La capra, e città nove Sorgon dall' altra banda, a cui sgabello L'arduo monte al suo piè quasi calpesta. Dell' uom più stima o cura 230 235 Ch' alla formica: e se più rara in quello E il villanello intento Ai vigneti che a stento in questi campi Ancor leva lo sguardo Sospettoso alla vetta 245 Fatal, che nulla mai fatta più mite Ancor siede tremenda, ancor minaccia A lui strage ed ai figli ed agli averi 250 E se appressar lo vede, o se nel cupo V. 240-242. Dal 79 di Cristo, anno di quell' eruzione del Vesuvio, onde furono distrutti i popolati seggi, cioè Pompei, Ercolano e altri paesi, al 1836 in cui il Leopardi componeva questo canto, corrono veramente non 1800 anni, ma 1757. Ma poichè dell' ultimo secolo era già passata più che la metà, il poeta, senza stare al rigore dell' aritmetica, con naturale amplificazione ha qui inalzata la cifra fino al numero tondo. V. 248. Nulla. Per niente. V. 258-260. Descrive bellamente il golfo di Napoli, accennando ai punti più insigni rispetto al Vesuvio, cioè l'isola di Capri che lo chiude verso l'alto mare, il porto prossimo alla città e, più oltre, Mergellina, cioè la strada che mena a Posilipo lungo la spiaggia occidentale del golfo stesso. Desta la moglie in fretta, e via, con quanto Di lor cose rapir posson, fuggendo, Vede lontan l'usato Suo nido, e il picciol campo Che gli fu dalla fame unico schermo, Che crepitando giunge, e inesorato Dopo l'antica obblivion, l'estinta Scheletro, cui di terra Avarizia o pietà rende all'aperto; Diritto infra le file De' mozzi colonnati il peregrino Ch' alla sparsa ruina ancor minaccia. Per li vacui teatri, Per li templi deformi e per le rotte 265 270 275 280 285 V. 263-265. Come la madre che al romore è desta, - E vede presso a sè le fiamme accese, - Che prende il figlio e fugge e non s'arresta, - Avendo più di lui che di sè cura, Tanto che solo una camicia vesta (DANTE, Inf, XXIII). V. 273-288. Gli scavi di Pompei furono cominciati, non nel 1750, come generalmente si stampa, ma nel 1748; e oggidì, nel 1884, la città non è ancor tutta scoperta. Per ciò che si dice del fòro, dei mozzi colonnati, dei vacui teatri, delle rotte case ec., che sono fra le parti della città scoperte sin dai tempi del Leopardi, vedi il prezioso volume di GIUSEPPE FIORELLI, Descrizione di Pompei, Napoli 1875. V. 275. Di terra. E complemento di moto da luogo: Levandolo da sotterra. V. 280, 281. Il Vesuvio si divide in due gioghi, che pajono come due monti, l'uno dei quali, detto Somma, ricinge a semicircolo l'altro che ha la figura di un cono, ed è il cratere del vulcano, detto più addietro ignea bocca-(v. 31) e qui cresta fumante. E difatti fuma sempre, e spesso in modo, che il fumo da lontano comparisce a forma di pino; il qual fenomeno è significato popolarmente con le parole: «Il Vesuvio fa il pino: indicazione probabilmente antica e perenne come il fatto; accennata anche da Plinio il Giovane: Nubes [ex Vesuvio] oriebatur, cujus similitudinem et formam non alia magis arbor, quam pinus, expresserit. Nam longissimo velut trunco elata in altum, quibusdam ramis diffundebatur ec. Il poeta lirico, occupato da un vasto concetto e da intimo sentimento, ben più poderoso, senza cedere alle attrattive di una splendida descrizione profusa, si contenta dell' aggettivo fumante. V. 287. Sinistra. Di malaugurio; come il virgiliano sinistra cornix (Ecl., I, 18). MESTICA. - II. 8 Che per vòti palagi atra s'aggiri, Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge. Ch'ei chiama antiche, e del seguir che fanno Sta natura ognor verde, anzi procede Per si lungo cammino, Che sembra star. Caggiono i regni intanto, E tu, lenta ginestra, Che di selve odorate Queste campagne dispogliate adorni, Già noto, stenderà l'avaro lembo Sotto il fascio mortal non renitente Ma non piegato insino allora indarno E la sede e i natali 290 293 300 305 310 315 Non per voler, ma per fortuna avesti; Meno inferma dell' uom, quanto le frali O dal fato o da te fatte immortali. 320 V. 297-299. Cfr. Petrarca, Tr. del Tempo (v. 112-114): Passan vostri trionfi e vostre pompe; Passan le signorie, passano i regni; - Ogni cosa mor. tal tempo interrompe: e anche l'imitazione del Tasso (Ger., XV, st. 20): Giace l'alta Cartago; appena i segni - Dell' alte sue ruine il lido serba,Muojono le città, muojono i regni; - Copre i fasti e le pompe arena ed erba; El'uom d'esser mortal par che si sdegni. - Oh nostra mente cupida e superba! I quali ultimi due versi il Leopardi ha raccolti con velocità lirica in uno. V. 300. Lenta ginestra. Così Virgilio: Molle siler, lenteque genesta (Georg., II, 12). V. 306. Avaro. Bramoso, Ingordo: alla latina, nel senso datogli da Orazio Grajis.... præter laudem nullius avaris (Arte poet., 323, 324). V. 312, 313. Cfr. Ovidio, Met., 1, 86, 87: Os homini sublime dedit, cœlumque tueri - Jussit, et erectos ad sidera tollere vultus. [DAI] PARALIPOMENI DELLA BATRACOMIOMACHIA. [1832-13 giugno 1837.] La fuga dei Topi dopo la prima battaglia coi Granchi.1 Poi che da' granchi a rintegrar venuti Che non gli aveano ancor mai conosciuti, Gli ordini, e volte in van l'opre leggiadre, E le code topesche e le basette; Tal che veduto avresti anzi la squilla 5 10 Vedi un nugol di mosche atro, importuno, 15 Colli il Franco a ferir guidava in volto, Mosso il tallon, dopo infinito affanno, 20 1 Questa battaglia, descritta da Omero nella Batracomiomachia, il nostro poeta la ricorda qui sul principio, trasformandola fantasticamente nella battaglia di Tolentino, avvenuta il 3 maggio 1814 fra gli Austriaci [i Granchi comandati dal general Bianchi, e i Napoletani [i Topi] comandati da Gioachino Murat, che poco prima aveva tolto ai preti [le Ranocchie] alcune province dello Stato pontificio, e segnatamente le Marche. Vedi per l'interpretazione del resto a pagg. 21, 22. V. 6. Volte in van. Fatte riuscire a cosa vana, vane; donde è chiaro che in van non è avverbio, ma due parole, la seconda delle quali agget tivo sostantivato. Opere leggiadre è di Dante e del Petrarca (Purg., XI; Trionfo in morte, III).. V. 12. Cfr. Virgilio, En., IV, 401-407, dove parlando delle formiche dice It nigrum campis agmen. V.23. Quel precedeva è da gran maestro. Accusa il capitano di fare il contrario del suo dovere, e maschera l'accusa usando il verbo proprio del suo officio [Fr. Ambrosoli]. V. 17-24. Quella fuga precipitosa dei soldati papalini, dopo il primo urto dei Francesi, nel gennajo del 1797 da Faenza ad Ancona diede già materia di piacevoli racconti al popolo marchigiano, e se ne conserva Prima il fiato in Ancona ebbe raccolto; Nè fermò prima il piè, che finalmente Già l'aria incominciava a farsi oscura, anc' oggi memoria. Più volte io, fanciullo, nelle Marche aveva inteso raccontar da mio padre, come tanti altri fatti di quell' età burrascosa, anche questo con molti particolari sul general Colli; che costui nel combattimento presso Faenza comandava in carrozza l'esercito papalino; che quando vide che i Francesi non scherzavano, fuggì primo dalla zuffa in carrozza, e invitò i suoi a seguirlo gridando loro: Avanti, avanti; e che questo grido ripeteva di tanto in tanto anche per la strada, rivolgendosi a'soldati, che gli tenevano dietro a piedi, fino a che non giunse insieme con essi in Ancona. Restai poi grandemente maravigliato, allorchè leggendo per la prima volta i Paralipomeni, trovai il fatto medesimo descritto dal Leopardi sotto forma di similitudine nella terza ottava con esattezza storica e col guizzo della stessa ironia popolana (I Verismo ec. citato a pag. 20). V. 25-30. I Fiamminghi sono i Belgi, che, fatta la rivoluzione per separarsi dal regno dei Paesi Bassi, nel cui governo prevalevano e godevano privilegi gli Olandesi benchè inferiori di popolazione, costituirono un regno distinto; ma nell'agosto del 1831 avendo il re d'Olanda, che teneva ancora le fortezze e principalmente Anversa, rinnovata la guerra, essi venuti a fronte dell'esercito nemico fuggirono subito senza combattere, e si sarebbero trovati a mal partito se non sopravveniva in ajuto un esercito francese di cinquantamila soldati. A qual fatto si alluda nel verso 26, non m'è chiaro. Questo è certo che la rivoluzione dei Belgi cominciò il 26 agosto del 1830 a Brusselle in teatro mentre vi si rappresentava La muta di Portici, e appena che il tenore (Masaniello) intonò l'aria Amour sacré de la patrie. E probabile che allora o ne'giorni seguenti i Belgi fra le vanterie, seguite poi da si brutte imprese militari, facessero anche questa, ch'essi cioè non si sarebbero sì vilmente arresi al nemico come già Napoli nel 1647 e nel 1821; ma per appurar meglio la cosa bisogna consultare i giornali contemporanei, che io non ho potuto avere a mano. Da questa ottava si arguisce che il poema fu cominciato dopo la prima invasione. e vittoria dei Francesi nel Belgio; e quel dianzi ci fa credere, poco dopo, forse nell'anno stesso 1831, o nel seguente. V. 36-42. Imita Virgilio ove descrive Enea che, trabalzato dalla tempesta in Africa, monta sopra uno scoglio per veder gli avanzi della sua flotta: Eneas scopulum interea conscendit, et omnem - Prospectum late pelago petit ec. (En., I, 180, ec.). E tale reminiscenza rende, per via della susseguente comparazione mentale tra il Miratondo e l'eroe trojano, più piccante l'eroicomico di questo tratto. |