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Cui mi saria vergogna esser maestro,
Mi volsi ai prischi sommi; e ne fui preso
Di tanto amor, che mi parea vederli

Veracemente, e ragionar con loro.

Anch' egli dunque fu maestro a sè stesso; e primamente, trovandosi ancora nel collegio milanese, s'innamorò dei classici latini ed italiani, e fra le poesie dei moderni preferiva specialmente quelle di Giuseppe Parini e di Vincenzo Monti. Mentre ivi stava leggendo, nel 15 agosto del 1799, l'ode Quando Orion dal cielo, fu colpito alla notizia della morte del gran poeta lombardo, ch'egli ardentemente desiderava conoscere di persona, e che poi sempre soleva chiamare il divino Parini; e ivi stesso aveva già conosciuto l'autore della Bassvilliana, che nell'adolescenza si tolse a duce e maestro. Uscito di collegio, si abbandonò anch'esso, poco più che trilustre, seguendo l'andazzo dei tempi e la dominante licenza, ai rovinosi giuochi d'azzardo nel pubblico ridotto, presso il Teatro della Scala; ma sorpresovi una sera da Vincenzo Monti, e amichevolmente ammonito con queste parole, Se andate avanti così, bei versi che faremo in avvenire!, se ne distolse per sempre, e mise la sua risoluzione alla prova, continuando a recarsi per più giorni nel ridotto stesso senza giocar mai. Nonostante le differenze letterarie, che nate dipoi fra i due grandi uomini si fecero ognora più vive, essi continuarono sempre a volersi bene; e il Manzoni serbò sempre al Monti l'affetto e l'ammirazione giovanile; delle quali cose fanno pur documento alcune lettere e i celebri versi ch' egli dopo la morte del poeta romagnuolo improvvisò un giorno, trovandosi in compagnia di Tommaso Grossi, davanti a un suo busto:

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Salve, o divino, a cui largì natura

Il cor di Dante e del suo duce il canto!
Questo fia il grido dell'età ventura;

Ma l'età che fu tua, tel dice in pianto."

II. Ebbe tenerezza straordinaria per sua madre, figlia di Cesare Beccaria, e si teneva a tal segno di esser nipote all'autore del libro Dei delitti e delle pene, che

Sono specialmente di Giulia figlia del Manzoni. Vedi a pagg. 240, 241, 242 ec. Il Manzoni ed il Fauriel ec. pubblicato da Angelo De Gubernatis. Roma, Barbèra, 1880.

Furono pubblicati la prima volta nel 1828: tomo I, pag. 645 delle Opere citate nella nota a pag. 132 di questo volume.

fin verso i ventiquattr' anni nelle sottoscrizioni uso di aggiunger sempre al cognome suo anche il materno. Fin dal 1795 legatasi in amicizia a quel Carlo Imbonati milanese, per il quale fanciulletto di undici anni aveva scritto Giuseppe Parini suo maestro nel 1764 l'ode Torna a fiorir la rosa, Giulia s'era stabilita con esso a Parigi; e quando egli, fattala erede di tutto il patrimonio, ivi il 15 marzo del 1805 morì, l'appassionata donna accompagnò a Milano la salma dell' estinto e le diede sepol tura in Brusuglio. Circa quattro mesi dopo, in compagnia della madre, condottosi il giovinetto Alessandro a Parigi, per più e più anni fu assiduo con essa a una delle conversazioni più eleganti e più dotte, quella di Carlotta Condorcet, vedova di Giorgio Cabanis, alla sua villa, detta la Maisonnette, in Auteil, dove intervenivano filosofi e letterati coltissimi e di animo indipendente, devoti per la massima parte alle dottrine volteriane, e avversi al nuovo dispotismo napoleonico; come l'ateo Volney, il giacobino Garat, il sensista De Tracy, il filologo e critico Claudio Fauriel. L'educazione del Manzoni, già bene avviata a Milano in mezzo alla più scelta società politica e letteraria, ricca di cultura e di spiriti democratici e innovatori, nella splendida metropoli dell' impero francese, dove allora s'accentrava e donde irradiava tanta parte del movimento e innovamento europeo, ebbe un' esplicazione anche più vasta e feconda, e conferì grandemente all' indirizzo della mente e della vita di lui. A quelle dotte e libere conversazioni egli si raffermò nelle massime filosofiche degli enciclopedisti e nello scetticismo religioso allora comune e di moda; ma non è vero ciò che si è detto e ripetuto da tanti per recare a miracolo la sua conversione al cattolicismo, ch' egli cioè fosse divenuto ateo. Incredulo o scettico per tutto ciò che ha in sè di speciale e proprio la dottrina cattolica, fu certamente, ma non rinnegò mai Dio, nè l'immortalità dell' anima; le sue lettere e le stesse poesie giovanili, anche le più aspre contro il sacerdozio, ce ne porgono inconfutabili documenti.

Moriva a Milano il 17 marzo del 1807 Pietro Manzoni senza poter rivedere, come desiderava, il suo Alessandro, che, partito da Parigi con la madre all'annunzio della malattia, avvicinandosi a Milano lo seppe estinto; del che, a giudicarne dalle espressioni secche e fredde con cui ne dava notizia ad un amico (forse a causa della madre per la quale erano tutti i suoi affetti),

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non parve così intimamente commosso come dovrebbe un figlio. Tornato esso novamente a Milano nel settembre del 1807, sposò ivi il 6 febbrajo dell' anno seguente Enrichetta Blondel di Casirate, figlia di un ricco banchiere, celebrando il matrimonio secondo il rito della chiesa evangelica riformata (poichè, essendo la giovinetta protestante, i sacerdoti cattolici si rifiutarono) il ministro Giovanni Gaspero Orelli, l'insigne critico e latinista. A Parigi, dove si erano ricondotti nell' ottobre, la sposa, per eccitamenti e sotto la guida del sacerdote genovese Eustachio Degola, fattasi cattolica, il 22 maggio 1810 abjurò la religione protestante; e verso il medesimo tempo seguì la conversione del Manzoni stesso, o, a dir meglio, il suo ritorno all' antiche credenze. Probabilmente la mutazione sua procedette di pari passo con quella della moglie, come si può arguire dalle lettere, dalla benedizione nuziale col rito cattolico ottenuta e fatta sin dal febbrajo di quell'anno, e dalla firma che appose anch' egli al mentovato atto di abjura; influendovi forse quel moto cattolico, che come reazione all' incredulità anteriore si era suscitato in quegli anni a Parigi, la conversazione di due dotti e mitissimi sacerdoti, il genovese summentovato e il francese Enrico Grégoire, due, come oggi si direbbe, cattolici liberali, ma soprattutto, io credo, l'inclinazione e la meditazione di quella grande anima, stanca di vivere nel dubbio e nello scetticismo. Il fatto è che prima che il Manzoni ripartisse da Parigi, cioè prima del luglio 1810, la sua conversione si era già effettuata; e non inverisimilmente fu detto che nella conversione dell'Innominato sia figurata poeticamente quella. Quanto alla sua religione, è notissimo com' egli la professasse nella originaria purezza, e affatto distinta dagl' interessi e dalle passioni del secolo, riprovando i prevalenti sforzi di coloro che vogliono assolutamente tenerla unita ad articoli di fede politica, che essi hanno aggiunti al Simbolo; religione, per tale rispetto opposta totalmente a quella che praticavano i sanfedisti d'allora e generalmente tutti i retrivi, che dopo il 1815 misero la fede cattolica al servizio della così detta Santa Alleanza, e

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Lett. 24 marzo a G. B. Pagani, 30 marzo e 8 apr. 1807 a Claudio Fauriel.
Lett. a Gaetano Giudici, 29 giugno 1810.

Lett. a Claudio Fauriel, 21 settembre 1810.

• Così al suo confessore don Luigi Tosi, nella lett. 1o dec. 1819.

MESTICA. -II

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formarono una letteratura veramente reazionaria; dove che la manzoniana anche nel rispetto religioso fu letteratura di restaurazione ed innovatrice, e il volerne fare una sola cosa con quella è grande ingiustizia. E furono col Manzoni non solo ingiusti, ma anche maligni gli scettici intolleranti, che, verso i primi d'agosto del 1810, tornato lui a Milano, credente e cattolico, non gli risparmiarono biasimi e scherni, contro i quali si levò a sua difesa Ugo Foscolo chiamando quei beffatori i fanatici della filosofia, e vantandosi esso di sprezzare, non i credenti, ma i soli ipocriti.'>

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III. A Milano, d'allora in poi, si fermò stabilmente con la famiglia, e rarissime volte fece susseguentemente lontani viaggi e soggiorni altrove; uno dei quali di circa dieci mesi dall'ottobre del 1819 a Parigi novamente, e un altro di due non interi a Firenze nel 1827 fino al 1° ottobre, senza contarne alcuni anche più lunghi a Lesa sul Lago Maggiore dopo la rioccupazione austriaca della Lombardia nel 1848. Vivendo sempre una vita ritirata e modestà, soleva alternar la dimora fra la casa di città e l'amena villa di Brusuglio, dove compose la maggior parte de' suoi scritti, e attendeva nel tempo stesso all'agricoltura per teorica e per pratica con amore costante e cure operose, che gli fruttavano vive compiacenze. Egli costituì una famiglia, per l'educazione, la cortesia e l'esercizio delle virtù cristiane veramente esemplare; quell' aura di bontà e di pace religiosa, che la circondava, irradiò le opere estetiche del grande scrittore. Se non che la vita di famiglia cagionò a lui con le più pure gioje, anche gravi lutti per la morte della virtuosa Enrichetta (decembre 1833), della venerata madre (luglio 1841), e, molti anni dopo, della seconda moglie, la milanese Teresa Borri vedova di un Decio Stampa. Ma cordoglio perenne, rinnovatogli nell' anima per cinque volte, furono per lui le morti della maggior parte dei figli; la primogenita Giulia (settembre 1834) già maritata a Massimo D'Azeglio, Cristina (maggio 1841), Sofia (marzo 1845), maritate anch' esse, l' ultima nata

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Così il Pellico nella lett. 15 nov. 1839 a Nicomede Bianchi.

2 Morirono, e furono sepolte a Brusuglio, Enrichetta, Giulia figlia, Giulia madre e Cristina. Ecco le iscrizioni fatte dal Manzoni stesso:

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A Enrichetta Manzoni nata Blondel - Nuora moglie madre incomparabile La suocera il marito i figli - Pregano - Con calde lacrime ma con viva fiduLa gloria del cielo.

A Giulia D'Azeglio nata Manzoni - Morta nella pace del Signore

Matilde (marzo 1856), e finalmente il secondogenito Pietro (aprile 1873).

Fra i suoi amici più cari la storia ricorda Giovanni Torti, Giovanni Rossari, Ermes Visconti e sopra tutti Tommaso Grossi, intimo suo come fratello, al quale il Manzoni assegnò due stanze per abitazione nella casa propria, e ve lo tenne per una quindicina d'anni, fino al 1837, in cui passò a seconde nozze. Di questi e altri pochi era formata la conversazione serale, in cui egli si ricreava, partecipandovi con vivaci dispute, con acute osservazioni, sapienti detti ed arguzie, che ravvivavano l'attenzione, e facevano gratamente pensare. Una difficoltà a metter fuori talvolta con prontezza la prima sillaba della parola, rendendogli impossibile il favellare in pubblico, gli fu sempre cagione o scusa a ricusare qualunque pubblico uffizio,1 ma non lo impacciava fra gli amici, ed essendo appena sensibile aggiungeva al suo dire una certa grazia. Fra tutte le amicizie, se non la più affettuosa, la più celebre e la più utile al suo perfezionamento letterario nell' adolescenza e nella gioventù fu quella ch' egli fin dai primi tempi della dimora in Parigi aveva stretta con Claudio Fauriel, il quale alla profondità e acutezza della mente congiungeva una vasta e squisita cultura, e molta erudizione e perizia anche nelle lettere italiane. Il Manzoni, come più giovane di tredici anni, lo riguardava, specialmente ne' primi tempi, con affettuosa riverenza, e ricordava posteriormente a lui stesso che a Parigi non aveva mai conversato con lui senza imparar qualche cosa. Il loro carteggio (o a meglio dire il carteggio del Manzoni, chè delle lettere del Fauriel a lui ce ne restano pochissime) è una storia intima preziosissima della trasformazione letteraria dello

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giorno XX settembre MDCCCXXXIV. - Il marito e i parenti desolati - La raccomandano-Alla misericordia di lui - E alle preghiere dei fedeli. A Cristina Baroggi Manzoni - La quale con edificante pazienza - In lunga E colla rassegnazione cristiana e penosa malattia Consacrò una vita Immacolata pia caritatevole E una morte - Preziosa al cospetto di Dio - Offrendo in sacrifizio a lui - Una bambina e uno sposo Amati tanto afflittissimi - Implorando la vostra preghiera - E la misericordia divina. A- Giulia Manzoni - Figlia di Cesare Beccaria Matrona veneranda

I parenti

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Per altezza di ingegno - Per liberalità coi poveri - Per religione profonda attina Dal figlio inconsolabile - Da tutta la famiglia addolorata - Raccoman

data Alla misericordia del Signore - E alle preghiere dei fedeli.

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In questo vol., pagg. 168, 169.

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Lett. 30 marzo 1807, 25 aprile 1816 a Claudio Fauriel. Le opere principali del Fauriel sono due: Histoire de la poésie provençale ; Dante et les origines de la langue italienne.

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