto di ammissione per quei vicarii generali di essi Ordini, che stanno in luogo del superiore generale con tutti i di lui privilegi, sia per le Costituzioni dell'Ordine, sia per Breve apostolico. Ma quanto ai superiori generali di quelle recenti Congregazioni, che si distinguono dagli Ordini religiosi

(1) Fu quindi stabilita una massima contraria alla tesi propugnata dal Bouix nel suo Tractatus de Papa, ubi et de Concilio oecumenico, scritto innanzi alla celebrazione del Concilio Vaticano, ed edito a Parigi, 1869. Notò però l'Autore stesso, che pel Concilio Vaticano fu adottata una sentenza opposta alla tesi da lui sostenuta, la quale per verità è basata su di un principio giusto per sè, ma che in pratica produrrebbe appunto l'inconveniente di introdurre nei Concilii ecumenici troppi indívidui non vescovi a parità di diritti coi vescovi stessi; e siccome questi diritti pei dignitarii ecclesiastici non vescovi dipendono unicamente dal beneplacito della Santa Sede, se questa ora ha creduto di privarne gli abati summenzionati, non v' ha più ragione alcuna da opporre in contrario. Imperocchè quello che dà un vero diritto di essere ammesso con voto deliberativo in un Concilio ecumenico, non è solo una giurisdizione qualunque, ma una giurisdizione associata al carattere vescovile. Ove manca l'una di queste due condizioni, l'ammissione non può ottenersi che per concessione pontificia, ed è una grazia che chi ha il diritto di concederla, ha pure il diritto di rivocare.

propriamente detti, nelle quali cioè non si fa professione di voti solenni, si convenne non doversi ammettere al Concilio onde non più moltiplicare i privilegi. Così fu negato poi dal Santo Padre il diritto di voto e di intervento al superior generale dei frati ospitalieri, detti comunemente Fatebenefratelli, perchè le costituzioni dell'Ordine non ammettendo ad essere insigniti del carattere sacerdotale che i maestri dei novizii e il secretario del P. generale (1), non poteva quest'Ordine essere considerato che come un ordine laico, sebbene religioso, e quindi non tale da poter ingerirsi di questioni strettamente ecclesiastiche, tanto dogmatiche come disciplinari.

Tutte le predette risoluzioni, adottate il 28 maggio 1868, ottennero tosto la pontificia sanzione. Ma la decisione che escludeva gli abati regolari detti di governo, cioè privi di esteriore giurisdizione, provocò delle apologie pel loro diritto da parte di qualche vescovo di Francia, ed anche suppliche degli abati stessi con cui chiedevano la loro ammissione al Concilio. Il Santo Padre diede quindi ad esaminare alla Congregazione direttrice e i riclami e le istanze. Lettosi pertanto nell'adunanza 11 luglio 1869 un rapporto del secretario, arcivescovo di Sardia, gli eminentissimi confermarono le risoluzioni giả emesse, dichiarando nulla aver essi di nuovo da rassegnare a Sua Santità per cambiar di proposito, ed eliminarono anche il progetto di far rappresentare i detti abati da alcuni delegati, sia per la difficoltà di eleggere i rappresentanti stessi, e sia più ancora pel principio di non spiacere ai vescovi coll'accrescere di troppo nel Concilio gli individui di grado inferiore; appoggiandosi altresì al fatto che nei più prossimi Concilii ecumenici, il quinto Lateranese e il Tridentino, sebbene copiosissimi fossero gli Ordini monastici, pochissimi furono gli abati che ebbero sede fra i Padri. Onde però fare l'applicazione de' principii stabiliti ai casi speciali, si propose al Pontefice l'istituzione di

(1) È per eccezionale disposizione del Santo Pontefice Pio IX, che già da più di venti anni il benemeritissimo sacerdote P. Giovanni Maria Alfieri, dopo essere stato alcuni anni secretario del superiore generale in Roma, è rivestito egli stesso di questa carica suprema dell'Ordine, avendo giudicato il Santo Padre che i lumi e lo zelo del nostro concittadino avessero a riuscire, come infatti lo furono, di gran vantaggio per l'incremento e la retta disciplina di tutta la religiosa famiglia.

apposita Commissione (emin. Barnabò, Bizzarri e Capalti) per l'esame dei diritti individuali; Commissione approvata dal Santo Padre (udienza 12 luglio 1869), e le cui conclusioni furono in seguito ammesse dalla Congregazione direttrice, e dal Pontefice definitivamente ratificate.

Nell' adunanza 14 marzo 1869 la medesima Congregazione si pronunziò altresì per l'esclusione de' vicarii capitolari, e malgrado un'estesa Memoria in loro favore pubblicata in settembre dal degno vicario capitolare di Noto, Sua Santità mantenne il principio dell'esclusione, in conformità alla pratica già vigente. Infatti, oltrechè di solito i vicarii capitolari non hanno il carattere vescovile, la stessa loro giurisdizione è affatto precaria, e quindi non merita quella contemplazione che può meritare chi la possiede a vita, o per un notabile periodo di tempo.

Ma per cuori accesi di ardente zelo per la salute delle anime non potea rimanere indifferente neppure il quesito, se ed in qual modo il prossimo Concilio, come altri precedenti, non potesse prestare occasione a qualche esperimento per riannodar l'unione colle Chiese eretiche e scismatiche d'Oriente, oggetto delle più vive sollecitudini del Santo Padre fino dai primordii del suo pontificato, ed anche per richiamare al seno della vera Chiesa i popoli a lei divelti dalla spaventosa ribellione d'Occidente, che prese il nome di riforma. Furono quindi questi argomenti soggetto di altri studii ed esami per la Congregazione direttrice. Ammessa ben tosto l'idea di approfittare della circostanza del Concilio per promuovere la riunione d'ogni tralcio dalla Chiesa reciso, restava a fissarsene il come. Quanto alle sette orientali, non essendosi in esse perduta la gerarchia relativamente al carattere per la validità delle ordinazioni, esisteva la possibilità di un invito al loro episcopato d'intervenire al Concilio medesimo. Il consultore arcivescovo Tizzani dettò per la Congregazione un apposito voto, e questa fino dall'adunanza del 22 marzo 1868 fu unanime nel convenire che contemporaneamente alla bolla convocatoria, ma con atto separato, si avesse a dirigere ai patriarchi e vescovi orientali un invito (non già una chiamata obbligatoria, come coi vescovi cattolici) affettuoso, paterno, circoscritto alle idee generali di ritorno all'unione colla Chiesa cattolica romana, e quindi alla subordinazione al romano Pontefice, onde essi pure potessero

prender parte alle operazioni del Concilio. Riconosciutosi poi impossibile nelle attuali circostanze di far loro pervenire tale invito a mezzo di appositi legati, il cardinal Prefetto di Propaganda s'incaricò di scrivere al patriarca di Gerusalemme mons. Valerga (1), onde abboccandosi coi patriarchi e vescovi scismatici di maggior considerazione, procurasse disporneli favorevolmente. Approvate con molto gradimento anche queste risoluzioni dal Santo Padre, gli emin. Reisach, Barnabò e Bilio ebbero l'incarico di redigere la lettera d'invito in base alle norme stabilite; ma la spedizione ne fu alquanto ritardata. Dopo un maturo esame fattone dalla Congregazione in tre adunanze (19 luglio, 2 e 9 settembre 1868), il Santo Padre le appose l'augusto suo nome, colla data dell'8 settembre, onde meglio raccomandarla alla Santissima Vergine, segnandola dal giorno medesimo che nella Chiesa è sacro alla memoria del faustissimo di lei nascimento.

Ma in trattare di quei dissidenti, presso di cui perdura la validità delle ordinazioni, non potevano dimenticarsi neppure i giansenisti d'Olanda. Si esaminò pertanto anche qual temperamento convenisse prendere riguardo all' arcivescovo giansenista d'Utrecht e a'suoi suffraganei, i quali sogliono essere nominatamente scomunicati. Il consultore Feije, professore di diritto canonico all'università di Lovanio, fu incaricato del voto relativo; e la decisione presa dalla Congregazione nell' adunanza del 24 maggio 1868 si fu che, attesa la loro pervicacia crescente a misura delle accondiscendenze seco loro adoperate, e la pochissima loro attuale importanza, non si avesse a far di loro menzione speciale, ma si intendessero compresi nella generica esortazione che sarebbesi rivolta agli acattolici ed ai protestanti.

Anche a proposito di questi, scrisse per uso della Congregazione mons. arcivescovo Tizzani, cui l'esser cieco da più anni, non è di ostacolo ad una indefessa laboriosità; mentre il

(1) Di santa e gloriosa memoria, chiamato da Dio nel dicembre dell'anno 1872 a ricevere il premio del suo fecondo apostolato. Mi trovo in debito di attestare la mia gratitudine per la speciale benevolenza di cui mi onorò nelle occasioni del centenario de' Santi Apostoli Pietro e Paolo, e del Concilio, nelle quali soggiornammo contemporaneamente in Roma.

« ÖncekiDevam »