Decoro sia del tempio, e sparga incanto [DALLE] POESIE VARIE. [1834-1837.] Saluzzo. Et sit splendor Domini Dei nostri super nos. Ps., LXXXIX, 17. Oh di Saluzzo antiche, amate mura! Del monte Viso, cui da lunge ammira Lieti sguardi, Saluzzo, il ciglio mio, O Saluzzo, in tue rocce e in tue colline, A piè di queste nostre Alpi si sente Sovra il tuo Carlo, e il dotto suo parente, Ma tu mi parli al cor con tenerezza, Qual madre che portommi infra sue braccia, E sul cui sen dormito ho in fanciullezza. Ben è ver che stampata ho breve traccia Teco, o Saluzzo, e il dì ch' io ti lasciai A noi già lontanissimo s'affaccia. Pargoletto ancor m'era, e mi strappai Non senza ambascia da tue dolci sponde, E, diviso da te, più t'apprezzai. Perocchè più la lontananza asconde D'amata cosa i men leggiadri aspetti, E più forte magía sul bello infonde. Felice terra a me parea d'eletti La terra di mio Padre, e mi parea Come quando tuoi vanti ei mi dicea. Che in me d'onor tu non andresti priva. Benchè in tue mura il capo io non posassi. Nella città ch'è in Lombardia regina, E colà con anelito io volava. E colà vissi, e colsi la divina Fronde al suon di quel plauso generoso, Che premia, e inebbria, e suscita, e strascina. Oh Saluzzo! al mio giubilo orgoglioso Pe' coronati miei tragici versi, Tua memoria aggiungea gaudio nascoso. La saluzzese cuna, e mi ridissi Che grata a me rivolto avresti il guardo! E poi che in ogni itala riva udissi Mentovar la mia scena innamorata, E negra carcer mi divenne ostello. Tristezze pur il Ciel mescolar volle, A vita di pensier, che in qualche guisa Fra le non molte più dilette cose, Pregava, e amava, e sentía desto il raggio Del pöetar, che il cielo entro me pose. Miei carmi erano amor, prece, e coraggio, E fra le brame ch' esprimeano, v'era Ch'essi alla cuna mia fossero omaggio. Io alla rozza, ma buona alma straniera Del carcerier pingea miei patrii monti, E allor sua faccia apparía men severa. E m'esultava il sen, quando con pronti Impeti d'amistà quel torvo sgherro Commosso si mostrava a' miei racconti. Pace allo spirto suo, che in mezzo al ferro Umanità serbava! A lui di certo Debbo s' io vivo, e a' lidi miei m'atterro. Mamma. Mamma. Bimbo. Mamma. Bimbo. Mamma. Bimbo. Mamma. Bimbo. Mamma. Mamma. Bimbo. Bimbo. Bimbo mio, di che hai paura? Poi tre passi ed altri tre: Mamma è Spielberg: la prigione! Barrabasso e il rio ladrone. Mamma, mamma, ecco lassù In quell' angol, bimbo caro, Perchè? Babbo ed il compare E disser ch' anco il sole, E disser.... Ti sculaccio Se ti sento ancor fiatar. Mamma, disser.... Mamma! taccio! * Questa è una delle poesie scritte nello Spielberg. Vedi più addietro a pag. 278. GIOVANNI BERCHET. I. Da Francesco Berchet, di famiglia francese stabilitasi nella prima metà del secolo decimottavo a Milano, e da Caterina Silvestri nacque a dì 23 decembre 1783 nella detta città questo poeta, che ha fatto palpitare co' suoi versi due generazioni fino alle ultime battaglie per l'indipendenza d' Italia. Messo dal padre, ch' era un negoziante, allo studio delle lingue straniere per il commercio, apprese egregiamente la francese, l'inglese e la tedesca; e se ne valse quindi per rendersi famigliari quelle letterature, alle quali aggiunse posteriormente anche la conoscenza della spagnuola. Essendo però alieno dalla carriera del commercio, voltosi a quella dei pubblici uffizî, nel 1810 ottenne un impiego nella cancelleria del Senato del regno italico. Perdutolo con la caduta di questo, nel maggio del 1816 dal governo austriaco fu scelto temporaneamente a segretario della Commissione ordinatrice degli studî, e, per la sua perizia nella lingua tedesca, a traduttore presso la Delegazione provinciale di Milano; del quale ufficio avendo chiesta nel 1819 la stabilità, per essersi fatto conoscere di opinioni politiche avverse alla dominazione straniera in Italia, non ostante la sua valentia, fu tenuto addietro. Per la stessa cagione nel 1821, divenuto vieppiù inviso al governo austriaco, come già dedito alla compilazione del Conciliatore, e stretto in amicizia coi principali patriotti, dopo la repressione della rivoluzione piemontese, alla quale era collegata l'azione dei liberali lombardi, appena ebbe inteso che la polizia andava in cerca di Federico Confalonieri, che non fu in tempo a salvarsi, egli con celere fuga nella Svizzera prevenne i tormenti del carcere duro. Recatosi di là a Parigi e poi a Londra, stentò quivi la vita, facendo per una casa di commercio la corrispondenza mercantile in varie lingue, fino al 1829, in cui il suo concittadino marchese Giuseppe Arconati, esule anch' egli, ricco dei beni di fortuna e, più, di quelli dell' animo, generosamente gli offerse l'ospitalità nella propria famiglia, e poi ve lo tenne sempre come fratello. Da quel tempo il Berchet, alternando con l'amico le dimore in Francia, nel Belgio e in Germa |