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mano alla mamma ed a lei, pregando l'uno e l'altra di raccomandarmi caldamente al Signore. La mia gioia in rivederli sarà uguale all' amore mio verso loro, il quale per la lontananza è certamente piuttosto cresciuto, se poteva crescere, che, scemato. Mi benedica, e mi creda suo affettuosissimo figlio Giacomo.

A suo Padre, a Recanati.

Mio carissimo papa,

Napoli, 27 maggio 1837.

Se scamperò dal cholera, e subito che la mia salute lo permetterà, io farò ogni possibile per rivederla in qualunque stagione; perchè ancor io mi do fretta, persuaso oramai dai fatti di quello che sempre ho preveduto, che il termine prescritto da Dio alla mia vita non sia molto lontano. I miei patimenti fisici giornalieri e incurabili sono arrivati con l'età ad un grado tale che non possono più crescere; spero che superata finalmente la frivola resistenza che oppone loro il moribondo mio corpo, mi condurranno all' eterno riposo, che invoco caldamente ogni giorno non per eroismo, ma per il rigore delle pene che provo.

Ringrazio teneramente lei e la mamma del dono dei dieci scudi, bacio le mani ad ambedue loro, abbraccio i fratelli, e prego loro tutti a raccomandarmi a Dio, acciocchè dopo ch' io gli avrò riveduti, una buona e pronta morte ponga fine ai miei mali fisici che non possono guarire altrimenti. Il suo amorosissimo figlio Giacomo.

[DAL] PARINI OVVERO DELLA GLORIA

(1823-25.)

L'uomo dovrebbe cercar gloria più nelle azioni che nelle opere letterarie; difficoltà varie di acquistarla come scrittore.

Giuseppe Parini fu alla nostra memoria uno dei pochissimi Italiani che all'eccellenza nelle lettere congiunsero la profondità dei pensieri, e molta notizia ed uso della filosofia presente: cose oramai si necessarie alle lettere amene, che non si comprenderebbe come queste se ne potessero scom

pagnare, se di ciò non si vedessero in Italia infiniti esempi. Fu eziandio, come è noto, di singolare innocenza, pietà verso gl' infelici e verso la patria, fede verso gli amici, nobiltà d'animo, e costanza contro le avversità della natura e della fortuna, che travagliarono tutta la sua vita misera ed umile, finchè la morte lo trasse dall' oscurità. Ebbe parecchi discepoli: ai quali insegnava prima a conoscere gli uomini e le cose loro, e quindi a dilettarli coll'eloquenza e colla poesia. Tra gli altri, a un giovane d'indole e di ardore incredibile ai buoni studi, e di espettazione maravigliosa, venuto non molto prima nella sua disciplina, prese un giorno a parlare in questa sentenza.

Tu cerchi, o figliuolo, quella gloria che sola, si può dire, di tutte le altre, consente oggi di essere colta da uomini di nascimento privato: cioè quella a cui si viene talora colla sapienza, e cogli studi delle buone dottrine e delle buone lettere. Già primieramente non ignori che questa gloria, con tutto che dai nostri sommi antenati non fosse negletta, fu però tenuta in piccolo conto per comparazione alle altre: e bene hai veduto in quanti luoghi e con quanta cura Cicerone, suo caldissimo e felicissimo seguace, si scusi co'suoi cittadini del tempo e dell' opera che egli poneva in procacciarla; ora allegando che gli studi delle lettere e della filosofia non lo rallentavano in modo alcuno alle faccende pubbliche, ora che sforzato dall' iniquità dei tempi ad astenersi dai negozi maggiori, attendeva in quegli studi a consumare dignitosamente l'ozio suo; e sempre anteponendo alla gloria de' suoi scritti quella del suo consolato, e delle cose fatte da sè in beneficio della repubblica. E veramente, se il soggetto principale delle lettere è la vita umana, e il primo intento della filosofia l'ordinare le nostre azioni; non è dubbio che l'operare è tanto più degno e più nobile del meditare e dello scrivere, quanto è più nobile il fine che il mezzo, e quanto le cose e i soggetti importano più che le parole e i ragionamenti. Anzi niun ingegno è creato dalla natura agli studi; nè l'uomo nasce a scrivere, ma solo a fare. Perciò veggiamo che i più degli scrittori eccellenti, e massime de' poeti illustri, di questa medesima età; come, a cagione di esempio, Vittorio Alfieri; furono da principio. inclinati straordinariamente alle grandi azioni: alle quali ripugnando i tempi, e forse anche impediti dalla fortuna propria, si volsero a scrivere cose grandi. Nè sono propriamente atti a scriverne quelli che non hanno disposizione e

virtù di farne. E puoi facilmente considerare, in Italia, dove quasi tutti sono d'animo alieno dai fatti egregi, quanto pochi acquistino fama durevole colle scritture. Io penso che l'antichità, specialmente romana o greca, si possa convenevolmente figurare nel modo che fu scolpita in Argo la statua di Telesilla, poetessa, guerriera e salvatrice della patria. La quale statua rappresentavala con un elmo in mano, intenta a mirarlo, con dimostrazione di compiacersene, in atto di volerlosi recare in capo; e a' piedi, alcuni volumi, quasi negletti da lei, come piccola parte della sua gloria.1

Ma tra noi moderni, esclusi comunemente da ogni altro cammino di celebrità, quelli che si pongono per la via degli studi, mostrano nella elezione quella maggiore grandezza d'animo che oggi si può mostrare, e non hanno necessità di scusarsi colla loro patria. Di maniera che in quanto alla magnanimità, lodo sommamente il tuo proposito. Ma perciocchè questa via, come quella che non è secondo la natura degli uomini, non si può seguire senza pregiudizio del corpo, nè senza moltiplicare in diversi modi l'infelicità naturale del proprio animo; però innanzi ad ogni altra cosa, stimo sia conveniente e dovuto non meno all'ufficio mio, che all'amor grande che tu meriti e che io ti porto, renderti consapevole si di varie difficoltà che si frappongono al conseguimento della gloria alla quale aspiri, e si del frutto che ella è per produrti in caso che tu la conseguisca; secondo che fino a ora ho potuto conoscere coll' esperienza o col discorso: acciocchè, misurando teco medesimo, da una parte, quanta sia l'importanza e il pregio del fine, e quanta la speranza dell' ottenerlo; dall' altra, i danni, le fatiche e i disagi che porta seco il cercarlo (dei quali ti ragionerò distintamente in altra occasione); tu possa con piena notizia considerare e risolvere se ti sia più spediente di seguitarlo, o di volgerti ad altra via. [Capitolo I.

Potrei qui nel principio distendermi lungamente sopra le emulazioni, le invidie, le censure acerbe, le calunnie, le parzialità, le pratiche e i maneggi occulti e palesi contro la tua riputazione, e gli altri infiniti ostacoli che la malignità degli uomini ti opporrà nel cammino che hai cominciato. I quali ostacoli, sempre malagevolissimi a superare, spesso insuperabili, fanno che più di uno scrittore, non solo in vita,

1 PAUSANIA, lib. 2, cap. 20, ed. Kuhn, pag. 157. [Leopardi.]

ma eziandio dopo la morte, è frodato al tutto dell' onore che se gli dee. Perchè, vissuto senza fama per l'odio o l' invidia altrui, morto si rimane nell'oscurità per dimenticanza; potendo difficilmente avvenire che la gloria d'alcuno nasca o risorga in tempo che, fuori delle carte per sè immobili e mute, nessuna cosa ne ha cura. Ma le difficoltà che nascono dalla malizia degli uomini, essendone stato scritto abbondantemente da molti, ai quali potrai ricorrere, intendo di lasciarle da parte. Nè anche ho in animo di narrare quegl' impedimenti che hanno origine dalla fortuna propria dello scrittore, ed eziandio dal semplice caso, o da leggerissime cagioni: i quali non di rado fanno che alcuni scritti degni di somma lode, e frutto di sudori infiniti, sono perpetuamente esclusi dalla celebrità, o stati pure in luce per breve tempo, cadono e si dileguano interamente dalla memoria degli uomini; dove che altri scritti o inferiori di pregio, o non superiori a quelli, vengono e si conservano in grande onore. Io ti vo' solamente esporre le difficoltà e gl'impacci che senza intervento di malvagità umana, contrastano gagliardamente il premio della gloria, non all'uno o all' altro fuor dell' usato, ma per l' ordinario, alla maggior parte degli scrittori grandi.

Ben sai che niuno si fa degno di questo titolo, nè si conduce a gloria stabile e vera, se non per opere eccellenti e perfette, o prossime in qualche modo alla perfezione. Or dunque hai da por mente a una sentenza verissima di un autore nostro lombardo; dico dell'autore del Cortegiano:. la quale è che rare volte interviene che chi non è assueto a scrivere, per erudito che egli si sia, possa mai conoscer perfettamente le fatiche ed industrie degli scrittori, nè gustar la dolcezza ed eccellenza degli stili, e quelle intrinseche avvertenze che spesso si trovano negli antichi.1 E qui primieramente pensa, quanto piccolo numero di persone sieno assuefatte ed ammaestrate a scrivere; e però da quanto poca parte degli uomini, o presenti o futuri, tu possa in qualunque caso sperare quell'opinione magnifica, che ti hai proposto per frutto della tua vita. Oltre di ciò considera quanta sia nelle scritture la forza dello stile; dalle cui virtù principalmente, e dalla cui perfezione dipende la perpetuità delle opere che cadono in qualunque modo nel genere delle lettere amene. E spessissimo occorre

'Lib. I, ed. di Milano 1803, vol. I, pag. 79. [L.]

che se tu spogli del suo stile una scrittura famosa, di cui ti pensavi che quasi tutto il pregio stesse nelle sentenze, tu la riduci in istato, che ella ti par cosa di niuna stima. Ora la lingua è tanta parte dello stile, anzi ha tal congiunzione seco, che difficilmente si può considerare l' una di queste due cose disgiunta dall' altra; a ogni poco si confondono insieme ambedue, non solamente nelle parole degli uomini, ma eziandio nell'intelletto: e mille loro qualità e mille pregi o mancamenti, appena, e forse in niun modo, colla più sottile e accurata speculazione, si può distinguere e assegnare a quale delle due cose appartengano, per essere quasi comuni e indivise tra l'una e l'altra. Ma certo niuno straniero è, per tornare alle parole del Castiglione, assueto a scrivere elegantemente nella tua lingua. Di modo che lo stile, parte si grande e sì rilevante dello scrivere, e cosa d'inesplicabile difficoltà e fatica, tanto ad apprenderne l'intimo e perfetto artificio, quanto ad esercitarlo, appreso che egli sia; non ha propriamente altri giudici, nè altri convenevoli estimatori, ed atti a poter lodarlo secondo il merito, se non coloro che in una sola nazione del mondo hanno uso di scrivere. E verso tutto il resto del genere umano, quelle immense difficoltà e fatiche sostenute circa esso stile, riescono in buona e forse massima parte inutili e sparse al vento. Lascio l'infinita varietà dei giudizi e delle inclinazioni dei letterati; per la quale il numero delle persone atte a sentire le qualità lodevoli di questo o di quel libro si riduce ancora a molto meno.

Ma io voglio che tu abbi per indubitato che a conoscere perfettamente i pregi di un' opera perfetta o vicina alla perfezione, e capace veramente dell'immortalità, non basta essere assuefatto a scrivere, ma bisogna saperlo fare quasi così perfettamente come lo scrittore medesimo che hassi a giudicare. Perciocchè l'esperienza ti mostrerà che a proporzione che tu verrai conoscendo più intrinsecamente quelle virtù nelle quali consiste il perfetto scrivere, e le difficoltà infinite che si provano in procacciarle, imparerai meglio il modo di superare le une e di conseguire le altre; in tal guisa che niuno intervallo e niuna differenza sarà dal conoscerle all' imparare e possedere il detto modo; anzi saranno l'una e l'altra una cosa sola. Di maniera che l'uomo non giunge a poter discernere e gustare compiutamente l'eccellenza degli scrittori ottimi prima che egli acquisti la facoltà di poterla rappresentare negli scritti suoi: per

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