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l'iscrizione. Fece molto male. Non mi restò per lui nemmeno un sospiro. Appena soffrii di guardare il suo monumento, temendo di soffocare le sensazioni che avevo provate alla tomba del Tasso. Anche la strada che conduce a quel luogo prepara lo spirito alle impressioni del sentimento. È tutta costeggiata di case destinate alle manifatture, e risuona dello strepito de' telai, e d'altri tali istrumenti, e del canto delle donne e degli operai occupati al lavoro. In una città oziosa, dissipata, senza metodo, come sono le capitali, è pur bello il considerare l'immagine della vita raccolta, ordinata e occupata in professioni utili. Anche le fisonomie e le maniere della gente, che s'incontra per quella via, hanno un non so che di più semplice e di più umano che quelle degli altri; e dimostrano i costumi e il carattere di persone, la cui vita si fonda sul vero e non sul falso, cioè che vivono di travaglio e non d' intrigo, d' impostura e d'inganno, come la massima parte di questa popolazione. Lo spazio mi manca: t'abbraccio. Addio, addio.

Al dottor Francesco Puccinotti, a Macerata.

Bologna, 5 giugno 1826.

Mio caro Puccinotti, Credi a me che se nell'ultima lettera ti trattai col voi piuttosto che col tu, fu senza deliberazione, perchè così mi sarà venuto alla penna; e se non sottoscrissi il mio nome, fu propriamente per segno di confidenza, e perchè così soglio fare cogli amici intrinsechi, stimando che a loro non bisogni la sottoscrizione per riconoscermi. Come stai del tuo mal di capo? Come va la lettura del Byron? Veramente questi è uno dei pochi poeti degni del secolo, e delle anime sensitive e calde come è la tua. Le Memorie del Goethe hanno molte cose nuove e proprie, come tutte le opere di quell'autore, e gran parte delle altre scritture tedesche; ma sono scritte con una così salvatica oscurità e confusione, e mostrano certi sentimenti e certi principii così bizzarri, mistici e da visionario, che, se ho da dirne il mio parere, non mi piacciono veramente molto. Mi fa maraviglia quello che tu mi scrivi di Costa; perchè fino da questo novembre io consegnai un esemplare delle canzoni a Giacomo Ricci, che glie lo ricapitasse, e così mi promise. Io parlo qui spesse volte, e sento parlare della Franceschi, che ha mossa di sè un' aspettazione grande. Se i tuoi consigli possono, come credo, nell' animo suo, confor

tala caldamente, non dico a lasciare i versi, ma a coltivare assai la prosa e la filosofia. Questo è quello che io mi sforzo di predicare in questa benedetta Bologna; dove pare che letterato e poeta, o piuttosto versificatore, sieno parole sinonime. Tutti vogliono far versi, ma tutti leggono più volentieri le prose: e ben sai che questo secolo non è, nè potrebbe esser poetico; e che un poeta anche sommo, leverebbe pochissimo grido: e se pur diventasse famoso nella sua nazione, a gran pena sarebbe noto al resto dell' Europa; perchè la perfetta poesia non è possibile a trasportarsi nelle lingue straniere, e perchè l' Europa vuol cose più sode e più vere che la poesia. Andando dietro ai versi e alle frivolezze (io parlo qui generalmente), noi facciamo espresso servizio ai nostri tiranni: perchè riduciamo a un giuoco o ad un passatempo la letteratura; dalla quale sola potrebbe aver sodo principio la rigenerazione della nostra patria. La Franceschi, datasi agli studi così per tempo e con tale ingegno, potrà farsi immortale, se disprezzerà le lodi facili degli sciocchi: lodi che sono comuni a tanti, e che durano tanto poco; e se si volgerà seriamente alle cose gravi e filosofiche, come hanno fatto e fanno le donne più famose delle altre nazioni, ella sarà un vero onor dell'Italia, che ha molte poetesse, ma desidera una letterata.

I miei Dialoghi stampati nell'Antologia non avevano ad essere altro che un saggio, e però furono così pochi e brevi. La scelta fu fatta da Giordani,' che senza mia saputa mise l'ultimo per primo. Il manoscritto intero è adesso a Milano, dove si stamperà, permettendolo la censura; del che si dubita molto. Io ti amo, e parlo spesso di te con quelle lodi e in quella maniera che tu meriti. Come vanno le tue lezioni? E che belle cose vai meditando? Scrivimi, ed amami di cuore; e se ti posso servire, adoprami.

A Pietro Colletta, a Livorno.

Recanati, 16 dicembre 1828.

Mio caro Generale, Fra i dispiaceri che provai lasciando la Toscana fu quello di non aver potuto leggere e godere

1

Il Leopardi nell'autunno del 1825 aveva consegnato il manoscritto delle sue Operette morali al Giordani, che, come qui è detto, ne fece pubblicare un saggio nell'Antologia di Firenze a principio dell'auno seguente; l'edizione di tutte, alla quale si accenna qui appresso, fu fatta dal tipografo Stella, e venne fuori nel 1827.

per lo meno un saggio della vostra Storia, che il giudizio degli intendenti che la conoscono mi dimostra per opera classica e degna della posterità. Il cattivo stato della salute d'ambedue noi, che c'impedì questa estate passata di trovarci a nostro agio insieme, e l'indisposizione mia specialmente, che mi faceva impossibile il leggere, mi tolsero la facoltà di godere il frutto della promessa che voi mi avevate fatta, se vi ricorda, in Pisa, in casa del Cioni. Ora non vorrei che mi fosse tolto anche quello dell' altra promessa che voi mi fate nella vostra del novembre, di consolarmi alle volte con qualche vostra lettera. Vi prego, non lasciate senza effetto quella vostra intenzione pietosa; visitatemi di quando in quando in questa solitudine; ragguagliatemi delle cose vostre, della vostra salute, dei vostri studi. Sapete già, o dovreste sapere, che io vi stimo e vi ammiro con pochissimi altri di questo secolo, come un ingegno rarissimo e un' anima amabilissima; che vi amo in proporzione della stima che vi porto; e di qui potete argomentare in che pregio io sia per avere ogni lettera vostra, ogni segno di amicizia che mi venga da voi. Di me non vi curate che io parli quest' aria mi nuoce, come ha fatto sempre; gli occhi sopratutto ne patiscono indicibilmente: in ogni modo questa è l'aria che mi è destinata. Voglia Dio che voi possiate darmi nuove migliori circa la salute vostra. Vi abbraccio, caro Generale, con tutta l'anima; vogliatemi bene, e scrivetemi.

Agli Amici suoi di Toscana.'

La mia favola breve è già compita
E fornito il mio tempo a mezzo gli anni.
PETRARCA.

Firenze, 15 dicembre 1830.

Amici miei cari, Sia dedicato a voi questo libro, dove io cercava, come si cerca spesso colla poesia, di consacrare il mio dolore, e col quale al presente (nè posso già dirlo senza lacrime) prendo comiato dalle lettere e dagli studi. Sperai

La Storia del Reame di Napoli; alla cui revisione partecipò anche il Leopardi dopo il suo ritorno a Firenze, ma pochissimo. Ricordano che egli corresse in un luogo la non sua bandiera, facendovi sostituire la bandiera Vedi nel vol. I di questo Manuale, pagg. 554-557, e il volume del Tabarrini, Gino Capponi, i suoi tempi ec. (Firenze, Barbèra, 1879) pag. 141.

non sua.

2 Lettera premessa all'edizione fiorentina dei Canti, fatta nel 1831.

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che questi cari studi avrebbero sostentata la mia vecchiezza, e credetti colla perdita di tutti gli altri piaceri, di tutti gli altri beni della fanciullezza e della gioventù, avere acquistato un bene che da nessuna forza, da nessuna sventura mi fosse tolto. Ma io non aveva appena vent'anni, quando da quella infermità di nervi e di viscere, che privandomi della mia vita, non mi dà speranza della morte, quel mio solo bene mi fu ridotto a meno che a mezzo; poi, due anni prima dei trenta, mi è stato tolto del tutto, e credo oramai per sempre. Ben sapete che queste medesime carte io non ho potuto leggere, e per emendarle m'è convenuto servirmi degli occhi e della mano d'altri.' Non mi so più dolere, miei cari amici; e la coscienza che ho della grandezza della mia infelicità, non comporta l'uso delle querele. Ho perduto tutto: sono un tronco che sente pena. Se non che in questo tempo ho acquistato voi: e la compagnia vostra, che m'è in luogo degli studi, e in luogo d'ogni diletto e di ogni speranza, quasi compenserebbe i miei mali, se per la stessa infermità mi fosse lecito di goderla quant' io vorrei, e s'io non conoscessi che la mia fortuna assai tosto mi priverà di questa ancora, costringendomi a consumar gli anni che mi avanzano, abbandonato da ogni conforto della civiltà, in un luogo dove assai meglio abitano i sepolti che i vivi. L'amor vostro mi rimarrà tuttavia, e mi durerà forse ancor dopo che il mio corpo, che già non vive più, sarà fatto cenere. Addio. Il vostro Leopardi.

A suo Padre, a Recanati.

Napoli, 19 febbraio 1836.

Mio carissimo papà, Col solito inesplicabile ritardo, la sua de' 19 dicembre, benchè per quanto pare, non aperta, non mi è stata renduta dalla posta, che ai primi di questo mese. Ringrazio caramente lei e la mamma del dono dei dieci scudi, del quale ho già profittato nel solito modo. Mi è stato molto doloroso di sentire che la legittimità si mostri così poco grata alla sua penna di tanto che essa ha combattuto per la causa di quella. Dico. doloroso, non però

1 Antonio Ranieri.

2 Accenna in generale alla parte dei retrivi [legittimità e legittimi], o più specialmente al governo pontificio, che allora infastidiva e avversava il conte Monaldo, benchè fosse uno dei caporioni della parte suddetta.

strano; perché tale è il costume degli uomini di tutti i partiti, e perchè i legittimi (mi permetterà di dirlo) non amano troppo che la loro causa si difenda con parole, atteso che il solo confessare che nel globo terrestre vi sia qualcuno che volga in dubbio la plenitudine dei loro diritti, è cosa che eccede di gran lunga la libertà conceduta alle penne dei mortali: oltre che essi molto saviamente preferiscono alle ragioni, a cui, bene o male, si può sempre replicare, gli argomenti del cannone e del carcere duro, ai quali i loro avversarii per ora non hanno che rispondere.

Mi sarebbe carissimo di ricevere la copia che ella mi esibisce completa della Voce della Ragione; e se volessi, com'ella dice, disfarmene, potrei far piacere a molti, essendo il suo nome anche qui in molta stima. Ma non posso pregarla di eseguire la sua buona intenzione, perchè l'impresa di ricevere libri esteri a Napoli è disperata, non solo a causa del terribile dazio (3 carlini ogni minimo volume, e 6 se il volume è grosso) il quale è difficilissimo di evitare, ma per le interminabili misure sanitarie (ogni stampa estera, che sia legata con filo, sta 50 giorni in lazzaretto), e di revisione, le quali sgomentano ogni animo più risoluto. Più volte mi è stata dimandata la sua Storia evangelica, di cui dovetti disfarmi a Firenze, e il libro sulle usure: scrivendone a lei, facilmente avrei potuto procurarmi i volumi, e il soddisfarne i richiedenti mi avrebbe fatto molto piacere: ma ho dovuto indicare alla meglio il modo che dovevano tenere per averli, senza incaricarmi del porto, come di cosa superiore alle forze ordinarie degli uomini. E così alcuni de' libri miei che mi sarebbero bisognati, e che qui non si trovano, non ho neppur pensato a farli venire di costì nè d'altronde, considerando il riceverli come cosa vicina all'impossibile.

La mia salute, non ostante la cattiva stagione, è sempre, grazie a Dio, molto sufficiente. Desidero sapere che il medesimo sia stato della loro in quest' anno insigne da per tutto per malattie. Io spero che avrò l'immenso bene di riveder lei, la mamma e i fratelli verso la metà di maggio, contando di partire di qua al principio di quel mese, o agli ultimi di aprile. Ranieri la riverisce, e colla prima occasione le manderà gli altri quattro fascicoli stampati finora della sua Storia. Saluto ed abbraccio i fratelli, e bacio la

1 Periodico clericale, fatto dal conte Monaldo.

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