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Il barcajuolo e la moglie nella loro capanna
dopo la morte del figlio.

La capanna del barcajuolo, padre dell' annegato, era posta, come abbiam detto, di là del paese, tirando a tramontana. Quel che si vedeva di essa guardando dal lago, non era che un po' di tettuccio di paglia con una croce di legno piantata in vetta; tutto il resto veniva nascosto da due vecchi castagni, i quali parevano chinarsi per abbracciarla. Al di dentro era una cameraccia non ammattonata, col palco ingraticolato e le muraglie tutte nere dal fumo.

Si vedeva in un canto un letticciuolo coperto d'una grossa e ruvida coltre, di quelle che si chiamavano catalane, dalla Catalogna d'onde venivano; nome che conservano ancora in alcuni paesi del lago di Como: era quello il giacitojo del povero Arrigozzo, e in quel momento vi dormiva sopra un barboncino, il suo cane fedele.

A piè del letto, alla distanza di non più di due passi, stava un cassone massiccio, ripieno di terra, dentro il quale, secondo l'uso comune a quel tempo per tutta l'Europa (perocchè era ancor fresca l'invenzione dei camini), si faceva il fuoco, e v'era posto un laveggio a bollire sopra un trepiede; più innanzi, e proprio nel mezzo della camera, sorgeva un desco di faggio: quattro seggiolette impagliate, una mezza dozzina di remi, una rastrellieretta a piuoli appiccata al muro, sulla quale erano messi in parata alcuni piattelli, tre scodelle di terra e tre cucchiai d' ottone luccicanti come un oro; una cassa, una fiocina e un bertovello compievano il mobile di tutta la casa.

Seduta vicino al desco, sotto una lucernetta di ferro attaccata con un uncino ad uno staggio pendente dal palco, stava filando la vecchia Marta, la madre dell' annegato. La faccia piuttosto asciutta che scarna, segnata di poche rughe, il portar diritto della persona, il movere risoluto delle membra mostravano in lei una natura valida e rubizza, che le fatiche e i disagi d'una povera vita non avevano domata. Ma quella fronte, dal cui fondo spirava un'aura serena di pace, si vedeva allora rabbujata da un cordoglio recente e inusato: uno che l'avesse veduta per la prima Il giovane Arrigozzo, loro figlio unico, che si era annegato per burrasca nel lago di Como.

2 Limonta.

volta, poteva agevolmente notare su quelle guance un pallore che non vi doveva essere abituale, un insolcarsi ancor fresco; avrebbe indovinato che quegli occhi, gonfi e sbattuti per le tante lagrime versate, non erano però usi al pianto.

Movea visibilmente le labbra, dicendo le sue divozioni, e di quel suo tacito pregare non si udiva che lo strascico delle ultime sillabe, le quali le morivano sulla bocca in un lieve fischio ch' ella accompagnava col piegar frequente e fervoroso del capo.

Di tanto in tanto volgeva gli occhi a quel letticciuolo, poi gli alzava al cielo in atto di sì desolata pietà, da far manifesto il voto segreto che mandava al Signore, perchè degnasse di richiamarla a sè, di riunirla al suo Arrigozzo.

Michele, colle spalle volte al desco, stava seduto presso al fuoco, curvo sopra di quello, con una mestola in mano tramenando una minestra di paníco nel latte, che bolliva nel pentolino; un dolore più ruvido, più duro, che avea pure qualcosa del dispettoso e dell' iracondo stava sul volto di lui. Egli teneva a bello studio volte le spalle alla moglie, perchè l'aspetto del dolore materno non incrudisse il suo, e continuava in quella bisogna senza levar mai il capo.

Come fu scorsa una mezz' ora, la donna sorse in piedi, si tolse la rocca da lato, andò verso il fuoco, ne tolse giù il laveggio; quindi accostatasi alla rastrelliera, tutta infervorata com'era nelle sue orazioni, si vide dinanzi le tre scodelle; ne le trasse fuori per un moto macchinale; e ripetendo in quella preoccupazione ogni atto a che la mano correva da sè per la consuetudine di tanti anni, le dispose tutte e tre sul desco, mise un cucchiajo a lato di ciascuna, versò in tutte la vivanda e chiamò- Michele! venite a cena. Ma in quella che il marito obbedendo alla voce di lei s'accostava alla tavola, la donna s'accorse d'aver messo un tagliere di più, pigliò affrettatamente una delle tre scodelle e la posò in terra, volendo far sembiante di averla riempita pel cagnolino: al marito però non isfuggì quell'atto sollecito e turbato; notò egli quel terzo cucchiajo che rimaneva tuttavia sulla tavola ad un posto consueto, e indovinando l'amorosa smemoratezza della madre, rivolse la faccia altrove per non lasciarsi scorgere commosso, prese il suo piattello, il cucchiajo, e tornò al posto di prima.

Marta chinò il capo sul petto, stette un momento per ricomporsi, poscia chiamò pel suo nome il barboncino, il

quale levando appena il capo d'in fra le gambe, dimend lievemente la coda e non si mosse; ond' ella accostatasi al letto accarezzandolo colla mano e colla voce, lo prese su e portollo presso la vivanda. Quel cane ella non l'avea mai veduto di buon occhio; l'aveva avuto, si può dire, sempre in uggia, e per sua cagione avea garrito qualche volta il figliuolo, perocchè in quegli anni che andavano sì scarsi le sapeva male di dar quel po' di sopraccarico alla grama famigliuola; ma dopo che Arrigozzo fu morto, il mancare al povero animale d' alcuna di quelle cure ch'egli era solito avergli, il dirgli una mala parola, il fargli un atto sinistro, il non volergli bene le sarebbe parsa una cosa nera, un delitto, un sacrilegio.

Il cagnolino ringraziava a modo suo la padrona di quella insolita sollecitudine, con un mugolio che somigliava al gemere d'una persona, da ultimo abbassò il muso sul piattello, leccò un momento, e poi balzò di nuovo sul letto, vi si acchiocciolò come prima, e fu quieto. - Anche quella povera bestia vuol morirgli sopra - disse fra sè la vecchia, che gli avea sempre tenuti dietro gli occhi. Sedette, si fece il segno della croce, e si pose a mangiare. Pigliava qualche cucchiajata di quel paníco dopo d' aver tramestato un pezzo per la scodella; ma pareva che le crescesse in bocca; non poteva cacciarlo giù: se non che quando ebbe visto il marito che tornava a deporre sulla tavola la sua ciotola, ne ingojo in fretta due o tre cucchiajate una dopo l'altra per mostrare a lui che mangiava di voglia.

Un momento dopo s'accorse che la scodella riportata sul desco dal suo uomo era presso che ancora piena; la prese in una mano, ed accostandosi a lui che si era seduto ancora a canto al fuoco, gli toccò una spalla e disse: - Michele, via, mangiate per l'amor di Dio; non volete tirar innanzi, vedete, se fate questa vita: in tutta la giornata siete ancora, si può dir, digiuno. 11 barcajuolo levò rozzamente le spalle senza rispondere, ed ella seguitava con voce accorata:— Via, mangiatene almeno un poco, volete lasciarvi morir d'inedia? Siete obbligato in coscienza ad avervi cura: fatelo per me, che se m'aveste a mancar voi.... Ma uno scoppio di pianto le soffocò le parole. - Eh! si cacciò allora a gridare il barcajuolo- non la finirete più con questo vostro piangere? tutto il giorno,

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Questo si cacciò è forzato; meglio, Si mise.

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E asciugan

- Lo farete

tutto il giorno sempre a quelle medesime! dosi egli stesso gli occhi col dorso della mano: risuscitare, è vero? Per l'anima mia, che non posso più durarla!

L'infelicissima vecchia si ricacciò indietro le lagrime che le tornarono più amare e più angosciose sul cuore; si terse gli occhi col grembiale, e si rimise a filare.

Per un pezzo nessuno dei due fiatò: la donna, non intermettendo mai il suo lavoro, gettava ad ora ad ora qualche occhiata al marito, il quale seduto su d'una bassa predella, coi gomiti appoggiati sulle ginocchia e il capo nelle mani, parea che piangesse.

Finalmente questi si levò, venne presso la moglie, le si mise d'intorno, e parea che volesse dir qualche cosa per rabbonirla, che la volesse con qualche amorevolezza compensar della pena che le avea dato con quel suo parlare spropositato di poco prima, ma poi non disse altro che questo: - Ebbene, Marta, farò a modo vostro, mangerò per accontentarvi voi; e si mise di fatti a mangiare. - Sentite, Marta, ripigliò di lì a poco domani ho da menare a Dervio il Sindaco qui del paese: coi danari del navolo gli faremo dire una messa, la faremo dire a Lugano dove non c'è l' interdetto.

- La messa gliel' ho già fatta dir io rispose la donna, e alzando il dito al pennecchio - Vedete questa lana? — diceva è appunto del Messere di Lugano: la filatura sconta la limosina della messa.

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Il barcajuolo premette insieme le labbra che, sporgendo in fuori per la subita commozione, gli s'eran fatte aguzze e tremanti, e rattenendo a fatica le lagrime, provò una compassione, una tenerezza, uno struggimento per la vecchia compagna de' suoi giorni, che avea qualche cosa di più santo e, dirò ancora, di più soave del primo fervente amore che le avea portato negli anni della giovinezza.

[Capitolo XI.]

Bice, rinchiusa nel castello di Gallarate, sta ad ascoltare la canzone del menestrello Tremacoldo.

Stavasi allora la sposa d' Ottorino abbandonata su d'un ricco seggiolone a bracciuoli, in atto languido e stanco, sor

Bice, dopo avere sposato Ottorino Visconti cugino di Marco, era stata rapita, a persuasione di Lodrisio Visconti nemico di Ottorino, dal

reggendo con una mano bianchissima il volto smorto, che si chinava lentamente su quella. Una sottil veste schietta, candida come la neve, le stava indosso tutta allentata e cascante: e sotto il volume delle intemperanti pieghe di quella, svanivano le belle forme delle membra che solevan già riempirla, e spiccarvi dentro ben tornite e baldanzose. Le lunghe sue chiome bionde, spartendosi per mezzo la fronte, le contornavano, le raccoglievano la faccia, che fra il pallido di quell' oro natio, spiccava per una bianchezza fredda, uguale, diffusa; non consolata dalla più lieve fioritura di vermiglio, fuorchè ai contorni delle labbra, suffuse pure d'un roseo scolorato.

Ma quanto v' avea di più notabile in quel volto eran gli occhi quegli occhi cilestri grandissimi, che di sotto ad un fondo di soavità e d'innocenza angelica solevano lasciar tralucere il fuoco d' un' anima ardente; quegli occhi che, insieme ad una onesta alterezza di vergine, aveano un non so che di blando, di accarezzante, tutto spontaneo, e di cui essi non eran consapevoli; quegli occhi sereni, molli d'una mollezza svegliata e rigogliosa, ora sbattuti, infossati nella fronte, mostravano una spossatezza che avea del doglioso insieme e dello spaurato.

Lauretta, seduta ad un tavolino posto fra essa e la padrona, stava lavorando ad un trapunto d' onde questa avea poco prima levata la mano.

Bice, colla guancia dimessa nella palma, tenea la faccia rivolta verso l'ancella, come se badasse al lavoro; ma l' occhio non avea sguardo, chè l'animo suo in quel momento era tutto fra le ombre d'un terrore segreto.

Finalmente sorse in piedi, e si mosse verso un verone spalancato: l'andar suo era lento e faticoso; appoggiò i go

Pelagrua castellano di Gallarate.

Ecco qui sotto, come per contrapposto, il ritratto che della Bice, allora fiorente, si legge nel capitolo III. Era la fanciulla a sedici anni una rosa che si schiude in tutta la freschezza, in tutta la fragranza ai primi raggi d'un bel mattino rugiadoso. Una lunga veste cerulea, sormontata dalla cintura fino al ginocchio da una reticella d'argento, imitava il colore delle sue pupille, ma era ben lungi dal pareggiar l'etereo azzurrino, il molle e languido splendore di quelle. Il diffuso volume delle chiome bionde, morbide, lucenti com' oro filato, frenate soltanto da una corona di fiori alternati l'uno d'argento, l'altro del color celestino della gonna, le scendeva ondeggiante pel collo e per le spalle, ricco, odoroso fino al lembo estremo della veste. Alla natia dolcezza, al candore che spirava dal volto della vergine, si mescea una cotale ombra di ritrosia, una lieve sfumatura d'un' alterezza fantastica e schifa, ma pur soave, che aggiungeva una certa avvenenza, un certo garbo, un sapore tutto proprio alla rara nobiltà di quei lineamenti.»

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