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oltramontani; e lasciando che a loro tenga luogo d'ogni altro senso l'orecchio, vide che in Italia v'erano anche de' bisogni del cuore, e questi studiò di appagare; vide che se la sola armonia bastava all' udito, ella non basta però a conseguire quel fine a cui egli mirava, ed a lei saviamente accoppiò la cantilena; vide che la persuasione è operata dalla continuità del pensiero, e certo egli di possedere profondamente la scienza musica, non si curò di farne uso vano e puerile; ma maneggiandola da padrone allungò i suoi pensieri in modo da schivare le tante e ricercate spezzature, delle quali pare che vadano innamorati i moderni eruditi dell' arte; vide che il suono degli strumenti, quandò sta unito al canto, non può ragionevolmente affettare il primato, ma sì bene deve a quello sottostare pazientemente, e non si diede perciò a seppellire la dolcezza delle voci umane nella tempesta dei timpani e nello stridore delle corde e dei chiarini; vide egli insomma tutto quello di cui si erano accorti prima di lui e Pergolesi e Jomelli e Cimarosa e Paesiello, e rispettandone l'ombre, senza seguirle servilmente, si apri una via alla gloria. E se vago, come egli è, dell' aver semplicità, pur non ebbe coraggio di inimicarsi del tutto i cacciatori dei ghirigori musicali, bisogna almeno confessare che nel placar di frastagli e ricami quella. divinità egli fu scarso assai ne' suoi sacrificì. Fortunato giovinetto, e fortunati noi pure, se le meritate lodi, delle quali lo onorano i suoi paesani, varranno a mantenerlo ostinato nel suo proposito, e ad irritare sempre più nell' animo di lui quella sete di fama che io vorrei necessariamente insaziabile ed eterna nei grandi ingegni; ma che però con danno universale si spegne talvolta per colpa della facile contentabilità giovanile.

[DALLA] LETTERA SEMISERIA DI GRISOSTOMO.

[1816.]

Ricchezza e uso della lingua italiana.

E non occorre dire che la lingua nostra non si pieghi ad una prosa robusta, elegante, snella, tenera quanto la francese. La lingua italiana non la sapremo maneggiare con bella maniera nè io, nè tu; perchè tu sei un ragazzotto, ed io un vecchio dabbene e nulla più. Ma fa' ch'ella trovi un artefice destro; ed è materia da cavarne ogni costrutto.

Ma questa materia non istà tutta negli scaffali delle biblioteche. Ma non là solamente la vanno spolverando que' pochi cervelli acuti che non aspirano alla fama di messer lo Sonnifero.

In Italia qualunque libro non triviale esca in pubblico, incontra bensì qua e là qualche drappelletto minuto di scrutinapensieri che pure non lo spaventano mai con brutto viso, perchè genti di lor natura savie e discrete. Ma poveretto! eccolo poi dar nel mezzo ad un esercito di scrutinaparole, infinito, inevitabile, e sempre all' erta, e prodigo sempre d' anatemi. Però io, non avuto riguardo per ora alla fatica che costano i bei versi a tesserli, confesso che qui tra noi, per rispetto solamente alla lingua, chiunque si sgomenta de' latrati dei pedanti, piglia impresa meno scabra d'assai se scrive in versi è non in prosa. Confesso che per rispetto solamente alla lingua e non ad altro, tanto nel tradurre come nel comporre di getto originale, il montar su i trampoli e verseggiare costa meno pericoli. Confesso che allo scrittore di prose bisogna studiare e libri e uomini e usanze; perocchè altro è lo stare ristretto a' confini determinati di un linguaggio poetico; altro è lo spaziarsi per l'immenso mare di una lingua tanto lussuriante ne' modi, e viva, e parlata, ed alla quale non si può chiudere il Vocabolario, se prima non le si fanno le esequie. Ma lo specifico vero per salire in grido letterario è forse l'impigrire colle mani in mano, e l'inchiodar sè stessi sul Vocabolario della Crusca, come il Giudeo inchioda sul travicello i suoi paperi perchè ingrassino?

No no, figliuolo mio, la penuria che oggidì noi abbiamo di belle prose, non proviene, grazie a Dio, da questo che la lingua nostra non sia lingua che da sonetti. Fa' che il tuo padre spirituale ti legga la parabola dei talenti nell'Evangelista; e la santa parola con quel serve male et piger ti snebbierà questo fenomeno morale.

[DALLA LETTERA] AGLI AMICI MIEI IN ITALIA

PREMESSA AL POEMETTO LE FANTASIE.

[Gennajo 1829.]

Origine e carattere della poesia nelle Fantasie.

Dinanzi a me [nella composizione delle Fantasie] non istavano che il concetto della virtù lombarda nel medio evo,

e il concetto della presente nostra (siamo sinceri) corruttela. Gl' individui erano spariti tutti. E che so io d'individui? che ne importa all' uomo in quella poca mezz'ora ch'egli si ritira a conversare con le astrazioni della sua mente? Se fossi andato in traccia d'individui, quanti e quanti non ne avrei saputo trovare, tra' viventi, ottimi Italiani davvero! Ma i due concetti miei erano somministrati dalle masse, dal tutto insieme di ciascheduno dei due secoli, concetti definiti dai fatti in generale, e non dall' inconcludente fissar gli occhi in faccia alle persone, concetti che non escludono la contingibilità delle eccezioni, non le niegano, ma non ne tengono conto, paghi di porgere l'espressione collettiva de' fenomeni più abbondanti.

L'ultimo sentimento, che risulta nell' animo di chi considera il secolo della Lega Lombarda, è il sentimento d'una tal quale virtù nella massa de' viventi in quel secolo, a mal grado de' vizî inerenti a quello stato di civiltà, a mal grado della particolare cattivezza di moltissimi individui. E di siffatta virtù la prova infallibile sta nel loro aver voluto l'indipendenza e la libertà, e nel cercarle, come fecero, non con la pietà del guaire, ma co' nervi e col sangue nella battaglia. L'ultimo sentimento che nasca dall'esame di noi adesso viventi, non so quale altro esser possa che quello della nostra corruttela generale, quando parla a tutta l'Europa il fatto della nostra supina tolleranza della servitù. Che giova ripararci dietro la virtù pure esistente in moltissimi, rifuggirci alle anomalie, quando trattasi di far giudizio dell'intera nazione?

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Ell'è una verità dura, e chi'l niega? — a sentirsela dire, durissima a dirla questa della nostra corruttela. Ma anche Dio, o chi parlava in nome di lui, rinfacciava durissime verità al popolo pure prediletto. Ma egli è meno amaro, poichè ella non è più un segreto, il dircela quella verità tra di noi, che non il sentircela rin tronare ogni tratto e in mille guise dalla bocca degli stranieri, e rintronare con quella odiosità di paragoni, con quella asprezza di modi vanitosi, che ti rende ostico il rimprovero per ciò solo che t'accorgi che in esso non è mistura alcuna d'amore. Quando noi avremo detto il fallo nostro, sarà già questo un passo verso l' emendarcene; e gli stranieri saranno costretti a tacere, se non per altro, per quella cura che gli uomini mettono, non dirò a non essere, ma a non parere plagiari.

Ma rimettiamoci in cammino. I due termini astratti virtù

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e corruttela, i due concetti di secolo vecchio e secolo presente, come poteva io esprimerli co' mezzi poetici senza ricorrere a forme concrete, a forme umane che li rappresentassero ?

Lascio a voi, dilettissimi, insieme col merito della pa-. zienza il fastidio di spiegare le leggi e il perchè di questa necessità poetica, a coloro che non l'intendessero da sè e fossero galantuomini da potervi fidar voi a menzionare con essi i versi e il nome mio. Ma sopra tutto vi raccomando di mettervi anche a dire cose triviali, tanto da farvi meglio comprendere, e conficcare e ribadire ben bene nel capo di loro come quelle forme, a trovarle, non richieggano modelli réali da cui ritrarle, a guisa che fanno i pittori quando ritrattisti, o quando non accostumati alla franca rappresentazione dell'ideale. Che sarebbe questa potenza che la mente umana ha d'immaginare, se per rinvenire il verisimile avessimo d'uopo di misurare sempre il vero con la spanna o col compasso? Dov'è l'uomo anche meno dotato di questa potenza, il quale, se gli dici, « La tale famiglia è viziosa,» non sappia crearsi nel suo pensiero l'immagine di qualche azione viziosa de' componenti quella famiglia? Quell'azione da lui immaginata, manco male non sarà avvenuta nella realtà materiale delle cose, non sarà vera; ma sarà analoga al vero, ma verisimile: sarà nella mente di lui la forma visibile del concetto invisibile, sarà uno dei fantasmi rappresentativi della nozione del vizio. Come colui che gli suonò all'orecchio la parola vizio, era salito dagli oggetti all'astrazione: così egli immaginando un'azione, altro non avrà fatto che quello che facciamo d'ordinario noi turba grossolana, voi sapienti non so come facciate; - sarà ridisceso a cercare negli oggetti un simbolo figurato dell'astrazione; ed in mancanza di oggetti reali gli sarà bastata la rappresentazione di essi nel suo pensiero. Di questo modo parmi che tutti siamo più o meno poeti, anche il ciabattino che non ha sentito parlar mai di poesia, anche colui che non ha aperto mai bocca a manifestare ad altri un suo pensiero; perchè la facoltà di crearci oggetti ideali, di arrestarci a contemplare fenomeni che non occuparono mai nè tempo, nè spazio, di vagare dietro il verisimile sdimenticati del vero, la facoltà poetica insomma in tutti i suoi attributi, sia o no che se n'abbia consapevolezza quando la si esercita, sia che se ne faccia stima o disprezzo, ell' è pur sempre una delle perpetue imprescindibili

condizioni che costituiscono lo spirito umano. E chi sa che ella non sia fors' anche la precipua! Chi sa che l'uomo non sia forse più poeta che altro anche allora ch' egli dichiara ad altri e giura a sè stesso d' esserlo meno, e sel crede!

E a proposito di ciabattino, per citare due esempî del presente poemetto, la risposta a' quali calza per tutti i casi anche più minuti di esso, vi pregherei di far loro osservare come nella battaglia di Legnano sia tratto in iscena un solo Lombardo ferito a dir cose serie; e tra' viventi uno solo sia che s'ubbriachi e dica cose infami. Sarà per questo che nella vera battaglia di Legnano uno solo sia stato il ferito, ed abbia proprio proferite quelle parole? Sarà per questo che nella realtà de' viventi uno solo sia il bevone, l'impudico, nell' animo del quale si riuniscono proprio tutti i sentimenti espressi nella canzoncina? Oibò, oibò, oibò. — Di quanta picciolezza d'intelletto farebbe mostra chi non ravvisasse qui, e da per tutto altrove nella Romanza, l' ideale! e nol ravvisasse prevalente ben assai più nelle forme espressive del concetto di secolo nostro, che non in quelle rappresentanti l'altro concetto dove molte immagini sono anche tolte alla realtà storica!

[DALLA PREFAZIONE ALLA TRADUZIONE DELLE] VECCHIE ROMANZE SPAGNUOLE.

[1837.]

Indole della poesia popolare.

Lontano da un pezzo com' io sono dall'Italia, non so se ivi sia nata questa impazienza di desiderio che scorgo altrove in favore delle poesie popolari, e se alcun che vi si sia fatto per contentarla. Bensì questo non essermene ancora giunto indizio all'orecchio, mi fa sospettare che certe discipline scolastiche, delle quali non mi s'è dimenticato il sussiego, nodriscano tuttavia laggiù certo facile biasimo di tutto ciò che non proceda in linea liretta dalle scuole. Con questi presagi poco confortevoli si avventura tra gli Italiani il presente libretto; e però evitando rispettosamente di accostarsi ai dotti, non ispera e non chiede asilo che ne dov, è minore la potenza del pregiudizio e maggiore l'autorità del sentire, voglio dire tra giovani e tra persone del sesso gentile.

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