Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Ermeng.

Adelchi.

Desid.

Ermeng.

Desid.

Ermeng.

Del fratel tuo, dinanzi al padre, in mezzo
Ai fidi antichi tuoi; sei nel palagio
De' re, nel tuo, più riverita e cara
D'allor che ne partisti.

Oh benedetta
Voce de' miei! Padre, fratello, il cielo
Queste parole vi ricambi; il cielo.

Sia sempre a voi, quali voi siete ad una
Vostra infelice. Oh! se per me potesse
Sorgere un lieto dì, questo sarebbe,
Questo, in cui vi riveggo - Oh dolce madre!
Qui ti lasciai: le tue parole estreme
Io non udii; tu qui morivi - ed io....
Ah! di lassù certo or ci guardi: oh! vedi;
Quella Ermengarda tua, che di tua mano
Adornavi quel dì, con tanta gioia,
Con tanta piéta, a cui tu stessa il crine
Recidesti quel dì, vedi qual torna!
E benedici i cari tuoi, che accolta
Hanno così questa reietta.

Ah! nostro

È il tuo dolor, nostro l'oltraggio.

Sarà il pensier della vendetta.

E nostro

O padre,
Tanto non chiede il mio dolor; l'obblio
Sol bramo; e il mondo volentier l'accorda
Agl' infelici: oh! basta; in me finisca
La mia sventura. D'amistà, di pace
Io la candida insegna esser dovea:

Il ciel non volle: ah! non si dica almeno
Ch'io recai meco la discordia e il pianto
Dovunque apparvi, a tutti a cui di gioia
Esser pegno dovea.

Di quell' iniquo
Forse il supplizio ti dorria? quel vile,
Tu l'ameresti ancor?

Padre, nel fondo
Di questo cor che vai cercando? Ah! nulla
Uscir ne può che ti rallegri: io stessa
Temo d'interrogarlo: ogni passata
Cosa è nulla per me. Padre, un estremo
Favor ti chieggo: in questa corte, ov' io

Adelchi.

Ermeng.

Crebbi adornata di speranze, in grembo
Di quella madre, or che farei? ghirlanda
Vagheggiata un momento, in su la fronte
Posta per gioco un dì festivo, e tosto
Gittata a' piè del passeggiero. Al santo
Di pace asilo e di pietà, che un tempo
La veneranda tua consorte ergea,

- Quasi presaga- ove la mia diletta
Suora, oh felice! la sua fede strinse
A quello Sposo che non mai rifiuta;
Lascia ch'io mi ricovri. A quelle pure.
Nozze aspirar più non poss'io, legata
D'un altro nodo; ma non vista, in pace
Ivi potrò chiudere i giorni.

Al vento
Questo presagio: tu vivrai: non diede
Così la vita de' migliori il cielo

All' arbitrio de' rei: non è in lor mano
Ogni speranza inaridir, dal mondo
Torre ogni gioia.

Oh! non avesse mai

[blocks in formation]

Consigliero il dolor più che fedele,
E di vicende e di pensieri il tempo
Impreveduto apportator. Se nulla

[ocr errors]

Al tuo proposto ei muta, alla mia figlia
Nulla disdir vogl' io.

Gl'Italiani nel momento della vittoria dei Franchi su i Longobardi.

CORO. *

Dagli atrii muscosi, dai fòri cadenti,
Dai boschi, dall' arse fucine stridenti,

[ocr errors]

Dai solchi bagnati di servo sudor,

Un volgo disperso repente si desta;
Intende l'orecchio, solleva la testa
Percosso da novo crescente romor.
Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
Qual raggio di sole da nuvoli folti,
Traluce de' padri la fiera virtù :

5

* Dopo la sconfitta alle Chiuse d'Italia i Longobardi con precipitosa fuga corsero a racchiudersi parte in Pavia con Desiderio e parte a Verona con Adelchi. Ciò è rappresentato nell'Atto terzo della Tragedia. Or qui il poeta immagina che gl'Italiani sottoposti al dominio dei Longobardi, alla vista dei fuggiaschi perseguitati dai vincitori credano di avere scosso il giogo abborrito, e che i nuovi stranieri siano venuti a liberarli; se non che egli toglie loro tale illusione. Su queste idee è tessuto il Coro, che può considerarsi come un dialógo, nella prima parte del quale, compresa in cinque strofe, parla il Coro stesso, nella seconda, che comprende le ultime sei, gli risponde il poeta. A proposito di questo Coro l'autore nella lettera 6 marzo 1822 scriveva al Fauriel: «Ho dovuto comporre [per l'Adelchi] due cori lirici, il primo dei quali soprattutto mi è sembrato indispensabile per portar l'attenzione su ciò che vi ha di più serio e di più poetico nel soggetto che ho maltrattato; il che non poteva esplicarsi nè nell'azione nè coi discorsi dei personaggi. » Avendo egli consegnato il manoscritto della Tragedia per la stampa alla censura austriaca in Milano, questa vi fece vari buchi qua e là, nel rattoppamento dei quali l'autore dovette spendere qualche giorno; e alcuni ne fece, come si vedrà più sotto, anche in questo Coro, che fu ristampato integralmente poco dopo la morte del Manzoni, prima in un periodico, e poi nel libro di ANTONIO STOPPANI,. I primi anni di Alessandro Manzoni, pagg. 237-240.

V. 1-6. Atrii muscosi. Essendo l'atrio la prima parte anteriore d'una casa signorile, vuol dire il poeta che gli antichi palazzi degl' Italiani son rimasti, ma col chiamarli muscosi, cioè coperti di borraccina, mostra ch'essi allora, spente le antiche famiglie, erano abitati, e tenuti neglettamente, da gente del volgo. Dai fori cadenti. I fòri al tempo dei Romani erano piazze aventi colonnati coperti con tettoje per l'amministrazione della giustizia; e se ne vedono dei cadenti, cioè mezzi dirati, anc' oggi, specialmente a Roma e a Pompei. Arse fucine stridenti ci ricorda l'oraziano Graves Cyclopum - Vulcanus ardens urit officinas (Od., I, 4), e il virgiliano Cyclopum exesa caminis Antra ætnæa tonant striduntque cavernis stricture Chalybum ec. (En., VIII, 418-421). Il novo crescente romor. Questo romore era causato dalla fuga dei Longobardi vinti e dalla caccia che davano a loro i Franchi vincitori. Nei primi cinque versi è rappresentata

-

la condizione servile degl' Italiani sotto il dominio dei barbari.

V. 9. De' padri. De' Romani già conquistatori e signori della terra: Rerum dominos gentemque togatam (VIRG., En., I, 282).

Ne' guardi, ne' volti confuso ed incerto
Si mesce e discorda lo spregio sofferto
Col misero orgoglio d' un tempo che fu.
S'aduna voglioso, si sperde tremante,
Per torti sentieri, con passo vagante,
Fra téma e desire, s'avanza e ristà;
E adocchia e rimira scorata e confusa
De' crudi signori la turba diffusa,

10

15

Che fugge dai brandi, che sosta non ha.

Ansanti li vede, quai trepide fere,

Irsuti per tema le fulve criniere,

20

Le note latebre del covo cercar;

E quivi, deposta l'usata minaccia,
Le donne superbe, con pallida faccia,
I figli pensosi pensose guatar.
E sopra i fuggenti, con avido brando,
Quai cani disciolti, correndo, frugando,
Da ritta, da manca, guerrieri venir:
Li vede, e rapito d'ignoto contento,
Con l'agile speme precorre l'evento,
E sogna la fine del duro servir.

Udite! Quei forti che tengono il campo,

25

30

V. 12. D'un tempo che fu. Non indica semplicemente Tempo passato, ma tempo in cui avevano avuta una potenza perduta irreparabilmente; come nel virgiliano: Fuimus Troes, fuit Ilium et ingens - Gloria Teucrorum (En., II, 325, 326). · Dopo questa seconda strofa ne seguiva nella composizione primitiva quest'altra, che fu quindi soppressa:

È il volgo gravato dal nome latino,

Che un'empia vittoria conquise e tien chino

Sul suo che i trionfi degli avi portò;

Che, in torbida vece, quel gregge predato,
Dall'Erulo avaro nel Goto spietato,

Nel Vinnulo errante dal Greco passò.

V. 17. De' crudi signori. Dei Longobardi.

V. 20, 21. Le fulve criniere. Fulve, cioè tiranti al rossigno; chè tale era il colore delle lunghe capigliature dei Longobardi. Criniera veramente è l'insieme dei crini del leone, del cavallo e simili: nè mai si trova usato per chioma umana. L'adopera qui il Manzoni con modo ardito, ma effica cissimo; in quanto non solo risponde alla similitudine delle trepide fere, ma anzi con quella si compenetra, e ne fa una cosa sola. Così non li dice irti, ma irsuti, voce propria anch'essa più delle fiere che degli uomini; e chiama latebre del covo (nascondigli della tana ferina) i luoghi più riposti della casa [L. Venturi].

V. 27. Guerrieri venir. I Franchi vittoriosi che danno la caccia ai Longobardi.

V. 31. Qui entrando il poeta, con mirabile visione, a parlare diretta mente a quegli Italiani illusi nella speranza di esser liberati per opera dei vincitori dei Longobardi, continua il quadro storico-lirico rappresentando prima il carattere e gl'intenti dei Franchi, in quella spedizione e vittoria,

Che ai vostri tiranni precludon lo scampo,
Son giunti da lunge, per aspri sentier:
Sospeser le gioie dei prandi festosi,
Assursero in fretta dai blandi riposi,
Chiamati repente da squillo guerrier.
Lasciar nelle sale del tetto natio

Le donne accorate, tornanti all' addio,
A preghi e consigli che il pianto troncò;
Han carca la fronte de' pesti cimieri,
Han poste le selle sui bruni corsieri,
Volaron sul ponte che cupo sond.
A torme, di terra passarono in terra,
Cantando giulive canzoni di guerra,
Ma i dolci castelli pensando nel cor:
Per valli petrose, per balzi dirotti,
Vegliaron nell' arme le gelide notti,
Membrando i fidati colloqui d'amor.
Gli oscuri perigli di stanze incresciose,
Per greppi senz' orma le corse affannose,
Il rigido impero, le fami durâr:
Si vider le lance calate sui petti,

A canto agli scudi, rasente agli elmetti
Udiron le frecce fischiando volar.

E il premio sperato, promesso a quei forti,
Sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,

[blocks in formation]

l'unione dei vincitori e dei vinti, e la peggior condizione futura dei miseri Italiani. Quei forti sono i Franchi vittoriosi, e dalle parole seguenti si arguisce che il poeta parla della nobiltà feudale che formava nell'esercito la cavalleria.

V. 34. Prandi. Latinismo, in vece di Pranzi, evitato dal poeta come troppo volgare e fors' anco perchè al verso ne sarebbe scemata la gran bellezza del suono. Anche il Tasso (Gerus., VI, 4): A lor nè i prandi mai turbati e rotti ec.

V. 40. Pesti cimieri. I cimieri sono le punte, i pennacchi degli elmi: qui, per sineddoche, gli elmi stessi. Pesti, Ammaccati dai colpi ricevuti nelle battaglie.

V. 42. Cupo sono: o quando fu calato, essendo levatojo, per fare uscir la cavalleria; ovvero, cupo sono sotto le zampe dei cavalli; e forse per l'una cosa e l'altra.

V. 45. I dolci castelli, da essi abbandonati.

V. 49. Le stanze incresciose, sono gli incomodi acquartieramenti durante quella spedizione militare dalla Francia in Italia.

V. 51. Molto propriamente attribuisce qui a Carlo Magno il rigido impero, come nel Cinque Maggio a Napoleone il concitato impero.

V. 52-54. Si videro dirizzati al petto i colpi delle lance nemiche, e sentirono il fischio delle frecce ec. Accenna i pericoli corsi da loro.

V. 55-66. Il poeta, dopo aver descritto nelle quattro precedenti strofe gli stenti, le privazioni e i pericoli a cui i Franchi si erano sottoposti per

« ÖncekiDevam »