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Su quel che in tuo pensier tu ti creasti
Più che umano modello, indarno speri.

E anco aggiugner vorrei Perchè sì eccelso,
E amator sempre d'ogni eccelsa cosa,
Delle umane speranze oltre alla tomba
Spingere il volo non curasti? Indarno
Mille di ciò colla feconda mente
Sai cumular difese; io non t'assolvo.

[DAI] SERMONI SU LA POESIA.
[1818.]

Poesia vera.

Ingenua casta e limpida parola,

Che di gaudio, di speme e di paura,
Di terror, di pietade ange o consola;

Viva, fedele, universal pittura

Dell' uomo in prima, e quindi a parte a parte
Di tutta quanta immensa è la natura;

Dalle divine e dalle umane carte

Nodrito ampio sapere e sapienza :
Questo in pensier mi sta tipo dell' arte.
Ella è santo diletto, ella è potenza
Degli affetti, piegata a far che sia
Voluttà la giustizia e la innocenza.
E sia pur vasto ingegno e fantasia
Tutto veggente, chi benigno il core
Non abbia e l'alma generosa e pia,
Non salirà dell' arte al primo onore.

[Sermone primo.]

[DAL POEMETTO] SCETTICISMO E RELIGIONE.

[1845.]

La vecchierella.

Ma canta allegra al bosco e alla campagna,
Sempre un riso benevolo ha sul labro
La vecchierella della mia montagna,
Che apprese a creder nel Figliuol del Fabro,
Ed ha conforto e lume in quella fede
Ad ogni passo travaglioso e scabro.

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Recarla a dubitar di quanto crede

Saria come voler ch'ella negasse

Quel che tocca la man, che l'occhio vede.
Sua vita umil sempre adorando trasse,

E o del raccolto le godesse il core,
O la gragnuola i tralci le schiantasse,
Benedisse nel gaudio e nel dolore;

Nè fu il suo ragionar che una parola:
La volontà sia fatta del Signore.

Fermo ha in cor che il peccato è cagion sola
De' mali, e che è il Signor giusto e clemente,
Se dona o toglie, o tribola o consola;
Che vivrem tutti altrove eternamente;
Che tutti errammo; e, se talor le cuoce
Patita ingiuria, e dentro si risente,
Lui le ricorda una segreta voce,

Che vittima volente e immacolata
Pregò pe' suoi crocifissori in croce.
Mai che odio, nè rancor su la pacata
Fronte le fosse de' suoi di veduto:
Ella tutti ama ed è in ricambio amata.
Chi, quel viso scorgendo, il mento acuto,
Quel piglio amico, se la scontra in via,
Per lei non ha un festevole saluto?
Nè di servigio avara a chicchessia,

Nè mai povera è sì, che del suo pane,
Ove stringa il bisogno, altrui non dia.
Vede i monti selvosi, e le fontane

Benefiche spicciarne, e su per l'erta
Saltar le capre, e di crescenti lane
La mite pecorella errar coperta,

Il sol che nasce e pel grand' arco ascende,
Declina e cade con perpetua e certa
Legge, e gli astri notturni e le vicende
Della candida luna. Ella ad ogni ora
Esalta del Signor l'opre stupende.
Come accadan tai cose al tutto ignora,
Nè già s'avvisa d'indagar; del pari
Quanto è mistero della fede adora.

[Capitolo quarto.]

MESTICA.

- II

18

SILVIO PELLICO.

I. Nato a Saluzzo il 24 giugno del 1788, Silvio Pellico ebbe la fanciullezza travagliata e sofferente per fantastiche paure e per malattie, che ne facevano presagire sempre imminente la morte; e dovette il risanamento alle cure ineffabili della madre, che a lui fu anche ispiratrice di ogni nobile sentimento. Passati sette anni1 della fanciullezza a Pinerolo, dove la famiglia per disastri domestici erasi trasferita, undicenne si condusse dipoi con questa a Torino, dove il padre verso il 1799 ottenne un pubblico ufficio, essendovi già stabilito, dopo la cacciata del re, un governo democratico alla francese. Colà Silvio col fratello maggiore Luigi fu avviato sin d'allora alla vita civile; poichè il padre soleva menarli, sebbene ancora fanciulli, nei popolari comizî dove egli era solito d'intervenire e discutere sempre a difesa del bene pubblico e della giustizia. Colà, appena quattordicenne, sentì la potenza di un primo amore, ch'egli poi, insieme con un secondo, rammentava teneramente nel Carme intitolato Le Passioni.

Nell'adolescenza dimorò quattro anni a Lione presso un cugino della madre ricchissimo e degnissimo delle sue ricchezze, che lo trattava con affezione paterna. Questo fu uno dei felici tempi della vita di Silvio, il quale si sarebbe forse stabilito definitivamente colà senza più svolgersi dal culto e dall'uso della lingua e letteratura francese, se non veniva dall' Italia a scuoterlo una voce potente. Trasferitasi la famiglia a Milano, col padre fatto caposezione nel ministero della guerra, di là il fratello maggiore, impiegato ivi anch' esso, mandò a Silvio il Carme dei Sepolcri. Al giovinetto ventenne, inebriato da siffatta lettura, parve sentire in essa la voce d'Italia e dell'italiana poesia che lo richiamava a sè; bramoso di conoscer l'autore di quella lirica nuova ed ammaliante, giunse nel 1809 a Milano, dove presentato a Ugo Foscolo dal fratello, amico del poeta zacintio, a lui si fece amico esso pure. Avendo poi stretta amicizia anche con Vincenzo Monti, dopo la rottura dei due grandi uomini, al contrario di tanti che non facevano

1 Lett. a Giulia Colombini, 1° gennajo 1844.

2 Lett. a monsieur Antoine De Latour, 21 novembre 1837.

che aizzarli l'uno contro l'altro, egli adoperava ogni arte per temperarne i mutui sdegni. Il suo affetto però fu intimo e caldo singolarmente verso Ugo Foscolo; tantochè questi nel 1815, fuggendo esule dall' Italia, lasciò il giovane piemontese depositario dei suoi libri e delle sue carte, e anche lontano lo ebbe sempre fra gli amici più cari. Onde il Pellico ne' suoi anni maturi, richiamando in una patetica poesia i mesti ricordi di quell'amicizia, moveva il suo canto con questi versi:

Ugo conobbi, è qual fratel l'amai,

Chè l'alma avea per me piena d'amore:
Dolcissimi al suo fianco anni passai,

E ad alti sensi ei m'elevava il core.
Scender nol vidi ad artifizi mai,

E viltà gli mettea cruccio ed orrore:
Vate era sommo, ed avea cinto l'armi,

E alteri come il brando eran suoi carmi.

II. A Milano negli ultimi anni del regno italico s'accoglieva in gran parte il fiore dei dotti e dei let-.. terati d'Italia; la letteratura sotto l'impulso del Monti e del Foscolo si era avvivata, e si fecondavano i germi di un suo ulteriore rinnovamento. Ivi il giovane Pellico, venuto in buon punto, potè avviare al meglio la sua educazione e coltura letteraria, giovandosi anche della conoscenza, che aveva ed acerebbe, delle lingue straniere moderne, la francese, l'inglese e la tedesca; e potè anche provvedere alla sussistenza con la cattedra di lingua francese nel Collegio degli orfani militari. Se non che, ristaurata nel 1814 a Milano su le rovine del regno italico la dominazione austriaca, esso e il padre e il fratello perdettero tutti e tre l'impiego. La famiglia tornò a Torino, dove Onorato Pellico ebbe un pubblico ufficio, e Luigi andò a Genova come segretario di governo, donde fu rimosso nel 1822 dopo la condanna di Silvio; tanto era a quel tempo la servilità del governo piemontese all' Austria! Silvio rimase a Milano come. precettore di un giovinetto in casa Briche, e poi, dal marzo del 1816 in casa del conte Luigi Porro, come << suo segretario con l'obbligo di educare due suoi figliuoli, mediante tavola, alloggio e mille lire italiane. per tutta la vita. Luigi Porro fu egregio cittadino,

'Lett. a Federico Confalonieri, 17 gennajo 1836. 'Lett. a Ugo Foscolo, 20 marzo 1816.

fautore degli studî letterarî e costante amatore dell'indipendenza d'Italia, per la quale si era adoperato dopo l'abdicazione di Napoleone nella primavera del 1814 insieme con Federico Confalonieri e altri patriotti milanesi, cercando, benchè invano, di costituire indipendente dagli stranieri il regno italico d'allora ; al quale nobilissimo tentativo parteciparono anche il Manzoni ed il Pellico. Il movimento letterario, iniziato negli ultimi anni del regno italico, come provano gl' Inni sacri e, benchè non cogli stessi criterî e intenti poetici, la Francesca da Rimini, facendosi ognora più vive le idee che lo fecondavano, ebbe una manifestazione formale in un periodico, detto il Conciliatore, perchè fatto col proposito < di conciliare tutti i sinceri amatori del vero. Quel periodico nacque ed ebbe alimento in casa del conte Luigi Porro da una società di amici, nella quale Silvio teneva l'ufficio di segretario; e ne furono collaboratori il Pellico stesso, Giovanni Berchet, Lodovico di Breme, Giovanni Rasori, uscito poco prima dal carcere austriaco, e altri letterati, se non tutti di grido, tutti collegati per sostenere, finchè fosse possibile, la dignità del nome italiano. L'intento politico, copertamente congiunto al letterario, non isfuggì al sospettoso e vigilante governo austriaco, che perciò si propose di spegner l'inviso periodico, ma, per non parere nemico di civiltà, con mezzi indiretti, disponendo che la censura falcidiasse, ognora. più aspra e spietata, gli articoli presentati alla sua approvazione; e da ultimo, a produr più sicuramente l' effetto, fece ingiunger dalla polizia a Silvio Pellico di astenersi ne' suoi articoli da qualunque cosa avesse attinenza con la politica, altrimenti sarebbe stato bandito,3 e a Pietro Borsieri, impiegato nell' amministrazione pubblica, diede consiglio di non più far parte d' un assunto. così biasimevole qual era la pubblicazione d'un giornale come il Conciliatore. Onde gli scrittori del periodico, vedendo che col voler misurare le parole al compasso di quella dispotica censura avrebbero dovuto finire col non dir nulla, cessarono da tale pubblicazione, che, cominciata il 3 settembre del 1818, durò fino al

In questo vol., pagg. 133, 134.

2 Lett. a Ugo Foscolo, 17 ottobre 1818.

3 Lett. di Ermes Visconti ad Alessandro Manzoni, 25 novembre 1819, nel volume I Manzoni e il Fauriel. Roma, Barbèra, 1880, pag. 143.

Lett. a Luigi Porro, 24 ottobre (1819].

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