Quegli occhi di falco, Di qualche sognaccio. E già la vision si disciogliea, Quando da un lato della Chiesa sente Superbo nel concetto e impertinente. E vorrebbe per babbo un altro Adamo. E Marchesi mandati in precipizio; (Qui ci vuole un certo imbroglio — E il frasario dell' orgoglio Adattato alla materia. Non ho copia in casa mia, 145 150 155 160 165 170 175 187 Nè un bisnonno che mi gonfi V. 161-172. La vecchia nobiltà boriosa e fallita, che guarda in exgnesco il nobile nuovo. - Bicca. Stravolta e sgualeita. - Crascià dal francese crachat). Placca, distintivo dei cavalieri appartenenti agli ordini superiori. Spallette. Spalline militari, quelle che avevano anche i cavalieri di Santo Stefano. A impancarsi co' signori? Si vedrà dunque un figuro, Nato al fango e al letamajo, Che si comprano di lei, A esalar l'anima ciuca C'è chi paga i Ciambellani Che il delitto insignorì, Il vivajo dei Balì. E di più, ridotto a zero Il patrizio è condannato A succhiarsi il vitupero V. 188. Colpa ec. E colpa ec. 200 205 210 215 V. 191. Un mercatino. Uomo di mercato, e più generalmente, Uomo di costumi villani e plebei. V. 195. Dal banco. Sottintendi, della sua bottega di droghiere. V. 203, 204. Usurai fatti cavalieri, che in conseguenza del titolo acquistato a suon di danari si fanno dare del lei. V. 209-214. Il Sovrano paga (c'è chi paga) con un calcio nel sedere i vecchi nobili che consumarono la vita nel mestiere di ciambellano, e rifà il vivajo dei futuri Balì coi pelacani (propriamente Conciatori di pelli, qui, Vil genia e più specialmente, Usurai). MESTICA. II. 2a 33 V. 217, 218. Nella solennità della vestizione il nuovo cavaliere era vestito dai cavalieri vecchi. V. 224. Si tornò a pigione. È dell'uso popolare fiorentino invece del più corretto, Si ando a pigione. V. 225, 226. L'anima dei nostri avi (i morti eroi del v. 221) cerchi il birbon che ora possiede, avendole comperate da noi, quelle abitazioni. V. 233, 234. Allude al personaggio del Barbiere di Siviglia, che in una certa scena sbalordisce (resta di sasso), perchè i soldati riconoscendo il Conte d'Almaviva travestito da manescalco del reggimento, invece di arrestarlo, gli fanno onore. V. 249, 250. Camaldoli e Mercato (vecchio), due quartieri di Firenze abitati dal popolino; il secondo dei quali ora sta per esser demolito. Vedea concorrere In una lega, E musi laidi Di vecchi amici; Confusamente, Le frasi ampollose, Con urla plebee Rincara la dose, 255 260 265 270 E lo striglia così nel suo vernacolo Senza tanto rispetto al Tabernacolo: Salute a Bécero, Viva il Droghiere; Bellino, in maschera Di Cavaliere! O come domine, Se giorni sono Col togo addosso V. 256. Sbrici. Straccioni, Con gli abiti stracciati. 275 280 V. 259, 260. Diminutivi popolareschi di Lucrezia, Caterina, Zanobi e Domenico. V. 270. Rincara la dose. Sottintendi, Dei vituperi detti al droghiere dal vecchio nobilume. V. 271. Nel suo vernacolo. E difatti nei versi posti in bocca a questi béceri si sente più vivo l'uso popolare fiorentino, nè vi mancano idiotismi e forme irregolari come domine (come mai), togo (toga), loja (sudiciume inveterato), ciacchero (uomo tristo e furbaccio), sbarazzino (giovinastro audace e rissoso), fécemo (facemmo), lustrissimo (illustrissimo), aresti (avresti), stare in aria (tener superbia), logiche (gli zerbinotti, e romanescamente, i paini), po' poi (alla fine), ec. Del cencio rosso? Scappati al Boja; Se i Preti a crederti Son tanto bovi Con codest' anima Se per lo scandalo Di questa festa Lo sbarazzino, |