Sayfadaki görseller
PDF
ePub

La denominazione più antica delle terzine sembra essere stata quella di mute, nell'uso della quale si accordano Cecco Angiolieri (1), Francesco da Barberino (2) e Pieraccio Tedaldi (3). Le terzine del Sonetto si saranno chiamate mute perché in esse mutavasi la melodia della prima parte. Il concetto espresso dalla voce muta sarebbe dunque quello stesso espresso da volta, termine popolare col quale si indicò anche in fatto ciascuno dei due terzetti (4).

Dichiarata così l'origine del Sonetto, intendiamo benissimo perché Dante lo abbia posto al di sotto di un altro componimento essenzialmente popolare, ma più complesso, la ballata (5), e intendiamo su che si fondi la tradizione dell'italianità del Sonetto. Se esso non fosse che una stanza di canzone aulica la sua italianità non sarebbe che accidentale, anche essendo stato usato in Italia prima che in alcun altro paese del dominio romanzo. Si sa infatti che la Canzone aulica ha la stessa struttura fondamentale in tutta la romanità. Il Sonetto invece risulta dalla combinazione e dalla modificazione di strofe della poesia popolare italiana. E la felice fusione dei caratteri popolari ed artistici che ammiriamo nel Sonetto è anche per avventura la migliore spiegazione della sua robusta vitalità.

(1) Cod. Chig. L, VIII, 305, n. 432, vv. 9 e 10: E nella poscia muta del sonetto i vi dirò tutto ciò ch' i' vo' dire; e ALLACCI pag. 194, vv. 9 e 10: Che al meo parer nell' una muta dice che non intendi suo sottil parlare (il sonetto leggesi anche nel cod. Chig. al n.o 456, il quale reca meta invece di mula, certo per errore).

(2) Vedi la nota 3 della pagina precedente.

(3) Vedi la nota 3 della pagina precedente.

(4) Vedi la nota 3 della pag. 6.

(5) Cfr. De vulg. eloq. lib. II, cap. III: cum nemo dubitet quin Ballatae Sonitus nobilitate modi excellant.

IV

Il Sonetto è certamente italiano d'origine, ma nacque esso nella penisola o in Sicilia? E se nella penisola, in qual parte?

Considerando che i Siciliani fur già primi (1), a coltivare la poesia artistica, e che lo Strambotto è proprio specialmente della poesia popolare siciliana (2), si potrebbe, pensare, e fu pensato in fatti, che anche il Sonetto abbia sortito i natali laggiù nell'isola. Ma se ci facciamo a ricercare qualche altro più saldo argomento in sostegno di questa opinione, non solo non lo troveremo, ma l'opinione stessa finirà per parerci oltremodo inverosimile. Per questa unica ma forte ragione: dei sonetti della così detta scuola poetica siciliana, che salgono quasi al migliaio, soltanto 27 sono di autori veramente siciliani! E si badi bene: di questi 27 sonetti non meno di 25 appartengono a un solo rimatore, al Notaro Jacopo da Lentini (3), uno è di Mazzeo di Ricco da Messina (4), e l'altro di Filippo, pure di Messina (5). Il

(1) PETRARCA, Trionfo d'Amore, cap. IV, 36.

(2) Cfr. D'ANCONA, La poesia popolare italiana pag. 300-301.

(3) Si leggono tutti 25 nel VAL. I, 291 segg. insieme con alcuni altri attribuitigli erroneamente (vedi più avanti le note alla Bibliografia).

(4) Cfr. VAL. I, 334. Il sonetto ci è conservato da due codici antichi, il Laurred. IX, 63, n.o 399, e il Vat. 3214, n.o 64.

(5) Pubblicato da LEONE DEL PRETE, Fioretto di Croniche degli Imperatori, Lucca, Rocchi, 1858, p. 92. Leggesi nel Laur.-red. IX, C3, n.0 413. Non aggiungo ai sonetti siciliani il sonetto di Re Enzo (VAL. I, 177; cod. Chig. L. VIII, 305, n.o 250 e cod. Vat. 3214 n.o 84) perchè questi non nacque in Sicilia, passò la sua gioventù fuori della Sicilia e dall'età di 29 anni circa fino alla morte visse sempre a Bologna » (MoNACI, Sui primordj della scuola poetica siciliana, Roma, 1884, pag. 19). E in Bologna appunto egli figlio di re e prigioniero, pensando all'altezza da cui era caduto, mi par probabile abbia composto il sonetto gnomico testé indicato, il quale comincia con una sentenza di cui egli meglio d'ogni altro poteva sentire la verità Tempo vien di salire e di discendere. Un sonetto è attribuito anche all' imperatore Federigo dal cod. Vaticano-Urbinate 697 (c. 73), mentre esso è anonimo nell'Ambrosiano D. 63 sup. (c. 13). Fu pubblicato di occasione di nozze da ENRICO MOLTENI, Tre Sonetti Antichi, Livorno, Vigo, 1878. Ma l'attribuzione del sonetto non si può dire molto sicura, come già fu osservato da altri, e se anche fosse sicura, rimarrebbe sempre

nome di quest' ultimo rimatore ci è giunto soltanto insieme col suo sonetto; degli altri due invece sappiamo quel tanto che basta a non infirmare, diremmo anzi quel tanto che basta a confermare, la somma probabilità che il Sonetto abbia avuto il suo nascimento nella penisola. Jacopo da Lentini forse studiò giurisprudenza a Bologna, e fors' anche finì coll'abbandonare per sempre la Sicilia e prendere stanza presso Pisa. Certo rispose con un sonetto a un sonetto del pisano Jacopo Mostacci (1). E Mazzeo di Ricco deve essere stato in relazione con Guittone d'Arezzo, se questi gli indirizzò una canzone (2).

E se si ammette, come sembra si deva ammettere, che il Sonetto sia nato nel continente, ne limiteremo subito la patria d'origine all'Italia centrale. Non ci è noto difatti neppure un sonetto dell'Alta Italia che si possa con sicurezza far risalire al secolo XIII (3). E lo stesso possiamo ripetere dell'Italia inferiore. Pier della Vigna, del quale ci fu conservato un sonetto, nacque, è vero, a Capua, ma non si può contare veramente fra i rimatori del mezzogiorno della penisola, e, secondo inclina a credere il Monaci, il periodo dell'attività poetica di lui si deve riportare

che Federico II non si può considerare come veramente siciliano, e potrebbe benissimo aver imparato l'arte del Sonetto nel continente. Finalmente non si può annoverare fra i sonetti siciliani quello di Pier della Vigna (ALLACCI pag. 503, cod. Barberiniano XLV-47 pag. 145) in risposta a quel medesimo sonetto di Jacopo Mostacci da Pisa a cui, come ora diremo nel testo, rispose anche Notaro Giacomo.

(1) Cfr. MONACI, Sui primordj ecc. pag. 6 e 11. Il sonetto del Mostacci leggesi nell'ALLACCI pag. 399 e nel VAL. II, 208, quello di Notaro Giacomo nell'ALLACCI pag. 398 e nel VAL, I, 308.

(2) Cfr. MONACI, Sui primordj ecc. pag. 18, n. 4.

(3) Dei tre sonetti attribuiti a Bandino Padovano (VAL. I, 428, 429, 430) che secondo i vecchi storici della nostra letteratura sarebbe tutt' uno coll' Ildebrandino da Padova menzionato da Dante nel De vulgari eloquentia (lib. I, cap. XIV), due sono del secolo XV, e uno appartiene a un Bandino che nulla ci autorizza a credere sia stato Padovano (vedi più avanti le note alla Bibliografia). Il sonetto di Anselmo da Ferrara (VAL. I, 130) e i due sonetti di Gervasio Ricobaldo pure di Ferrara VAL. I, 246 e 247) assai probabilmente sono apocrifi (vedi le note alla Bibliografia). Finalmente non ci è nota alenna antica fonte manoscritta che ci permetta di considerare come di Pavia Saladino (cfr. GASPARY, Storia della lell, ital. trad. ital., nota alla pag. 96), di cui ci pervenne un sonetto pubbl. dal PALERMO, Mss. Pal. II, 105.

al tempo in cui era studente a Bologna (1). Tutti gli altri autori di sonetti sono dell'Italia centrale, e quasi tutti toscani (2).

E che il Sonetto potesse nascere nell'Italia centrale, non si vede alcuna difficoltà. Poiché se lo Strambotto è ora proprio specialmente della poesia popolare siciliana, nel secolo XIII non dovette certo essere estraneo all'Italia di mezzo. A persuadersene basta ricordare che appunto nell' Italia di mezzo abbiamo esempi dell'ottava rima fino dalla prima metà del secolo XIV, che essa anzi risale forse al secolo XIII, e l'ottava, la quale si chiude con due versi a rima baciata, non dovrà considerarsi che come una modificazione artistica dello Strambotto. Questo deve dunque necessariamente esserle preesistito. E che le sia preesistito in fatto abbiamo anche una prova diretta. Una lunga poesia di Jacopone è composta di strofe di otto endecasillabi su due rime alternantisi l'una all'altra, (3) in altre parole è composta di strofe in tutto e per tutto uguali allo Strambotto (4).

(1) Sui primordj ecc. pag. 10.

(2) Il più meridionale di questi poeti è l'Abate di Tivoli di cui ci pervennero tre sonetti di una tenzone che egli ebbe con Notaro Giacomo (D' ANC. n. 326, 328, 330). Il Casini espresse anche più recisamente di quel che facciamo noi la stessa nostra opinione sulla patria del Sonetto scrivendo (Sulle forme metriche ital, pag. 36): < La patria del Sonetto fu senza dubbio la Toscana, poichè sono toscani i più antichi scrittori che ce ne lasciarono degli esempi ». Anche il Borgognoni crede che la patria del Sonetto sia la Toscana, ma per una ragione differente da quella da noi addotta, per una ragione che ci sembra meglio opportuno di accennare quando esamineremo l'intera sua opinione sulla formazione del Sonetto. Il Carducci invece inchina a credere che il Sonetto sia oriundo di Sicilia, o almeno inchinava a questa credenza quando scriveva «i siciliani par che avessero trovato essi il Sonetto» (Studi lette. rari pag. 146).

(3) Ediz. TRESATTI lib. V, cant. XXV, p. 6€0.

(4) E se nella poesia di Jacopone lo Strambotto è adoperato in funzione di strofa vera e propria, deve essersi prima usato come componimento a sè.

CAPO II.

L'EVOLUZIONE DELLA FORMA.

Abbiamo veduto come il Sonetto siasi formato. Ora dovremo esaminare tutte le varie modificazioni a cui andò soggetto sino alla fine del secolo XIV. Queste modificazioni sono di due maniere: o riguardano soltanto l'ordine e il numero delle rime, o toccano anche la struttura stessa del componimento.

Naturalmente non ci accontenteremo di indicare e di enumerare senz'altro queste modificazioni, ma tenteremo anche di determinarne, per quanto è possibile, la successione cronologica, e di scoprirne le intime ragioni. In altre parole in questo Capo studieremo l'evoluzione della forma del Sonetto.

In questo Capo anche meglio che altrove ci sembra conveniente discorrere della qualità e della condizione della Rima.

I. IL SONETTO SEMPLICE.

Chiamiamo semplice il Sonetto di 14 endecasillabi nel quale le rime si trovino soltanto alla fine dei versi, e quelle della prima parte sieno diverse da quelle della seconda (1). Questa è la forma solita del Sonetto, e le sue modificazioni non si riferiscono che alla varia disposizione delle rime. Insieme colla disposizione delle rime del Sonetto semplice studieremo anche quella dei sonetti di 14 versi caudati, continui e con rimalmezzo, i quali in fondo non sono che va

(1) F. da Barberino e il Da Tempo chiamano semplice il Sonetto in cui i versi dei quadernari sono rimati ABBA ABBA; ma non dovrebbe parere illecito, parrà anzi opportuno in questo studio storico di dare a quella denominazione l'estensione che le si dà di sopra nel testo.

« ÖncekiDevam »