Sayfadaki görseller
PDF
ePub

afferma che Catone, prima di morire, chiamò a sé i suoi figliuoli, consigliandoli a rappacificarsi con Cesare, egli è d'accordo con S. Agostino (1); ancora, quando fa ch'egli si avveleni invece di trafiggersi, secondo la storia, con la propria spada, ha con sé molti altri scrittori medioevali, i quali probabilmente risalgono tutti in ultima analisi ad un testo interpolato dell' Historia Miscella (2). Infine, un'ultima prova e più importante noi abbiamo del rispetto che il nostro anonimo portava agli autori da lui seguiti, nel non aver egli tentato di alterare lo spirito della Farsaglia, per renderlo favorevole a Cesare. La tendenza generale del medio evo è di esaltarlo, rigettando nell'ombra Pompeo, di presentarlo come il grande, il generoso, l'invitto imperatore, di coprire d'infamia i suoi uccisori, che si fanno comparire come mossi da ambizione o da invidia (3). Egli invece, fedele al suo modello, non cerca mai di schiarirne le tinte troppo fosche, di risparmiare a Cesare nessuna delle violente e spesso senza dubbio parziali e retoriche invettive, di togliere a Pompeo nessuno degli elogi che gli tributa o dei compianti onde lo onora. Vedremo che ben diversamente si comportò qualche decina d'anni più tardi un altro narratore della storia di Cesare, Giovanni di Tuim.

biografia di Cesare, che fa parte della sua opera De viris illustribus. Vedi FRANCISCI PETRARCHAE historia Julii Ces tris auctori vindicavit, secundum codicem Hamrburgensem correxit... C. E. CHR. SCHNEIDER, Lipsia, 1827, p. 264.

(1) De civitate Dei (edita da B. DOMBARDT, Lipsia, Teubner, 1863), vol. I, pp. 33-34. Cfr. SESTO AURELIO VITTORE, De viris illustribus urbis Romae, a Cuto practorius.

(2) Essa scrive, copiando Orosio: « Cato apud Uticam sese occidit; Juba percussori jugulum praebuit», MURATORI, RISCr. I, col. 46. Si confronti EKKEHARD, loc. cit., p. 91: Cato sese apud Uticam veneno occidit: Juba percussori jugulum dato precio prebuit ». Vedi anche il mio ultimo capitolo. Il nostro autore poi, aggiungendo che Catone s'avvelenò con la cicuta, mostra di ricordare la morte di Socrate, la quale era per più d'un modo nota al medio evo.

(3) Cfr. GRAF, op. cit., I, 299-300, e si veda pure l'importante recensione, che del libro del Graf fece G. PARIS, in Journal des Savants, anno 1884, sopratutto pp. 569-70. Riguardo però a ciò che nell' un luogo o nell'altro si dice del Petrarca, si può osservare che anch'egli ha severe parole per gli uccisori nella sua biografia di Cesare, ediz. cit., pp. 328, 332, mentre difende Cesare con calore. Cfr. qui più sotto pp. 365 sg., e il mio ultimo capitolo.

Tale è questa curiosa compilazione, che godette in Francia ed in Italia un così straordinario favore. Una vera traduzione non è, come s'è visto, quantunque gli autori sieno spesso seguiti passo passo ed anche tradotti con fedeltà e felicità molto notevoli per il tempo: un vero romanzo neppure, perché la parte classica sovrabbonda; è qualcosa che sta di mezzo fra i due, cercando di congiungere, secondo il concetto medievale, l'utilità della storia colle attrattive romanzesche. L'autore doveva essere un chierico, quantunque non ne venga innanzi nessun indizio diretto, se noi giudichiamo dalla dottrina ch'egli dimostra, certo per il suo tempo ragguardevolissima. Egli non solo conosceva un grande numero di scrittori latini, come appare dalle cose che siamo venuti dicendo, ma li intendeva assai bene (1) e, quel

(1) Questo non impedisce certo ch'egli abbia preso dei grossi abbagli; cfr. Romania, loc. cit., p. 21. Qualcun altro dei più curiosi ne citerò io, e tali che non potrebbero essere attribuiti ai traduttori italiani. Svetonio, 20, scrive: « Antiquum etiam retulit honorem, ut quo mense fasces non haberet, accensus ante eum iret, lictores pone sequerentur ». Ei Fatti di Cesare a stampa, p. 44: « Cesare mutò la costuma [di onorare il senato con rami], e volle in luogo di rami luminarie, e dietro facea venire li sacrificatori del tempio...». Così in Svetonio, 30, Catone giura di accusar Cesare, appena abbia congedato l'esercito, qui, p. 69, promette invece, se lo congedi, di parlare in suo favore. Lucano, I, vv. 674 sgg., parla di una matrona che andava forsennata « per urbem », vaticinando sventure, e il traduttore: « Car l'en vit une matroine forsennée qi aloit criant parmi Rome a aute vois et estoit si haut en l'air qe tuit cil de la vile la pooient veoir... » (cito dal GELLRICH, Die Intelligenza, ein altitalienisches Gedicht..., Breslau, 1883, p. 25, il quale si servi del cod. Marciano francese III). L'errore provenne dai versi 678-79 « ... . Qua me super aethera raptam Constituis terra?» Ancora: Svetonio, 45, narra di Cesare ch'egli era circa corporis curam morosior, ut non solum touderetur diligenter ac raderetur, sed velleretur etiam, ut quidam exprobraverunt », e i Fatti, p. 263: << Tradito credeva essere da' barbieri, sicché elli faceva altresì sovente suoi peli e barba divellere e tondare come radere, etc. ». Infine si posson confrontare i luoghi della stampa italiana che corrispondono ai seguenti versi di Lucano: 1, 307-309, 512-13; II, 544 sgg., IV, 613 sgg; V, 741-42; VII, 108-109, 354-55, 374 sgg., etc., oltre ai passi già seguati in nota dall'editore. - Abbaglio d'altro genere è quello che induce l'anonimo nostro a confondere Milone crotoniate con Milone, il cavaliere romano difeso da Cicerone, Fatti, p 76. Di Giugurta dice che fu buttato giù da un arco e su quello poi scrissero i Romani la vittoria avuta di lui, p 8, non so se inventando o attingendo a qualche fonte a me ignota. Infine è strano che egli prenda Agrippa, il generale di Ottaviano, per una donna, che dice sorella di costui, p. 185 e nei codici anche altrove.

che è meno per allora frequente, doveva sentirne, sia pure senza rendersene piena ragione, il valore estetico, come ci attesta l'essersi egli adoperato per rendere colla maggiore fedeltà e col maggior garbo possibile anche gli adornamenti poetici di Lucano (1). La sua compilazione adunque, e per il numero di scrittori classici che comprendeva, e per l'ampio giro di fatti a cui si estendeva, e per il modo della traduzione, così adattato ai gusti ed alle tendenze dei suoi contemporanei, infine anche un poco per la vivacità dello stile, era certo destinata ad ottenere un ampio successo e veramente lo meritava.

Passiamo ora dunque a Giovanni di Tuim (2), il quale, probabilmente qualche decina d'anni dopo (3), intese a scrivere una seconda vita di Cesare, restringendosi però alla guerra civile. Quale fosse la sua fonte principale e com'egli concepisse rispetto ad essa l'opera sua, ci dicono le prime righe: «Ci coumenche li hystore de Julius Cesar, ke Jehans de Tuim translata de latin en roumans selonc les .x. livres de Lucan ». Anch'egli adunque si presenta come traduttore della Farsaglia; ma non solo come traduttore, anche come continuatore: « Apries i est coument Cesar escapa de la u il fu souspris en mer par chiaus d'Alixandre, coument il les desconfi, coument il venqui le roy Tholome, coument il prist Alyxandre... », fino insomma alla sua vittoria finale e alla sua entrata e coronazione in Roma. Per questa seconda parte, tranne ben inteso l'ultimo tratto, le fonti, non nominate, sono, oltre all'ultimo libro dei Commentari di Cesare sulla guerra civile, le solite continuazioni classiche di essi.

Queste fonti naturalmente non sono tutte trattate allo stesso modo. Lucano è il fondo ed il nucleo dell'opera,

(1) Cfr. Romania, loc. cit., pp. 13-14.

(2) F. SETTEGAST, Li hystore de Julius Cesar, eine altfranzösische Erzählung in prosa von Jehan de Tuim, zum ersten mal herausgg., Halle, 1881.

(3) II PARIS, op. cit., p. 79, dice verso il 1240.

l'unico autore di cui Jehan confessi esplicitamente di servirsi: tutto il resto è un complemento senza dubbio necessario, ma verso il quale egli si fa lecita una maggiore libertà. Infatti, se il De bello alexandrino col quale è condotto a termine il decimo libro e rientra quindi per così dire nel giro della Farsaglia, è adoperato ancora largamente e seguito assai da vicino, il De bello africano invece, che forma la massima parte del libro undecimo, è riguardato piuttosto come una traccia, sulla quale il De Tuim ricama una quantità di variazioni, non precisamente dilettevoli: il De bello hispalensi poi è ridotto a poco più di due pagine.

Ma non si può dire che fosse molto rispettato neppure Lucano, nè che il De Tuim intendesse molto rigorosamente il suo ufficio di traduttore. Nell'ambito stesso della Farsaglia egli fece ai Commentari di Cesare sulla guerra civile una parte non piccola, molto maggiore senza dubbio che non appaia dalle indicazioni del Settegast (1). Il primo libro realmente, lasciando per ora da parte le modificazioni introdotte di suo capo dall'autore, deriva tutto dal poema latino, ma il secondo invece ed il terzo e per buona parte anche il quarto presentano così frequenti i luoghi dove Cesare s'è unito o s'è sostituito a Lucano, che possono quasi considerarsi come una contaminazione dell'uno coll'altro. Nè tali luoghi mancano poi neppure nei libri seguenti, quantunque divengano assai meno numerosi (2). Evidentemente il De Tuim teneva entrambe le opere sotto gli occhi, studiandosi di completarle a vicenda.

(1) Pag. XXXIII.

(2) Si confrontino i seguenti passi: De Tuim, libro secondo, p. 29, 15 sgg. con De bello civili I, 13; p. 30, 1-2 col cap. 16; p. 31, 15 sgg. coi capp. 17, 19; p. 32, 6 sgg. col cap. 19 e più sotto col cap. 20; il riscontro della p. 35, 13 sgg. e pp. 36-37 coi capp. 25-26 fu già indicato dal Settegast, e poteva aggiungere quello della p. 38 col cap. 28. Per il terzo libro del De Tuim cfr. p. 41 col cap. 29-30; p. 43, 11 sgg. col cap. 32; pp. 48, 14 sgg. coi capp. 34 e 36; p. 50, in principio, collo stesso cap. 36; p. 52, 10 sgg. col cap. 57 etc. Notevole è il modo in cui un autore spesso è compenetrato nell'altro.

Ma qui non s'arresta l'opera devastatrice. In primo luogo, come già notava il Meyer (1), della poesia di Lucano il De Tuim non ci conserva più nulla. Ben inferiore in questo all'anonimo autore dei Fait, che s'era sforzato di rendere nel suo ingenuo francese una parte almeno delle imagini, così sapientemente costruite e sviluppate, del poeta latino, il De Tuim strappa senza riguardo nessuno quella veste artisticamente elaborata e brillante, e non ci conserva nella sua narrazione, abbastanza facile e chiara, ma fredda e scolorita, che lo scheletro nudo ed informe.

Ma anche lo scheletro ci apparisce mutilato senza pietà. O sia che cedesse al bisogno di far presto e d'essere breve, sia che ubbidisse anche ad altre tendenze di genere diverso, il De Tuim abbreviò considerevolmente il poema di Lucano e ne soppresse lunghissimi tratti, gli episodi sopratutto, nei quali pure il poeta latino aveva voluto dar prova di tutta la sua abilità descrittiva e stilistica, e che avevano lo scopo di rendere il racconto più dilettevole e più vario. L'enumerazione degli aiuti che Sesto conduce al padre da ogni parte del mondo e la descrizione del deserto di Libia, coi travagli e pericoli d'ogni sorta ivi incontrati dai compagni di Catone, sono o ridotte a quasi nulla o tralasciate del tutto; tralasciati pure i prodigi che si manifestano in Roma. all'avvicinarsi di Cesare, l'andata di Appio all'oracolo di Apollo, l'episodio di Sesto e della maga Erittone. Nella soppressione dei primi due noi non sapremmo davvero trovare altro motivo, se non quello accennato, del bisogno di far presto; in quella invece degli ultimi si può riconoscere la tendenza, così frequente fra gli scrittori del medio evo. e tanto più naturale in un ecclesiastico, come pare fosse il De Tuim, a lasciare da parte più che fosse possibile il soprannaturale pagano.

Ma quasi a compensare Lucano delle crudeli mutilazioni che gli aveva fatto subire, Jean de Tuim introdusse di suo

(1) Loc. cit., p. 14.

« ÖncekiDevam »