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Doppo quello parlare di Cornilla, Pompeio si misse con lei in mare, e Sesto suo figliuolo con loro, e Lentulo e Scipione e Catone, li quali erano scampati di Tessaglia » (1).

Questi riscontri, benché per sé di poca importanza, a me pare bastino a dimostrare con sicurezza che il De Tuim non solo conosceva, ma anche aveva alla mano l'opera del suo predecessore e non isdegnava qua e là di valersene, quantunque sempre, a dir vero, con molto grande indipendenza. Non parrà quindi inverosimile ciò che noi supponevamo più sopra, che anche l'idea, pur così a suo luogo in uno scrittore del medio evo, di introdurre fra il racconto classico lunghe descrizioni di battaglie, modellate sullo stampo delle chansons de geste, fosse suggerita al nostro autore dai Fait des Romains. E questa credenza è avvalorata, nonostante ciò che noi osserveremo più sotto, dal trovarsi tali descrizioni, nell'opera del De Tuim assai più a disagio, in una fusione certo molto meno completa, per ciò che riguarda lo stile, col resto del racconto. Mentre nei Fait des Romains il colorito stesso di tutta l'opera, così vivace e poetico, le ammette e quasi direi le richiede, nell' Hystore invece, in quel complesso piuttosto freddo e monotono, vengono innanzi quasi alla sprovvista, e fanno a tutta prima l'effetto d'una stonatura o come d'un colore troppo vivo in mezzo ad una tinta bigia uniforme. Perfino la loro poca frequenza, che si sarebbe forse tentati d'ascrivere a lode del De Tuim, come una prova di sobrietà e di buon giudizio, riesce in fondo al ben diverso risultato di dare a quelle descrizioni, per chi non guardi più oltre, l'aria di pezzi staccati, introdotti dall'autore quasi a forza, solo perché ve lo induceva, insieme con un certo sentimento

(1) Fatti, p. 225. Si potrebbero aggiungere alcuni altri raffronti, meno sicuri per sé, ma, uniti cogli altri, significativi ancor essi: la menzione esplicita di Capi, come fondatore di Capua, Hyst., p. 28, Fatti, p. 93; la descrizione della resistenza opposta ai Cesariani dalle due navi di Pompeo, incagliatesi sulla bocca del porto di Brindisi, Hyst., p. 39, Futti, pp. 102 sgg.; le notizie sul basilisco, Hyst., p. 156, 18 sgg., Fatti, p. 236 (cfr. MEYER, loc. cit, p. 18) e anche 237, riga 10 e 11.

Studi di filologia romanza, IV.

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di vanità letteraria, anche la necessità della concorrenza contro i mestre d'Orliens.

Di carattere diverso, quantunque altrettanto medievale, è un'aggiunta lunghissima, che racconta gli amori di Cesare e di Cleopatra. La descrizione della bellezza di lei, quale si trova in Lucano, non parve sufficiente al De Tuim, come già non era parsa all'autore dei Fait; ne sostituì quindi una più minuziosa, più splendida, più confacente al suo gusto (1). Cesare, al primo apparire di tanta bellezza, rimane sbigottito e si trasmuta tutto nel volto: mentre Cleopatra gli espone le sue querele per il regno usurpatole dal fratello, ad altro non sa intendere che a guardarla; poi le profferisce tutto sé stesso, dichiarando che i nemici di lei saranno pure suoi nemici, e presala per la mano se la fa sedere accanto e nel sedersi la bacia sul volto. Ed ella, come saggia, cortese e bene insegnata, non cercò di sottrarsi, anzi mostra ne' sembianti che molto le piaccia. e che bello le sia ».

Seggono sopra uno strato trapunto e gli altri d'intorno, per il palagio, che tutto era sparso di giunchi e di verde erba. Cesare, già affatto vinto da amore, rivolge a Cleopatra la parola, encomiandola perché tanta sia la gentilezza del suo corpo e tanta dottrina parlando dimostri, ch' egli non può saziarsi nè di guardarla nè d'ascoltarla; ma ella modestamente si schermisce, mostrando credere voglia prendersi giuoco di lei. Quando poi, fattasi tarda l'ora, è necessario separarsi, Cesare, dimentico omai d'ogni altra cosa che non sia l'amata donna, si immerge tutto nel pensiero di lei, cosicché la sua comitiva s'accorge dei mutati sembianti: entrato nel letto, il sonno gli fugge dagli occhi, egli non può nè dormire nè prender riposo (2).

(1) Pagg. 160-62, I PARIS, nella recensione al libro del Settegast. Romania, XII, p. 381 in nota, accenna che la descrizione del De Tuim gli pare imitata dal famoso ritratto di Isotta nel Tristano. Veramente i riscontri sono un po' troppo generali, perché si possa credere ciò con sicurezza e pensare ad una vera imitazione. Certi tratti anzi s'accordano piuttosto col ritratto di Cleopatra dei Fuit (Romania, XIV, pp. 18-19), e solo ricorda meglio quello di Isotta una certa ispirazione più ideale e poetica, che distingue la descrizione del De Tuim.

(2) Pagg. 163 sgg.

Con questa romanzesca descrizione e con tutto ciò che segue, del fidato cavaliere che va per Cesare messaggio alla bella regina, e del suo amore da lei accolto, e del modo ch'egli entrò nella camera della dama, ed infine della gioia ch'ebbero insieme, « baciandosi ed abbracciandosi e facendo tale sollazzo come gli amanti debbono fare » (1), è strettamente collegata la lunga teoria sull'amore, che il nostro Jehan inserisce nel bel mezzo dell'episodio.

<< Certo amore ha molto bene operato - egli dice- poiché ha del tutto ridotto al suo comando un così potente uomo come fu Cesare, e ben si deve tener contento e pregiato d'esser salito così alto. Ma tanto più è da maravigliare della grande forza d'amore, e bello sarebbe il sapere donde questa gli venga e qual cosa sia esso stesso. Perocché molti dicono d'amare e d'essere amati e niuna ragione vi conoscono; e v'è chi poi consegue il suo desiderio, alla ventura e senz'arte, come il cieco che colpisce dirittamente nel seE poiché io so che molti egli continua hanno già assai volte parlato di amore, anch'io voglio parlarne; giacché io veggo che cortese e villano e cavaliere e ricco e povero sono alcuna volta d'amore invogliati ed ama ciascuno secondo lo stato suo ciò che gli piace » (2).

gno.

La teoria che poi segue, come già si può prevedere dalle parole citate, è a un dipresso la celebre teoria dell' amore cortese, ch'ebbe il suo trattatista più compiuto e più raffinato in Andrea il Cappellano e la sua applicazione più piena nei romanzi della Tavola rotonda (3). Il De Tuim doveva conoscere il trattato del Cappellano ed anzi è probabile se ne valesse direttamente (4); tuttavia attinse qualcosa anche

(1) Pag. 190.

(2) Pagg. 167 sgg.

(3) Cfr. G. PARIS, Romania, XII, 512 agg.

(4) Difficile è dimostrarlo, trattandosi di veri luoghi comuni; tuttavia, oltre a somiglianze generali sì, ma significative, sulle quali ritorno più sotto nel testo, si noti la definizione dell'amore: «Amours est une volentes ki descent en cuer d'ome et de feme et apartient a delit de cors; et sousprent si cele volentes l'oume don tout en tout k'il ne pense ne n'entent ne ne se travaille d'autre chose fors k'il puist avoir sa volente de con k'il convoite: et ce doit on apieler fine amour.

d'altronde, in ispecie dalle teorie più solite a trovarsi nei lirici (1), e dispose il tutto in un ordine strettamente dimostrativo e didattico. Ma, nonostante alcune particolarità alquanto più sviluppate, le caratteristiche sono pur sempre le medesime: volontà d'amore che si mette in villano non può rivolgere il suo cuore a nessuna bontà (2), poiché non si può amare senza conoscere le buone creanze del mondo; ognuno che ama dev'essere pronto a soffrire e solo soffrendo potrà vincere e conseguire il guiderdone bramato (3); ad amore si conviene sopratutto segretezza, nè amore scoperto è punto da pregiare, nè altrettanto diletta come quando

Così il De Tuim, p. 169, 5 sgg., e il Cappellano: « Amor est passio innata, procedens ex immoderata cogitatione vel visione forme alterius sexus, ob quam quidem animus super omnia cupit alterius potiri amplexibus, et omnia de utriusque uoluntate ipsius amoris precepta compleri» (cito dal Laurenz. Gadd. reliqui 178, che è descritto nel BANDINI, Suppl., II, 175: buon codice in pergamena, del sec. XIV. Il passo trovasi al f. 1b). Si confrontino anche le violente parole con cui entrambi gli autori si scagliano contro la donna che si serve d'amore a scopo di cupidigia: Hystore, p. 175, 3 sgg., Cappellano, cod. citato, f. 44 b. Trattandosi di un testo non più edito, riporto l'intero passo: «... Si aliqua mulier avaricie tanto detineatur ardore ut muneris gracia se ipsam largiatur amanti, hec a nemine reputetur amatrix, sed falsificatrix amoris et immundatarum mulierum prost[r]ibulis adiungenda. Imo magis istarum luxuria quam publico questu mercancium est pro- (44 c) fananda voluptas. Ille namque quod suum est agunt neminemque decipiunt, cum omnibus (il cod. hoib') earum sit intentio manifesta. Iste vero dum se dominas menciuntur egregias et omni urbanitate preclaras, per se cogunt homines amore languescere et sub falsis velamentis amoris eos Cupidinis sagitta pertactos, cunctis gaudent expoliare diviciis. Homines enim ipsarum specie falaci decepti et nutibus circumventi dolosis et subdola et ingeniosa exactione coacti (sic), plura satagunt bona sibi largiri quam possint, et dulcius eis sapit quod constat esse largitum quam quod proprios habent exigendi modos. Et quamdiu homines vident sue desideriis avaricie posse muneribus respondere, dillectum sibi ipsum profittentur amantem et eius non cessant suberam exaurire et usquam ad sanguinem elliciendo corrodere. Eius vero defecta subera et patrimonii exausta uirtute, ei contemptibilis pro omnibus et odiosus existit et ab ipsa tamque apes infructifera reprobatur, et illa manifeste incipit apparere que erat...». Si confrontino sopratutto queste ultime righe con le righe 14 sgg, del De Tuim e si ricordi che il De Tuim non copia mai i suoi autori troppo letteralmente. (1) Vedi sopratutto la nota teoria sul modo in che nasce amore, p. 169, 9 sgg., ripetuta alla sazietà anche nei lirici italiani del primo secolo. È vero che ben presto si diffuse nella poesia francese, anche narrativa, come nel Roman de la Rose. Confronta SCHWAN, Philippe de Remi, Sire de Beaumanoir, und seine Werke, in Roman, Stud, IV, p. 381.

(2) Pag. 170, 12 sgg. (3) Pag. 171, 9 sgg.

è celato (1); amore infine richiede buoni modi e cortesia e lealtà, esso deve tenersi lontano da ogni incostanza di cuore, da ogni seduzione ingannatrice, da ogni bassa cupidigia (2). Pur troppo pare che il nostro Jehan non trovasse più molto in fiore tra i suoi contemporanei quest'ideale d'amore cavalleresco e cortese: egli si lamenta amaramente che falsità monti di giorno in giorno, che lealtà sia fallita, che amore, vinto da inganno, abbia perduta la grande signoria che nel buon tempo antico teneva, e si venga del tutto mancando (3).

Questa tendenza didattica e moralizzatrice del nostro autore si manifesta, sotto aspetti diversi, in più altri luoghi del racconto. La cortesia, la prodezza, la lealtà sono da lui ad ogni propizia occasione esaltate con nuove lodi; così pure la larghezza, la grande virtù del principe medievale. Di rincontro, spesseggiano le apostrofi veementi all'indirizzo dei lusinghieri, dei calunniatori, dei traditori (4); ma mentre una sottile vena di pessimismo conduce spesso il nostro Jehan a ripetere che i malvagi trionfano dei buoni e che il mondo va peggiorando ogni giorno (5), pare ch'egli si sforzi di mettere un argine alla continua decadenza coll'additare i grandi fatti e le grandi virtù degli antichi. Anzi in ciò, secondo appare dal prologo (6), consiste lo scopo del suo racconto. Il De Tuim si rivolge agli alti personaggi, a coloro che hanno terre da reggere e da conservare, per ammaestrarli come si debbano mantenere in gen

(1) Pag. 172, 3 sgg.

(2) Pag. 173, 1 sgg.; 174, 9 sgg.; 175, 3 sgg.; 176 etc.

(3) Pag. 173, 19 sgg.; 177, 13 sgg.

(4) Pag. 53, 5 sgg.; 135, 13 sgg.; 139, 14 sgg.

(5) Oltre i luoghi già citati nella nota 2, confronta anche 53, 5 sgg. e 139, 14 sgg. (6) Puis que volentes me semont ke je vous raconte en l'estore roumain coument Julius Cesar coumenca le guerre et le maintint encontre les citoains de Roume, les queus il desconfi es chans de Thesale et comment il conquist toute le seignorie dou monde, bien est drois ke si fait soient racontet en tel maniere que tout li haut home ki tiere ont a garder et a gouvrener, pour cou que il miex se maintiegnent en gentilleche et en toutes bontes, i prendent examples et enseignemens...», p. 2. Anche i Fait hanno un prologo di simile natura, ma solo il De Tuim prende il suo ufficio educativo sul serio.

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