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Prima di poter presumere non inopportuno affatto il tentativo di fare aggradire in Italia canti più esotici, era naturale ch'io procurassi di avvezzare il gusto de' lettori miei, col presentar loro da principio qualche cosa di meno strano. E poichè tra le nazioni dell' Europa più affini alla nostra, nessuna quanto la Spagnuola è celebre per le sue poesie popolari, le così dette Romanze, notissime, non foss' altro che di nome, anche in Italia; così pensai che la versione di · alcune di tali romanze dovesse precedere qualunque altro mio lavoro di simil fatta.

Nella molta farragine delle romanze spagnuole conservatesi nelle diverse Raccolte, o sparse qua e là in altre scritture, per poco che vi si faccia mente, non è difficile distinguere quelle che derivano immediatamente dal popolo, dalle altre che non ne provengono se non più o meno mediatamente. La semplice, continua, ingenua, e, dirò così, giovenile bellezza delle prime, rende ben presto il lettore assorto e contento in quella innocenza; per modo che lo disgustano poi le pretensioni retoriche, il fiorito concettizzare onde talvolta riescono screziate le seconde. Nelle prime è la natura che tutta spontanea, senz' esser consapevole d'alcun artificio, s'è trasformata in poesia. Nelle altre è ancor sempre la natura, ma che già bene o male ha imparato a mirare di tanto in tanto ad un effetto, a cercare i mezzi con cui conseguirlo. Nelle prime la poesia, per così esprimermi, è tutta d'instinto: nelle altre accanto all' instinto comincia a spuntare l'intenzione. Sì nelle une che nelle altre è sempre il popolo che poetizza; oscuri, senza nome veruno gli autori delle une e delle altre; ineducati gli uni, ineducati gli altri; ma questi altri volenti a quando a quando pavoneggiarsi d'un qualche cencio lasciato cadere tra via da un poeta educato, ingegnarsi di arieggiare il dotto. E il tanto raro e tanto famoso Romancero General (Madrid, 1604 e 1614) non è in gran parte che una serie di documenti di questa degenerazione della vera poesia popolare per non dire nulla delle molte romanze in esso contenute, le quali sono evidentemente fattura di poeti letterati, livida o esagerata falsificazione di sembianze che la natura sola sa creare, ma che l'arte e le scuole non possono imitare mai bene; me non mai bene l'uomo di corte imita l'innocenza del contadino, e tutt' al più la ritrae in caricatura. Dalla quale incapacità dell'arte venne forse da ultimo, per viziosa logica, l'aristocratico disprezzo con cui ella guardò tutte

MESTICA. II.

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queste cantilene del popolo; quando invece ne doveva venire a lei un'occasione di bel confronto, una conferma de' più alti trionfi ch' ella aveva saputo guadagnarsi. Umili parentele, per rinnegarle, non si disfanno: e non all'arte certo toccava di maledire il terreno sul quale ella ha potuto poi germogliare, crescere, perfezionarsi, appassire.

Nell'andare scegliendo il poco ch'io voleva tradurre, mi sono ingegnato di tener dietro alla vergine voce del popolo ; e le romanze comunemente riconosciute come le più antiche, me la facevano risonare più limpida e più seducente. Ma quale antichità poi assegneremo noi precisamente ad esse? Su questo punto i dispareri sono molti: e a volere intromettersi a discuterli, bisognerebbe lunga dissertazione. Conceduto quindi a ciascuna opinione il suo merito, dirò soltanto che il determinare l'età precisa di queste romanze a me sembra cosa pressochè impossibile. La poesia popolare, - e per tale intendo quella che è direttamente prodotta, e non soltanto gradita dal popolo, non mette fuora opere materialmente immobili come la poesia d'arte; non le raccomanda come questa, alla scrittura; ma le affida al canto transitorio, alla parola fugace; cammina, cammina libera e viva; e ad ogni passo che fa, lascia un vezzo o ne piglia uno nuovo, senza per questo cessar d'essere quello ch'ell' era, senza mutare la sembianza che da principio ella assumeva. Sorge uno e trova una canzone: cento l'ascoltano e la ridicono. Le cantilene udite da' suoi parenti, la madre le ricanta a' suoi figliuoli; questi le insegnano ai nepoti. Quando viene l'uomo letterato, e se le fa ripetere, e le ferma in caratteri scritti, chi può dire per quante bocche sieno già passate quelle cantilene? chi riconoscere tutte le modificazioncelle che vi possono avere apportate? La canzone è la stessa, quella trovata da quell'uom primo sparito nella folla; ma qualche particolare di essa o è perduto, o alterato, o variato, non foss' altro, per necessità della labile memoria umana, oppure delle nuove esigenze della lingua parlata. Quindi è che dagli accidenti estrinseci del testo scritto non si può con assoluta certezza conchiudere l'età d'una romanza. Al raccoglitore n'è toccata l'ultima compilazione; ma se molte o poche altre compilazioni, più o meno variate, ne l'abbiano preceduta, chi'l sa?

[DAL CARME] I VISCONTI.

[1815.]

Saluto a Milano.*

Salve o Milano. D'infinite spighe
T'incorona la terra, e di lusinghe
Melanconiche e d'ombre orna i recessi
Delle antiche tue selve. I lauri eterni
E le rose, desio della ridente
Vergine, e mille, di diversa fronda,
Per l'immensa pianura, alberi educa
La rugiada di tue placide notti.
Aure odorate a te manda Brïanza
Dai suoi tanti vigneti. E te superba
Pei tuoi nitidi marmi, e fra le cento
Città d'Italia, te più ch' altra lieta
Di leggiadre fanciulle e di soavi
Candidi amori, te saluta il sole
Con purissima luce, allor che i verdi
Gioghi d'Orobia per mirarti ascende.
Salve, o bella città; più bella ancora
Però che in core dei tuoi figli han seggio
E la pietà, e la fede, e l' ospitale.
Munificenza, e quella intemerata
Voluttà delle care alme gentili,
L'ingenua cortesia, che d' uno sguardo
E l'amistà consola e il peregrino. —

[DAI FRAMMENTI DEL POEMETTO] IL LARIO.

[1816]

L'Isola Comacina.

Lieta di bei frascati ecco dall' acque
Emerge l'isoletta,' or d'abitanti

Vuota, ma già di valorosi altrice.

L'azione descritta nel Carme si rapporta alla dimora del Petrarca a Milano, per otto anni fino al 1361, presso i Visconti de' quali si predice qui la degenerazione e lo sterminio; il saluto è messo in bocca al Petrarca quando nel 1383 venne dalla Francia a Milano.

'L'isola Comacina, celebre per le gesta dei suoi abitanti nel medio evo. [Nota dell' Autore.]

Ecco si stende, e ai flutti erto sovrasta
Il promontorio. E se a diritta il guardo
Non discerne che rupi imposte a rupi
Salienti dal lago alla nembosa
Vetta di Primo, a te ride a sinistra
Di Tremezzo la sponda, ov' Austro eterno
I fior più begli, i più bei frutti educa.
Quivi la pompa de' suoi rami altero
Spiega l'arancio, e al caro olmo la vite
Giovinetta si sposa; e qui gli ulivi
Inghirlandan le falde ampie de' monti,
Al cui pendio di molta ombra cortesi
Crescon i castagneti. E se la lena
Spinger ti giova e i passi su per l'erta,
Dai popolati allor pascoli erbosi
Il belato udirai di mille gregge;
Mentre d'indole varia insiem confusi
Giù pel clivo frondeggiano infiniti
Alberi; e tutti i lor pomi maturano,
E quei che braman gli aquiloni, e quelli
Cui natura le calde aure destina.

[DAI] PROFUGHI DI PARGA.*
[1819-24.]

PARTE TERZA.

L'abbominazione.

Nunziatrice dell' alba già spira
Una brezza leggiera leggiera,
Che agli aranci dell'ampia Corcira
Le fragranze più pure involò. —
Ecco il Sol che la bella costiera
Risaluta col primo sorriso,

E d'un guardo rischiara improvviso
La capanna ove l'egro posò.

Egli è il Sol che fra bellici eventi

Rallegrava agli Ellèni il coraggio,

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V. 10. Quanto sarebbe stato meglio sopprimere I fior più beyli, che

nza l'affettazione del begli torna subito dopo!

*In questo vol., pagg. 323, 324.

Quando in petto alle libere genti
Della patria fremeva l'amor,

Quando al giogo d'estranio servaggio
Niun de' Greci curvava il pensiero,
E alla madre giurava il guerriero
Di morire o tornar vincitor.
Come foglia in balía del torrente,
Ahi, la gloria di Grecia è sparita!
L'aure antiche or qui trovi, e fiorente
Delle donne la bruna beltà.

Ma in le fronti virili scolpita
Qui tu scorgi la mesta paura,
Qui l'impronta con cui la sventura
Le presenta all' umana pietà.
Sol, che a libere insegne vedrai
Batter forse qui ancor la tua luce,
Sol di Scheria, i tuoi limpidi rai
Sien conforto a un tradito guerrier:
Qui, vagando a rifugio, il conduce
D'una sposa il solerte consiglio;
E tu qui fra la morte e l'esiglio
Fa' ch' ei scelga il più mite voler. -
Dal guancial de' suoi sonni al mattino
L'uom di Parga levò la pupilla;
Il pallore è sul volto al meschino,
Ma il terror, ma l'angoscia non v'è.
Un ristoro che il cor gli tranquilla
Son gli olezzi del giorno novello;
E quel Sol gli rifulge più bello
Che perduto in eterno credè.
Ma perchè, se il suo spirto è pacato,
Perchè almen nol rivela il saluto?
Perchè a lei che il sorregge da lato
Con un bacio ei non tempra il dolor?
Perchè immoto su l'uom sconosciuto
Il vigor de' suoi sguardi s'arresta?
E che subita fiamma è codesta

Che in la guancia gli vive e gli muor?

Arrigo, ufficiale inglese, che avea salvato dall'annegamento il profugo pargiota, gettatosi in mare in un accesso di disperazione, cerca di calmarlo, e confessando i torti dell'Inghilterra per il turpe tradimento di Parga

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