Sayfadaki görseller
PDF
ePub

molte aggiunte, tali al solito, che se non s' accordano perfettamente col carattere del poema latino, rispondevano però assai bene ai gusti dei lettori francesi del secolo XIII. Tra queste, che hanno tutte uno spiccato carattere medievale, tengono anche qui il primo luogo le descrizioni di battaglie.

Abbiamo già veduto come l'anonimo compilatore dei Fait, mediocremente sodisfatto del modo poco verisimile in cui le battaglie venivano descritte nei suoi autori, attingesse a larga mano alla sua fantasia, molto bene nutrita dalla lettura delle chansons de geste. Allo stesso mezzo s'appigliò pure il De Tuim. La battaglia di Farsaglia anzitutto e quella d'Africa contro la gente di Scipione e di Giuba (1), sono rinnovate da capo a fondo: il combattimento, rotti i severi ordini della disciplina romana, si trasmuta in un grande torneo, dove i cavalieri di Cesare s'affrontano a lancia e spada coi cavalieri nemici in singole giostre, seguendo l'esempio offerto dai capi, anzitutto da Cesare stesso. Noi assistiamo ai duelli di Crastino e di Domizio, di Domizio e d'Antonio, d'Antonio e di Saburra, di Cesare e di Giuba; dei mille luoghi comuni delle chansons de geste, richiedenti così grande sfoggio di fantasia, ben pochi ci vengono risparmiati, ed il colorito epico si estende qua e là perfino a particolarità affatto esteriori (2). Una sola differenza no

(1) La prima a pp. 113-127, le altre pp. 219 sgg.

(2) Noto una specie di ripetizione epica a p. 226: « Que vaut cou? Mout commenca la bataille cruelment, et bien disent cis ki de la escaperent c'onkes mes ne virent si cruel bataille ne si felenese. Mout commenca li bataille cruelment et asprement; et Cesar seoit sor un grant destrier etc. ». Del resto una certa tendenza a modellarsi nel suo racconto sullo stampo epico, anche fuori delle descrizioni di battaglie, mi pare si riscontri nel De Tuim: il principio mi ricorda le lasse iniziali delle chansons, nelle quali s'annunzia la loro materia; i lunghi lamenti dei compagni di Catone sulla sua tomba, pp. 236-241, sono veri regrets da poema epico, e si confronti il duolo di Cornelia per la morte di Pompeo, p. 142 sgg., sopratutto 144; infine alla stessa tendenza (unita colle intenzioni didattiche, di cui parleremo) mi pare si debba, se il racconto s'arresta all'incoronazione di Cesare. Rileverò ancora, a pp. 23-24, che le parole di Lelio in cui si profferisce pronto per Cesare ad abbattere le mura della patria, ardere i tempi, uccidere sua madre (cfr. Lucano, lib. I, vv. 374 sgg.), prendono l'aspetto come d'un gab: « Que vauce? La doutance ke vous aves de nostre foi me fera ja dire une vantance a faire ce qu'a nul preudoume n' apartient ».

tevole ci presenta qui il nostro Jehan rispetto al suo predecessore: i suoi guerrieri sono senza paragone più loquaci, ed è ben difficile che due di loro s'affrontino, senza prima scambiarsi un saluto di cavallereschi improperi.

Queste aggiunte di carattere epico in un racconto di fatti guerreschi, sono abbastanza naturali in uno scrittore del sec. XIII, perché non sia proprio necessario supporre che al De Tuim ne fosse da altri suggerita l'idea. E nondimeno sulla sua piena indipendenza può ben nascere qualche sospetto.

In primo luogo egli conosceva senza dubbio i Fait des Romains. Già il Settegast rilevò nell' opera di lui la menzione fatta di certi mestre d'Orliens, accusati come spacciatori di favole, e suppose che sotto tal nome si nascondesse l'autore dell'antico romanzo su Cesare, giacché le favole rimproverate ai mestre coincidono abbastanza bene con ciò che in esso viene raccontato (1). Congetturò pure che dell'entrata di Pompeo in Gerusalemme, alla quale il De Tuim allude in un passo notevole, egli avesse conoscenza dal romanzo medesimo; ipotesi questa che è assai più vacillante, perché tutto il passo è ben possibile sia stato attinto ad altra fonte, probabilmente ad un cronista latino (2).

(1) SETTEGAST, op. cit., p. XXXIV, e cfr. Giornale di filologia romanza, II, pp. 176 sg. Il primo passo sui mestre, p. 241, 9, riscontra perfettamente con ciò che raccontano i Fuit, meno bene il secondo, p. 244, 1, forse perché il De Tuim citava a memoria senza ricordar bene. L'allusione di Jehan ha un qualche valore, come l'unico dato preciso che abbiamo sulla patria dell'autore dei Fait: nè l'esser egli stato orleanese, come possiamo ben credere, contradirebbe alle conclusioni del MEYER, loc. cit., p. 23.

(2) I Fait raccontano a lungo la spedizione di Pompeo, ed invero il tratto che nel De Tuim parve caratteristico al Settegast, si trova in essi pure. Cito la traduzione del cod. Hamilton 67, sul quale si può vedere il mio primo capitolo, § 1: « (f. 121 b) ...fuoro gli Giudei molto cruciosi di ciò, che Pompeo mise li suoi cavali a giaciere nel tempio di Nostro Singniore. Si che in quello tenpo avea nella città di Gierusalem uno molto buono uomo e di grande etade e sì iera molto religioso: quegli fue padre di santo Simeone... ». Va davanti a Pompeo e lo rimprovera acerbamente: < (f. 121 c.)...Ma elli lo tenne tutto a niente e a beffe e no per quanto quegli non disse cosa che nogli avenisse; ché elli iera stato tutto giorno il più rinomato cavaliere e il più bene aventuroso che unque fosse saputo, né unque poscia non fue se nno disaventuroso, né unque poi ch'egli intrasse in piaza ov' egli si com

Tuttavia riscontri ben più concludenti di questo esistono realmente fra le due opere, i quali valgono a confermare la congettura del Settegast, riguardante i mestre d'Orliens.

Il primo si trova nel prologo. Il De Tuim, dopo avere esposto quale scopo egli si prefiggesse nel raccontare la storia di Cesare, scopo sul quale noi ritorneremo fra poco, dà principio alla sua materia, e accennato a Romolo e allo spediente da lui adottato per accrescere la popolazione della nascente città, si estende un po' più lungamente intorno al modo in cui essa si governava.

<< A celui tans n'avoit onques eut en Roume ne roi ne empereour, ains eslissoient entre iaus li Roumain trois des plus haus barons de Roume et des plus puissans, et cil troi si avoient seignourie sour eus et sour toutes lor conquestes, et eslissoient ces trois barons pour cou ke, quant li .. se descordoient, que li tiers les ramenoit a pais et a concorde; et quant aucunes tieres voloient Rome guerroier, li dui des trois barons, ki plus estoient puissant d'armes et plus endurant, aloient la atout l'esfort de le cite, et li plus anchiens et li mains poissans remanoit en le cite pour garder la et pourveoir les autres, qui en l'ost estoient alet, de vins et de viandes, de chevaliers et de siergans au coust de le chitet, se besoins en estoit » (1).

batesse non fue che no si ne partisse ontosamente ». Il De Tuim è brevissimo, ma se mancassero altri raffronti, si crederebbe realmente ch'egli avesse riassunto i Fail: et tant fisent adont li Roumain par lor esfort k'il prisent Ierusalem et roberent et destruisent, et Pompeius si fist brisier le temple Domini et i fist ses chevaus establer. Et Diex li guerredouna si bien cest fait, k'il souffri ke Jules Cesar le mata et desconfist », p. 40. C'è però un tratto di ALBERTO STADENSE, col quale il De Tuim mi pare concordi assai meglio, sopratutto trovandovisi i perfetti corrispondenti di due sue espressioni, si fist brisier le temple e i fist ses chevaus establer: ...(Pompeius) a fautoribus Hircani in Iherusalem receptus, templum, in quo se fautores Aristoboli receperant, dirupit. Propter quod nunquam postea fortunatus fuit, quia equos in porticibus stabulavit. », ap. PERTZ, SS. XVI, 289. La fonte di Alberto, secondo l'editore, pare dovrebb' essere anche in questo luogo Ekkehard, ma la cosa è difficile, perché in questo non si accenna neppure nè al tempio profanato nè alla punizione divina inflitta a Pompeo, tratti che dovrebbero quindi essere stati inventati, almeno in parte, dallo Stadense. Ma non è verosimile. Cfr. il BELLOVACENSE, Speculum Historiale, VI, 114.

(1) Pagg. 4-5.

Ora non solo i Fait des Romains entrano in materia essi pure con Romolo, che non vorrebbe dir molto, ma nello stesso primo capitoletto di proemio espongono quasi le medesime idee, così esatte, come tutti vedono, sul governo di Roma per mezzo di tre grandi baroni:

<< El qint an apres ce qe Tarquinius fu chacies de Rome establirent li Romain une autre dignite. Car uns gendres Tarquine avoit une grant ost asenblee come por vengier la onte son segneur. Por cele crieme fu cele dignite establie et por adricier ce qi ne pooit estre adricie par ces dous consules. En cele dignite avoit trous (sic) proudes homes et les apeloi[en]t distators, car ce qe il disoient estoit fait, come li dit de ceaus qi estoient coumandeor et mestre dou pueple. Cinc ans duroit lor bailie et por ce estoient il plus aut qe li consule qi [ne] duroi[en]t qe un an. Li uns de ces trois distators porveoit a la coemune besoigne de la cite, li dui aloient fors en bataille en diverses [con]trees » (1).

Un secondo riscontro leggesi nella descrizione dell'entrata di Cesare in Rimini colle legioni, di notte tempo. I cittadini sono presi da grande terrore:

« Et quant li bourgois piercurent l'enseigne de Roume, u li aigles estoit, ki roine est et dame des autres oisiaus et sourmonteresse et ki senefie ke Rome est sourmonteresse et dame des autres cites: il l'ont erramment recouneu et Cesar autresi» (2).

Identica osservazione riguardo al significato da attribuire all'insegna romana, osservazione che ben inteso non è punto dovuta a Lucano (3), trovasi nei Fait, e, quel che

(1) Marc. franc. III, f. 1v. Cito dai copiosi estratti del prof. Rajna, ch'egli volle con la consueta generosità mettere a mia disposizione. Per questo e per tanti altri aiuti ch'egli mi porse, mi sia lecito rendergli qui i più vivi ringraziamenti. Si può anche confrontare GELLRICH, op. cit., p. 14, e i Fatti a stampa, pp. 2-3.

(2) Pag. 16, 12 sgg.

(3) Si potrebbe tutt'al più concepire il sospetto, che ambedue gli autori avessero attinto indipendentemente quest' osservazione in qualche commento di Lucano. Perché ciò fosse verosimile converrebbe però che una tal glossa fosse molto comune; mentre io posso assicurare che in nessuno dei codici fiorentini di Lucano da me

più monta, in questo medesimo punto dell'entrata di Cesare in Rimini. Ricorro di nuovo al Riccard. 2418:

<< Poscia che quegli di Rimine congniobero l'aguglie e le insengnie ch' e' Romani portavano per costume, in significanza ch'egli ierano sengniori in tutte le tere, sicome l'aguglia ch'è sengniore e re di tutti gli ucielli; e medesimamente come l'aguglia vede chiaro e vola alto e istà vizioso (1) e savio per montare a onore e a singnoria, poi che congniobero Ciesare in su uno grande destriere armato, e' fuoro ismariti » (2).

Infine noterò un terzo passo, che si riferisce ai compagni di Pompeo nella sua fuga da Farsaglia. Lucano dapprima non accenna punto ch' egli n'avesse (3), e solo più tardi (4) dice esplicitamente che si mossero a seguirlo quanti erano scampati, non nominando però se non il figliuolo di lui e Deiotaro. Invece il De Tuim lo fa raggiungere in Larissa stessa da Scipion et Catons et maint autre baron ki de la desconfiture s'estoient partit avoec Pompee » (5), il che riscontra bene con ciò che asseriscono i Fatti, sebbene in luogo un poco diverso:

visti essa si trova, nè nei tre codici della Nazionale (Panciat. 30 e 48, Conv. soppressi I, 27, 227), nè nell'unico della Riccardiana, n. 546, nè sopratutto nei 32 circa posseduti dalla Laurenziana, Pl. XXXV cdd. 1-24 (il 24 è l'edizione del 1469), Pl. LXXXXI sup. cod. 32, Pl. XXIV sin. cod. III di Santa Croce, Conv. soppr. cod. 92, 249 (S. Marco), cod 470 e così cod. 286, che contiene solo un vasto commento del poema, come pure l'Ashburn. 264; infine il cod. Rediano 148. Notevole è del resto a confermare il riscontro che i versi di Lucano, con cui gli Ariminesi si lamentano d'essere sempre i primi a ricevere l'urto della guerra, I, 254 sgg., sono resi dal De Tuim con un'espressione identica a quella dei Fait: « dient que mout est male chose pour eus que toutes les fois ke discorde s'esmuet en Roume i sont cil ki le premiere colee en recoivent », p. 17, e i Futti: «Allora maladissero le mura, poi che li Francesi erano così vicini, che la prima collata de la guerra conveniva loro menare », ediz. cit., p. 72.

(1) Così il cod., ma è senza dubbio il francese oiseux. (2) F. 26.

(3) VII, 677 sgg.

(4) VIII, 203 sgg.

(5) Pag. 126.

« ÖncekiDevam »