Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Tristano. Appunto. Credo ed abbraccio la profonda filosofia de' giornali, i quali uccidendo ogni altra letteratura e ogni altro studio, massimamente grave e spiacevole, sono maestri e luce dell' età presente. Non è vero?

Amico. Verissimo. Se cotesto che dite, è detto da vero e non da burla, voi siete diventato de' nostri.

Tristano. Si certamente de' vostri.

Amico. Oh dunque, che farete del vostro libro? Volete che vada ai posteri con quei sentimenti così contrari alle opinioni che ora avete?

Tristano. Ai posteri? Io rido, perchè voi scherzate; e se fosse possibile che non ischerzaste, più riderei. Non dirò a riguardo mio, ma a riguardo d'individui o di cose individuali del secolo decimonono, intendete bene che non v'è timore di posteri, i quali ne sapranno tanto, quanto ne seppero gli antenati. Gl' individui sono spariti dinanzi alle masse, dicono elegantemente i pensatori moderni. Il che vuol dire ch'è inutile che l'individuo si prenda nessun incomodo, poichè, per qualunque suo merito, nè anche quel misero premio della gloria gli resta più da sperare nè in vigilia nè in sogno. Lasci fare alle masse; le quali che cosa siano per fare senza individui, essendo composte d'individui, desidero e spero che me lo spieghino gl' intendenti d'individui e di masse, che oggi illuminano il mondo. Ma per tornare al proposito del libro e de' posteri, i libri specialmente, che ora per lo più si scrivono in minor tempo che non ne bisogna a leggerli, vedete bene che, siccome costano quel che vagliono, così durano a proporzione di quel che costano.1 Io per me credo che il secolo venturo farà un bellissimo frego sopra l'immensa bibliografia del secolo decimonono; ovvero dirà: Io ho biblioteche intere di libri che sono co

II Leopardi stesso nell'argutissimo Scherzo, che è il XXXVI de' suoi Canti: Quando fanciullo io venni - A pormi con le Muse in disciplina,- L'una di quelle mi pigliò per mano; - E poi tutto quel giorno - La mi condusse intorno - A veder l'officina. - Mostrommi a parte a parte - Gli strumenti dell'arte, Ei servigi diversi – A che ciascun di loro - S'adopra nel lavoro Delle prose e de' versi. - Io mirava, e chiedea: - Musa, la lima ov'è? Disse la Dea: La lima è consumata; or facciam senza. – Ed io, ma di rifarla - Non vi cal, soggiungea, quand'ella è stanca? - Rispose: Hassi a rifar, ma il tempo manca. E Tacito nel IV degli Annali, cap. LXI, così di un Quinto Aterio oratore: Excessit] Q. Haterius, familia senatoria, eloquentiæ, quoad vixit, celebrata: monimenta ingenii ejus haud perinde retinentur. Scilicet impetu magis quam cura vigebat: utque aliorum meditatio et labor in posterum valescit, sic Haterii canorum illud et profluens cum ipso simul extinctum est. Quanti an che oggidì simili a costui, dei quali o si è già detto o si dirà con l'umile Salmista: Periit memoria eorum cum sonitu!

stati quali venti, quali trenta anni di fatiche, e quali meno, ma tutti grandissimo lavoro. Leggiamo questi prima, perchè la verisimiglianza è che da loro si cavi maggior costrutto; e quando di questa sorta non avrò più che leggere, allora metterò mano ai libri improvvisati. Amico mio, questo secolo è un secolo di ragazzi, e i pochissimi uomini che rimangono, si debbono andare a nascondere per vergogna, come quello che camminava diritto in paese di zoppi. E questi buoni ragazzi vogliono fare in ogni cosa quello che negli altri tempi hanno fatto gli uomini, e farlo appunto da ragazzi, così a un tratto, senza altre fatiche preparatorie. Anzi vogliono che il grado al quale è pervenuta la civiltà, e che l'indole del tempo presente e futuro, assolvano essi e loro successori in perpetuo da ogni necessità di sudori e fatiche lunghe per divenire atti alle cose. Mi diceva, pochi giorni sono, un mio amico, uomo di maneggi e di faccende, che anche la mediocrità è divenuta rarissima; quasi tutti sono inetti, quasi tutti insufficienti a quegli uffici o a quegli esercizi a cui necessità o fortuna o elezione gli ha destinati. In ciò mi pare che consista in parte la differenza ch'è da questo agli altri secoli. In tutti gli altri, come in questo, il grande è stato rarissimo; ma negli altri la mediocrità ha tenuto il campo, in questo la nullità. Onde è tale il romore e la confusione, volendo tutti esser tutto, che non si fa nessuna attenzione ai pochi grandi che pure credo che vi sieno; ai quali nell' immensa moltitudine de' concorrenti, non è più possibile di aprirsi una via. E così, mentre tutti gl'infimi si credono illustri, l'oscurità e la nullità dell'esito diviene il fato comune e degl' infimi e de' sommi.' Ma viva la statistica! vivano le scienze economiche, morali e politiche, le enciclopedie portatili, i manuali, e le tante belle creazioni del nostro secolo! e viva sempre il secolo decimonono! forse povero di cose, ma ricchissimo e larghissimo

In questo e nei quattro periodi antecedenti amplifica, raggravandola in parte, l'accusa che avea fatta al secolo fin dal 1820 nel canto ad Angelo Mai: Or di riposo - Paghi viviamo, e scorti Da mediocrità: sceso il sapiente - E salita è la turba a un sol confine - Che il mondo agguaglia.

Qui esagera assai contro queste scienze, verso le quali era stato più giusto notando in una lettera del luglio 1828 al Giordani l'eccessivo pregio in che eran tenute esclusivamente a scapito della letteratura e di ogni altra scienza ed arte. Mi comincia a stomacare il superbo disprezzo che qui si professa di ogni bello e di ogni letteratura; massimamente che non mi entra poi nel cervello che la sommità del sapere umano stia nel saper la politica e la statistica. »

di parole: che sempre fu segno ottimo, come sapete. E consoliamoci, che per altri sessantasei anni questo secolo sarà il solo che parli, e dica le sue ragioni.

Amico. Voi parlate, a quanto pare, un poco ironico. Ma dovreste almeno all' ultimo ricordarvi che questo è un secolo di transizione.

Tristano. Oh che conchiudete voi da cotesto? Tutti i secoli, più o meno, sono stati e saranno di transizione, perchè la società umana non istà mai ferma, nè mai verrà secolo nel quale ella abbia stato che sia per durare. Sicchè cotesta bellissima parola o non iscusa punto il secolo decimonono, o tale scusa gli è comune con tutti i secoli. Resta a cercare, andando la società per la via che oggi si tiene, a che si debba riuscire, cioè se la transizione che ora si fa, sia dal bene al meglio o dal male al peggio. Forse volete dirmi che la presente è transizione per eccellenza, cioè un passaggio rapido da uno stato della civiltà ad un altro diversissimo dal precedente. In tal caso chiedo licenza di ridere di cotesto passaggio rapido, e rispondo che tutte le transizioni conviene che siano fatte adagio; perchè se si fanno a un tratto, di là a brevissimo tempo si torna indietro, per poi rifarle a grado a grado. Così è accaduto sempre. La ragione è, che la natura non va a salti, e che forzando la natura, non si fanno effetti che durino. Ovvero, per dir meglio, quelle tali transizioni precipitose sono transizioni apparenti, ma non reali.

Amico. Vi prego, non fate di cotesti discorsi con troppe persone, perchè vi acquisterete molti nemici.

Tristano. Poco importa. Oramai nè nemici nè amici mi faranno gran male.

Amico. O più probabilmente sarete disprezzato, come poco intendente della filosofia moderna, e poco curante del progresso della civiltà e dei lumi.

Tristano. Mi dispiace molto, ma che s' ha a fare? se mi disprezzeranno, cercherò di consolarmene.

Amico. Ma in fine avete voi mutato opinioni o no? e che s'ha egli a fare di questo libro?

Tristano. Bruciarlo è il meglio. Non lo volendo bruciare, serbarlo come un libro di sogni poetici, d'invenzioni e di capricci malinconici, ovvero come un' espressione dell'infelicità dell' autore: perchè in confidenza, mio caro amico, io credo felice voi e felici tutti gli altri; ma io quanto a me, con licenza vostra e del secolo, sono infelicissimo; e tale

mi credo; e tutti i giornali de' due mondi non mi persuaderanno il contrario.1

Amico. Io non conosco le cagioni di cotesta infelicità che dite. Ma se uno sia felice o infelice individualmente, nessuno è giudice se non la persona stessa, e il giudizio di questa non può fallare.

3

Tristano. Verissimo. E di più vi dico francamente, ch'io non mi sottometto alla mia infelicità, nè piego il capo al destino, o vengo seco a patti, come fanno gli altri uomini; e ardisco desiderare la morte, e desiderarla sopra ogni cosa, con tanto ardore e con tanta sincerità, con quanta credo fermamente che non sia desiderata al mondo se non da pochissimi. Nè vi parlerei così se non fossi ben certo che, giunta l'ora, il fatto non ismentirà le mie parole; perchè quantunque io non vegga ancora alcun esito alla mia vita, pure ho un sentimento dentro, che quasi mi fa sicuro che l'ora ch' io dico non sia lontana. Troppo sono maturo alla morte, troppo mi pare assurdo e incredibile di dovere, così morto come sono spiritualmente, così conchiusa in me da ogni parte la favola della vita, durare ancora quaranta o cinquant'anni, quanti mi sono minacciati dalla natura. Al solo pensiero di questa cosa io rabbrividisco. Ma come ci avviene di tutti quei mali che vincono, per così dire, la forza immaginativa, così questo mi pare un sogno e un'illusione, impossibile a verificarsi. Anzi se qualcuno mi parla di un avvenire lontano come di cosa che mi appartenga, non posso tenermi dal sorridere fra me stesso: tanta confidenza ho che la via che mi resta a compiere non sia lunga. E questo, posso dire, è il solo pensiero che mi sostiene. Libri e studi, che spesso mi maraviglio d'aver tanto amato, disegni di cose grandi, e speranze di gloria e d'immortalità, sono cose delle quali è anche passato il tempo di ridere. Dei disegni e delle speranze di questo secolo non rido: desidero loro con tutta l'anima ogni miglior successo possibile, e lodo, ammiro ed onoro altamente e sincerissima

Ecco una chiara confessione dell'autore, la quale è suggello al nostro giudizio che il pessimismo in lui ebbe primamente origine dal sentimento della propria infelicità; reale perciò soggettivamente, cioè quanto a lui, ma non quanto agli altri.

[ocr errors]

'Così verso il fine del canto Amore e Morte, dice a questa: - Me certo troverai, qual si sia l'ora - Che tu le penne al mio pregar dispieghi, Erta la fronte, armato, - E renitente al fato - La man che flagellando si colora-Nel mio sangue innocente - Non ricolmar di iode, - Non benedir com'usa · Per antica viltà l'umana gente ec.

La mia favola breve è già compita (PETR., Son. I'pur ascolto).

MESTICA

-

II.

5

mente il buon volere: ma non invidio però i posteri, nè quelli che hanno ancora a vivere lungamente. In altri tempi ho invidiato gli sciocchi e gli stolti, e quelli che hanno un gran concetto di sè medesimi; e volentieri mi sarei cambiato con qualcuno di loro. Oggi non invidio più nè stolti nè savi, nè grandi nè piccoli, nè deboli nè potenti. Invidio i morti, e solamente con loro mi cambierei. Ogni immaginazione piacevole, ogni pensiero dell' avvenire, ch'io fo, come accade, nella mia solitudine, e con cui vo passando il tempo, consiste nella morte, e di là non sa uscire.1 Nè in questo desiderio la ricordanza dei sogni della prima età, e il pensiero d'esser vissuto invano, mi turbano più, come solevano. Se ottengo la morte morrò così tranquillo e così contento, come se mai null' altro avessi sperato nè desiderato al mondo. Questo è il solo benefizio che può riconciliarmi al destino. Se mi fosse proposta da un lato la fortuna e la fama di Cesare o di Alessandro netta da ogni macchia, dall'altro di morir oggi, e che dovessi scegliere, io direi, morir oggi, e non vorrei tempo a risolvermi.

[DAI] PENSIERI.

Nelle cose occulte vede meglio sempre il minor numero, nelle palesi il maggiore. È assurdo l'addurre quello che chiamano consenso delle genti nelle quistioni metafisiche : del qual consenso non si fa nessuna stima nelle cose fisiche, e sottoposte ai sensi; come per esempio nella quistione del movimento della terra, e in mille altre. Ed all'incontro è temerario, pericoloso, ed, al lungo andare, inutile, il contrastare all' opinione del maggior numero nelle materie civili.

[V.]

Questi pensieri su la morte, considerata come un beneficio, ricompariscono cento volte nell' Epistolario, nelle Prose e nelle Poesie; e sono conformi ai due versi di Giovenale (Sat. X, 357, 358): Fortem posce animum mortis terrore carentem; - Qui spatium vitæ extremum inter munera ponat.

Così diceva pur di sè stesso nell' epitaffio per Filippo Ottonieri: Ossa - Di Filippo Ottonieri - Nato alle opere virtuose - E alla gloria - Vissuto ozioso e disutile- E morto senza fama - Non ignaro della natura – NI della fortuna - Sua. Lo imitò Gino Capponi in questo ch'egli fece per sè: Qui giace - Nella speranza di miglior vita - Gino Capponi - Vissuto inutilmente infelice. Infelici davvero ambedue, perchè l'uno gibboso, l'altro cieco; il quale, sebbene credente, si mostra in questa epigrafe un po' pessimista anche lui.

« ÖncekiDevam »