Sayfadaki görseller
PDF
ePub

tosto al Niccolini, al Guerrazzi ed al Giusti. Fu detto che la poesia del Berchet deriva dall'ode manzoniana Marzo 1821; ma è un' esagerazione, se non anche un errore. Chi può dire che senza quell'ode il Berchet non avrebbe fatto nell' esitio quei componimenti stessi? E ammesso pure ch'egli prima di esulare l'avesse letta in segreto, questo è certo che uno dei principali componimenti suoi, 1 Profughi di Parga, lo aveva composto prima; e il Manzoni stesso, come abbiamo veduto, attribuiva a quello il pregio dell' originalità. Del resto che sia poeta inferiore, e di quanto!, al Manzoni, è inutile dirlo. La poesia delle sue romanze, che è tutta epico-lirica e con più precisione (per dirlo con le sue parole) come fanno parlando dei venti, poesia epico-lirica-lirica,' › consiste in piccoli quadri, dove spicca più la vivezza e il calore che la vastità e la perfezione estetica delle concezioni e delle forme. La ragione del patriottismo non di rado potè in lui più che quella dell'arte. < Io mi son messo sur una strada (lo confessa egli stesso) dove spesso fo sacrifizio della pura intenzione estetica ad un' altra intenzione, dei doveri di poeta ai doveri di cittadino; e dopo aver notata la prevalenza in lui della devozione civile su la devozione estetica, > chiede che nel giudicare i suoi versi si proceda con qualche riferimento a queste considerazioni c'ha egli avute, e si dica almeno: Ha fatto un cattivo poema, ma una buona azione. Il qual detto, verissimo nella seconda parte, vuolsi attenuare assai nella prima, non però sconfessare. Perocchè egli veramente qua e là mostra di aver più la devozione civile che l' estetica; come per esempio, nella chiusa del primo poemetto, dove per voler mettere in evidenza la punizione morale che infligge o dovrebbe a sè infliggere l'oppressore, trascende alla rappresentazione dell'inverisimile; e nelle Fantasic pecca altresì d'inverisimiglianza nella troppo lunga parlata che ha messa in bocca al guerriero lombardo vicino a morire; la quale ha l'aria di una predica politica fatta agli uomini del secolo decimonono. Di tale inverisimiglianza l'autore, pur confessandola, cerca di scusarsi con dire che le ammonizioni contenute in quella parlata erano le sole che a lui più importava di esprimere per il suo intento civile; ma appunto la scusa rivela

2

3

BERCHET, Opere ec., pag. 128.

2 Prefazione alle Fantasie. Ivi, pagg. 138, 139.

Ivi, pagg. 140, 141.

il peccato dell' artista. L'altro suo intento conseguente da questo, cioè dal politico, di fare una poesia popolare lo ha condotto a menomare i bei pregî del suo poetare con varî difetti. E qui importa notare che il titolo di romanze, ch' egli diede a tutti i suoi componimenti poetici, implica appunto questo suo proposito di ricondur la poesia fra il popolo, come fra il popolo ebbero origine e vita le prime canzoni composte nelle lingue neolatine; e per ciò volle adattarvi i sentimenti, le imagini e i metri più popolari e animosi. Indi fra lampi vivissimi di poesia, anche delle prolissità e prosaicità, che stuonano fortemente col vigore che gli è più consueto; ma sono conseguenti al suo proposito di esser chiaro sempre e di farsi intendere dal maggior numero senza bisogno mai d'illustrazioni e di note. Per questa china molti hanno precipitato dipoi così a basso, da non far più distinguere la poesia dalla prosa, e da comporre anzi una prosa in versi tanto sciatta, che nessun galantuomo vorrebbe accettarla per sua. Giovanni Berchet è restato a notabile altezza, e un' aureola di poeta gli riluce intorno.

[DALLE] LETTERE. 1

Ad Antonio Panizzi, a Londra.

Milano, 26 aprile (1848).

Mio caro Panizzi, Ricevei due ore fa la tua lettera del 20. Affaccendatissimo come sono, perdona se nel risponderti sarò brevissimo: Pompeo Litta è da più giorni malato, non ho potuto vederlo; ma la moglie di lui mi fece presso a poco capire quello che dalla tua lettera a me non m'era riuscito di decifrare. Dunque, viva Dio! neppur tu sei desideroso di repubbliche; così c'intendiamo. Se ti riesce dunque di usare costà della tua influenza, usala tutta, e sempre e caldamente a favore nostro, il che vuol dire a favore dell' unica soluzione possibile e ragionevole. L'unità assoluta dell'Italia verrà . col tempo; chè in politica come in natura nulla si fa di un

་ ་ Queste lettere sono nel volume intitolato: Lettere ad Antonio Panizzi di uomini illustri e di amici italiani (1823-1870) pubblicate da Luigi Fagan, addetto al Gabinetto delle stampe e dei disegni al Museo Britannico. Firenze, G. Barbèra editore, 1880. Sono otto soltanto, importanti anche per la storia di quei tempi. Ne furono pubblicate altre poche qua e là; una raccolta da formare un Epistolario, ancora non si è fatta.

tratto, d'un solo sbalzo. Intanto qui, nella vallata del Po, da Alpi ad Alpi, noi vogliamo uno Stato (e di' pure un Regno) costituzionale, forte, compatto, di un dodici milioni almeno di abitanti, il quale ci salvi adesso e in futuro da qualunque irruzione straniera, sia ch'ella venga da Germania, sia ch'ella venga da Francia. A questo siamo determinati la immensa maggiorità che siamo, e a malgrado del partito repubblicano che qui in Milano si agita (dico qui in Milano, perchè nelle altre città è partito minimo, impercettibile quasi) ho fede in Dio che riusciremo. Fatto una volta questo muro, da Torino a Venezia, nasca quello che vuol nascere in Europa, l'Italia potrà tenersi tranquilla; e se col tempo questa gran base dell' unità dovrà ingrandirsi ancor più, ci penseranno i figli nostri; chè a noi basta di assicurarci il presente e il prossimo avvenire, e di assicurarlo in modo che non impedisca menomamente i più brillanti destini che possano toccare all' Italia nel futuro. Venezia ci ha guastato un tantino le cose nostre con quel suo impronto dichiararsi in repubblica; ma ora comincia già a rinsavire e pentirsene. Dunque è Carlo Alberto che noi vogliamo a Re dell'Italia superiore; e se son io che prédico per questo, tu che sai quello che io mi sia, puoi ben credere che la necessità imperiosa e l'amor disinteressato della mia patria me lo consigliano, e non altro. Predica dunque anche tu, te ne scongiuro, questa necessità, e giovaci d'ogni maniera a farla ben sentire ai signori Inglesi, i quali non devono in ciò veder nulla che possa lor nuocere. Anzi se l'Inghilterra col cadere e disfarsi dell' Austria perde un possente alleato da opporre, a un bisogno, alle pazzie di Francia repubblica, dovrebbe esser ben contenta di veder sorgere un altro Stato nuovo, che potrebbe nell' amicizia di lei tenere, sottentrandovi, il posto dell' Austria che sparisce. Ci ajuti adunque

In una lettera posteriore (25 maggio 1848) scriveva allo stesso Panizzi: Del discredito in cui in Inghilterra si mette Carlo Alberto vuolsi accagionare le mene repubblicane. Tu sai com'io la pensi a questo proposito, e lo sa il mondo anche. Non tocca a me di fare il panegirico al Re; ina come galantuomo che adora sopra tutto il vero, ti dico che, lasciato stare il passato, del quale siamo rei tutti, e veduto con occhio scrutatore il solo presente dal principiare dell' opposizione sua all'Austria fino adesso, Carlo Alberto si conduce davvero in modo schietto, onesto, lodevolissimo. Avresti mai creduto che io dovessi dire di queste parole? Ma ciascun secondo l'opre sue; in questo sono Sansimonista anch'io; ma solo in questo, chè pazzie non voglio. »

L'italiano Antonio Panizzi era molto accetto ed autorevole presso i principali uomini di Stato inglesi e specialmente presso il Palmerston allora presidente del Consiglio dei ministri.

Inghilterra con tutti i mezzi morali che può, ed avrà nel nuovo Regno nostro un non indifferente sostegno contro le improntitudini francesi. S'io non m'inganno, la perspicacia di lord Palmerston dovrebbe già avere presagita questa possibilità. Ad ogni modo la è una delle nuove condizioni che si affacciano in questo sconvolgimento di Europa. Se le diplomazie vecchie ci perderanno la bussola, l' Inghilterra più sagace saprà rinvenir la sua via, e via profittevole anche dal lato commerciale. Insomma tu mi capisci.

In quanto all'accomodarci noi coll' Austria, nulla sarà difficile, quando l'Italia sia appieno sgomberata dall' esercito austriaco. Prima di ciò, è cosa da non potersene per ora parlare, tanta è l'esacerbazione messa negli animi dalle tante ribalderie e crudeltà austriache. Scrivo a rompicollo e in estrema fretta. Scusami e credimi tutto tuo sinceramente.

Ad Antonio Panizzi, a Londra.

Genova, 22 ottobre 1848.

Mio buon amico, La tua lettera ultima io la mandai subito al Casati a Torino, ed ho lasciato a lui l'incarico di scriverti più di frequente che nol possa fare io qui da Pegli, sequestrato dal mondo e provveduto di notizie scarse o da poche lettere o dai giornali inverecondamente mentitori, e per lo più stolidi ne' loro giudizî politici. So che il Casati ti ha risposto subito; e se a lui manderai notizie un tantino meno nere delle ultime, voglio credere che me le comunicherà senza ritardo. Ad ogni modo, se n'hai tempo, scrivimi qualche volta anche direttamente. Altro non occorrendo, io rimarrò per un mese ancora qui; poi o da Torino o da Firenze ti darò il mio indirizzo pel restante dell' inverno; se pure invece non dovesse esser Milano, dove gli speranzosi profughi di Lombardia credono di poter tornare quando che sia trionfanti. Non tutte di certo le speranze loro io divido, perchè tutte essi le fondano su la guerra che vogliono ad ogni patto, e che pur troppo veggo che il Governo sarà trascinato a dover. fare, se non cápitano presto presto offerte di patti vantaggiosi per la pace. La guerra potrà esserci favorevole; ma la è sempre un giuoco.

Le poche speranze mie sono fondate su la necessità, in cui da ultimo deve trovarsi l'Austria di accomodare le cose d'Italia, e di richiamar Radetzky e i suoi Croati ad ingrossare le forze di Jellachich. Te lo diceva io che siamo su di

un terreno che ci si muove sotto i piedi ad ogni istante! E non ti pare che la posizione nostra sia cambiata sommamente in questi pochi giorni? Che vuoi di più? L'Ungheria in rivoluzione, Vienna in rivoluzione, l' Imperatore in fuga, gli Slavi che d'ogni parte tirano a darsi la mano, l'Impero d'Austria per avventura costretto a salvarsi trasfigurandosi in Impero slavo; e l'elemento austriaco germanico assorto, ingojato dallo slavo; e quel ridicolo Parlamento di Francoforte presso a morir d'impotenza; e la Prussia lemme lemme avviandosi sott'acqua a giganteggiare in Germania, non le ti pajono tutte insieme circostanze favorevoli alla causa nostra? La causa ha adesso aspetto men tristo, parmi. Animo dunque, signor Panizzi: faccia valere il bisogno di conchiuderla presto, ipso-facto, la pace italiana. Se l'Impero deve diventare slavo, — e mi pare il più probabile scioglimento de' trambusti austriaci, - cessa per esso ogni ragione, ogni interesse di conservarsi l'Italia, destinato com'è a dover buttar l'occhio a tutt'altre popolazioni, a tutt'altro ingran- · dimento. E se l'Inghilterra riesce a farla conchiudere subito questa pace, non si libera essa subito dal timore di veder Francia trascinata a guerra dalla guerra nostra? Animo, signor Panizzi, me le raccomando. E non vi ha che una larga pace é pronta che possa frenare questa volontà di guerra che risorge in Italia, e mettere questa in istato da poter frenare le pazzie anarchiche che la disperazione suggerisce. Davvero se le cose dovessero durare ancora un qualche tempo così, io non veggo chi ci salverebbe dalla repubblica e dalla guerra generale. Abbiamo bisogno d'ordine; nè questo può conseguirsi nell' incertezza febbrile che ci travaglia tutti.

[ocr errors]

Io spero che tu, che gli amici tuoi influenti troverete altre ragioni che vi confermino ed avvalorino queste poche mie. Animo, signor Panizzi! - Credimi sempre sempre.

[DALLA] LETTERA SUL DRAMMA
DEMETRIO E POLIBIO

CANTATO NEL TEATRO CARCANO.

[Luglio 1813.]

La musica di Gioachino Rossini.

Modellando il signor Rossini l'arte sua al vero gusto italiano, si sgabellò delle astruse metafisiche di molti degli

« ÖncekiDevam »