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si potrà continuare a tener coteste rime per così antiche come avrebbe voluto il compilatore della raccolta delle Rime ferraresi? Mi piace di notare che già il Gaspary nella Storia della lett. ital. manifestò i suoi dubbi sull'autenticità di coteste rime (in nota alla pag. 224 della traduzione italiana). Le quali probabilmente appartengono a quella categoria di falsificazioni fabbricate coll' intendimento di far apparire la propria città come una delle più antiche nelle quali fu coltivata la poesia.

Non sarà forse una falsificazione, ma non sarà neppure composto intorno al 1200 il sonetto di Lodovico della Vernaccia VAL. I, 18, che fu pubblicato per la prima volta dal CRESCIMBENI, Commentari, III, 73, il quale disse di averne avuto copia dall'abate Vernacci che lo avrebbe tolto da un suo codice di rime antiche. Il Crescimbeni non mancò di notare che per lo stile il sonetto parrebbe del secolo XV, al quale anch'io credo che appartenga. Certo non si trova in alcuno dei Canzonieri noti che contengono rime solamente dei secoli XIII e XIV, e a me pare di avere incontrato alcuni anni fa il nome di Lodovico della Vernaccia nella tavola di un codice romano del sec. XV tra le carte del Bilancioni, ma non presi l'appunto. Dell' età del codice Vernacci citato più d'una volta dal Crescimbeni nei Commentari non si ha alcuna notizia, se pure esso non è, come voleva il Palermo, Mss. Palatini II, 108, il Palatino CCCCXIX del sec. XV. Dell'antichità del sonetto di Ludovico della Vernaccia dubitò già il Fauriel (Dante et les origines de la langue et de la litt. ital. Paris, Durand, I, 315).

Al secolo XV appartengono certamente i due sonetti stampati nel vol. I, pag. 428 e 429 col nome di Bandino Padovano (vedi MOLTENI nel Giornale di fil. rom. II, 80, e ZAMBRINI, Opere volgari a stampa, 4.° ediz. nell'Appendice, s. v.). A un rimatore del secolo XIII di nome Bandino appartiene invece il sonetto che segue a quei due a pag. 430, trovandosi a lui attribuito nel codice Laur.-red. IX, 63 (n° 154). Ma che questo rimatore fosse padovano non c'è alcun indizio, probabilmente anzi questo amico di Guittone fu to

scano e forse aretino. Divenne padovano per opera dell'Allacci che credette di poterlo identificare coll' Ildebrandinus Paduanus nominato da Dante nel De vulg. eloq. lib. I, cap. XIV, e che nella traduzione del Trissino diventò Brandino. Nel cod. Laur.-red. IX, 63, n. 153, 154, 155, 296 è detto Mastro Bandino senz'altro, e nel secondo verso del sonetto di Guittone D'ANc. n.o 450 è chiamato Messer Bandin.

Il sonetto stampato nel vol. II, pag. 42 col nome di Monte Andrea vide la luce per la prima volta nella raccolta Giuntina del 1527, che lo attribuisce all'Alighieri. Pare non si trovi in alcun codice antico (vedi E. LAMMA, Le rime di Dante nel Propugnatore, XVIII, п, 379), e certo a chiunque lo abbia letto e si conosca un poco delle differenze dello stile nelle varie età, non potrà parere molto antico. Io inclinerei quasi a crederlo fattura di Leonardo Giustiniani o di qualche suo imitatore per l'argomento religioso e l'intonazione popolare specialmente negli ultimi otto versi, i quali, si badi bene, formano una vera e propria ottava. All'origine veneta sembrerebbe anche accennare, non dico che accenni decisamente, la forma delito col t scempio in rima con contrito.

Passiamo ad indicare quei sonetti che pur appartenendo al secolo XIII sono attribuiti ad autori a cui non spettano. I due sonetti del vol. I, pag. 300 e 309, dati a Jacopo da Lentino sono invece di Jacopo Cavalcanti secondo il Chig. L. VIII. 305 n. 251, 252, e il primo è dato a Jacopo Cavalcanti anche nel Magliabechiano VII, 7, 1208 n.o 44 (cfr. Giorn. stor. d. lett. it. IV, 117). Col nome di Jacopo da Lentino non leggonsi, per quel che io so, in alcun manoscritto e l'Allacci li avrà attribuiti al Lentinese avendoli trovati nel codice Vaticano 3214 n. 82 e 83 col nome di Jacopo senz'altro. Il sonetto del vol. I pag. 312 è di Jacopo da Leona e non di Jacopo da Lentino (efr. D'ANc. n.o 482), il son. a pag. 313 è di Rustico Filippi (cfr. D'ANC. n.o 481), il son. a pag. 317 è anonimo (cfr. D'Anc. n.o 362) e il son. a pag. 305 è dato a Notaro Giacomo nel Laurred. IX. 63. n.o 418, e invece a Petri Morovelli nel Vat. 3793

(cfr. D'ANC. n.° 850): onde in mancanza di ogni altro argomento non possiamo dire a quali dei due spetti.

Il maggior numero delle attribuzioni errate si spiega con ciò che il Valeriani volle assegnare a determinati autori anche i sonetti che nei codici sono anonimi. Nella raccolta del Valeriani neppur un sonetto è anonimo! Si noti bene che i codici a cui mi richiamo sono il Laur.-red. IX, 63, il Pal. 418 e il Vat. 3793, dei quali i due primi furono forse scritti entro il secolo XIII e anche il terzo non più tardi dei primi anni del secolo XIV, e dei quali direttamente o indirettamente si valse lo stesso Valeriani. Per brevità indico i tre codici ora detti colle tre iniziali L, P, V.

Nel vol. I i sonetti a pag. 381 e 382 sono dati a Panuccio del Bagno (cfr. L n. 326 e 327), il son. a pag. 420 attribuito a Geri Giannini (cfr. L n.o 332), il son. a pag. 421 attribuito a Natuccio Cinquino (cfr. L n.o 333).

Nel vol. II i sonetti a pag. 16-19 dati a Meo Abbracciavacca (cfr. L n.1 357-59. 338), i sonetti a pag. 57-62 dati ad Ubaldo di Marco (cfr. L n. 341-44, 348, 339), il sonetto a pag. 99 dato a Giovanni Dall'Orto (cfr. L n.o 345), il son. a pag. 134 attribuito a Ugo di Massa (cfr. P. n.o 137), il son. a pag. 135 attribuito al medesimo autore (cfr. D'ANC. n.o 341), il son. a pag. 196 attribuito a Ricco di Firenze (cfr. P. 178), i sonetti a pag. 410-12, 455, 416 attribuiti a Ser Pace (cfr. P. n. 132-34, 131, 135).

Tutti i sonetti ora citati sono anonimi.

Il son. a pag. 156 è di Maestro Migliore, ma col nome di Ser Pace leggesi invece in P n.o 156, e il sonetto a pag. 529 del vol. I in P n.o 143 non è dato a Bonagiunta Orbiciani, ma a un rimatore indicato colla semplice iniziale D.

Non so quale sia la fonte dei due sonetti attribuiti a Pucciarello di Firenze nel vol. II, 218 e 219 e il primo dei quali in un codice Laurenziano è in lezione diversa col nome di Paolo Aquilano (cfr. NANNUCCI, Manuale 13, 350n).

APPENDICE I.

IPOTESI SULLA FORMAZIONE DEL SONETTO.

La ricerca dell'origine del Sonetto, come la ricerca dell'origine di tante altre cose, non doveva essere tentata che nel nostro secolo. Non si può dire infatti che la avessero tentata i due maggiori trattatisti di metrica del cinquecento, il Trissino ed il Minturno, quando notavano di passaggio nelle opere loro che la struttura del Sonetto è uguale a quella della stanza della Canzone (1).

Essi constatarono un fatto senza trarne veruna conseguenza. E anche nel nostro secolo ben pochi, pochissimi, esaminarono di proposito la questione; assai più furono coloro che espressero il loro avviso sull'origine del Sonetto occasionalmente e quasi per incidenza in libri e in scritti che trattavano d'altro, talvolta in forma vaga e indeterminata e quasi sempre senza corroborare di qualsiasi valido argomento la loro opinione, alcuni dichiarando anche apertamente di metterla avanti come una pura e semplice ipotesi.

Tuttavia, anche stando così le cose, piacerà che qui si ricordino tutte le varie ipotesi che fino ad oggi furono

(1) II TRISSINO non dice espressamente che la struttura del Sonetto sia uguale a quella della stanza della Canzone, ma mostra per altro di crederlo considerando il Sonetto come composto di quei medesimi membri di cui si compone la stanza della Canzone. Ecco le sue parole (La Poetica, Vicenza, Janiculo, 1529, Divisione IV, Del Sonetto): Il Sonetto il cui nome non vuol dir altro che canto picciolo, perciò che gli antiqui dicerano suono a quello che oggidì chiamiamo canto, si compone di due combinazioni, cioè di una di quaternari e di una di terzetti; e la combinazione di quaternari si pone prima, la quale Dante et altri antiqui nominarono piedi, ma noi per non equivocare la chiameremo base; quella poi di terzetti che essi nominarono versi, si pone seconda e questa noi, parimente per non equivocare, nomineremo volte; e le base sono solamente due cioè dui quaternari concordi ecc. Più apertamente del TRISSINO uguaglia il Sonetto alla stanza della Canzone, il MINTURNO scrivendo (l'arte poetica, Venezia, Valvassori, 1563, pag. 243): ... conciossiacosache 'l Sonetto altro non sia che una stanza di due quartetti, e di due terzetti, e poco appresso chiama i quartetti « la fronte » e i terzetti la sirima doppia ».

avanzate. Il lettore si accontenterà che io le accenni brevissimamente potendo trovarle quasi tutte esposte abbastanza particolareggiatamente nel libro del Welti (1).

Carlo Witte, il benemerito Dantofilo, invitato nel 1825 dall'amico suo il barone Eugenio von Vaerst a scrivere una prefazione a una raccolta di 100 sonetti tedeschi, 25 dei quali erano del Witte stesso, e a dire in essa qualche cosa dell'origine del Sonetto, aderiva all'invito, ma subito sul principio della prefazione avvertiva che quanto avrebbe esposto non era il resultato di una ricerca metodica, ma era piuttosto un'opinione soggettiva. E l'opinione che egli tentò di ragionare è questa: il Sonetto è una stanza di Canzone. Tale opinione ha tanta verosimiglianza che starei per dire si presenti spontanea a chiunque si faccia a indagare un po' attentamente l'origine del Sonetto, ma essa è inammissibile per le ragioni che dicemmo nel Capo primo (pag. 8). Il libretto contenente lo scritto del Witte credo sia sempre stato un po' raro anche in Germania, in Italia è forse affatto sconosciuto (2). In Germania lo conobbero prima del Welti il Blanc, che ne tenne conto in quella parte della sua grammatica italiana che è data alla metrica (3), e l'Ebert nel Manuale della letteratura italiana (4). Del resto espressero suppergiù la stessa opinione, che il Sonetto non sia che una stanza di Canzone, il Mussafia nel 1864 (5), Giorgio Högelsberger nel 1866 (6),

(1) Vedi il capitolo intitolato Hypothesen über die Entstehung des Sonettes (p. 31-38). (2) Si intitola Hundert Sonette con EUGEN Baron VON VAERST und zwei Freunden. Breslau, 1825 bei A. GOSOHORSKI. Lo scritto del Witte occupa le pagine XXVI-XXXVI.

(3) Grammatik der italienischen Sprache, Halle, 1844, pag. 770. (4) Handbuch der italienischen Literatur, 2.a ediz. pag. 6.

(5) Egli scrisse: Anche il Sonetto non è che una stanza tripartita: i due quadernari rispondono ai due piedi; i sei versi delle terzine formano la sirima (IL BORGHINI, Giornale di filol. e lett. ital. anno II, pag. 211n).

(6) C. G. HOGELSBERGER, Ueber dus Sonett (Fünfzenter Jahresbericht der hais, kön. Ober-Realschule in der Vorstadt Landstrasse in Wien für das Schuljahr 1865-66, Wien, 1866, pag. 15).

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