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CAPITOLO I.

TRADUZIONI DEI FAIT DES ROMAINS.

§ 1. LA REDAZIONE DEL CODICE RICCARDIANO 2418.

Paul Meyer, nel suo lavoro più volte citato intorno ai Fait des Romains, toccando anche delle versioni italiane, ne indicò tre: quella del codice Riccard. 2418, che traduce si può dire alla lettera il testo francese, quella pubblicata dal Banchi (1), che lo abbrevia dove più dove meno, quella del rarissimo Cesariano, stampato a Venezia nel 1492, che lo segue dapprima abbastanza da vicino, ma da un certo punto in avanti lo compendia e lo mutila (2). Un rapido esame e confronto delle tre traduzioni lo indusse a concludere che non hanno fra di sé alcun legame di dipendenza e che tutte provengono immediatamente dall'originale francese (3). Noi ora, riprendendo a studiar la questione, con dati più sicuri e più completi che il Meyer non potesse avere, cercheremo di dimostrare che tali conclusioni vanno, almeno in parte, modificate.

Il Riccard. 2418 fu già descritto più d'una volta (4), ma non sarà inutile ripetere e completare le notizie che se ne hanno. È un codice membranaceo, di mm. 443 per 302, scritto a due colonne, che contengono dalle 54 alle 60 righe per ciascuna, secondo che il carattere, tutto della medesima mano ma un po' variabile, è più o meno grande

(1) I fatti di Cesare, testo di lingua inedito del secolo XIV, pubblicato a cura di LUCIANO BANCHI, Bologna, 1863. È la dispensa VI della Collezione di opere inedite o rare dei primi secoli, edita dal Romagnoli.

(2) Romania, loc. cit., pp. 31-36. Le tre traduzioni erano già note al Bauchi, che non riesci però a farsene un'idea chiara. Vedi la sua Introduzione, pp. XXXI sgg. (3) Per ciò che riguarda le relazioni del cod. Riccardiano con la stampa del Banchi, era giunto allo stesso risultato il MUSSAFIA, nella sua recensione di quest' ultima, în Jahrb. f. roman, u, engl. Phil., VI (1865), pp. 109 sgg., e al Mussafia si tenue il GASPARY, Storia della letteratura italiana, I, trad. Zingarelli, Torino, 1887, pp. 437-38. (4) BANCHI, op. cit, p. LX; MEYER, loc, cit., p. 33.

ed addensato. Vi sono vere rubriche ed iniziali rosse, filettate di verde; assai più grande e più bella la capitale che comincia i vari libri, e adorna di una miniatura interna, che nei primi sei libri e nell'ottavo rappresenta un guerriero in diversi atteggiamenti. In fondo del codice vi è la data dell'anno e del giorno in cui fu finito: 28 Aprile 1313.

Le carte sono 96, numerate a matita; ma la numerazione originaria, che sul primo foglio segna il numero CLXI, ci avvisa che una gran parte del codice andò perduta. In basso, di mano moderna, furono pure numerati parte dei quaderni, con lettere: essi sono dodici, tutti, anche il primo e l'ultimo, di quattro fogli e sono segnati a (a1, a2, etc.) b, c, d, fino al quaderno h incluso.

Più curiosa è una terza o anzi quarta numerazione, anch'essa moderna, la quale tien conto del recto e del verso, ma procede senza alcun ordine apparente e ad un certo punto si arresta. Comincia dal quad. b, f. 9 r, col numero 81, e va fino all' 87, tralasciando poi la seconda metà del quaderno; ricomincia al quad. c col numero 65 e va fino all'80, estendendosi al quaderno intero; continua nel quad. d, ma coi numm. 49-64, nel quad. e coi numm. 33-48, nel quad. f coi numm. 17-32, infine nel quad. g coi numm. 1-16.

In tutto il resto del codice manca. Come possiamo renderci ragione di tutto ciò? È probabile che il codice si conservasse per un certo tempo coi quaderni spostati, e che fosse appunto allora numerato da qualcuno, che non si curò troppo di verificare se essi trovavansi ciascuno al loro luogo. L'ordine in cui li trovò era senza dubbio questo: g, f, e, d, c, b, vale a dire precisamente l'inverso dell'ordine voluto. Si noti che al quad. g comincia, proprio in cima della pagina, il libro ottavo di Lucano, con un'ampia rubrica e grande iniziale figurata con fregio, e che quindi esso poteva esser benissimo creduto il primo quaderno, da chi non ci guardasse tanto per il sottile, non differendo dal quad. a se non perché il fregio dell'iniziale della prima pagina si prolunga assai meno lungo il margine sinistro. Del resto che il nostro codice sia stato rilegato non da molto tempo,

la legatura stessa, affatto moderna, in cartapecora e cartone, lo dimostra.

Noteremo ancora, per completare la nostra descrizione, che del f. 71 del codice è scritto soltanto il recto: il verso resta bianco, ma tuttavia, non essendoci nel testo lacuna di sorta, è evidente che la causa dell'omissione può essere uno sbaglio o qualunque altra cosa, ma non un difetto del testo. Infine, sulla pagina cartacea, moderna, che precede il primo foglio, si legge: Di Filippo Strozzi, comprato dal fu suddecano Riccardi, e più sotto la firma di Vincenzo Nannucci che, come si sa, conobbe e adoperò assai il nostro codice e ne fece conoscere alcuni brani (1).

Il principio è noto: « Qui chomincia il primo libro di lechano sicome ciesare elli svoi passarono rvbicoñe armati dove videro Grande maraviglie. e va dietro ale battaglie che fvoro da VII anni poi che roma fve cominciata.

« Quando Ciesare che a quello tempo iera a rauenna....... » Noto è pure il fine: « tagli gli vebe che svcisero di loro. istili medesimi dondelli avevaro ciesare morto ». E in rosso: « Qui finicie la morte di Julio cesere finito adi xxviij d apile mcccxiii (2) ».

Il testo che è contenuto in questo codice comincia dunque, come del resto è noto, dalla parte che è intitolata Lucano, ed è diviso, come la Farsaglia, in dieci libri: i primi sette corrispondono ai primi sette della stampa del Banchi; l'ottavo comincia al capitolo che in essa è il ventesimo del lib. VII, il nono al cap. XXIV, il decimo al cap. XXX. La lingua è fiorentina, sebbene forse non propriamente della città, e lo studio di essa presenta molta importanza; numerosissimi sono i gallicismi, anzi tratto tratto la parola francese fu lasciata tale e quale, tutt'al più facendole qualche volta seguire con un cioè la spiegazione italiana; spesso poi si lasciarono dei piccoli spazi bianchi,

(1) Nel suo Manuale della letteratura del primo secolo della lingua italiana, 3,a ediz., Firenze, Barbèra, 1874. Vedi il vol. II, pp. 172-192.

(2) F. 96 a.

sia che il traduttore non capisse il testo francese, sia che invece il copista non sapesse leggere il codice che aveva davanti (1). L'una e l'altra ipotesi deve essere vera ed inoltre conviene aggiungere che fra quegli spazi bianchi se ne trovano molti, che proprio non hanno una ragione apparente.

Omai è noto e dimostrato abbastanza dai raffronti, sebbene non numerosi, già fatti da altri, che il testo contenuto nel nostro codice è una vera traduzione, molto fedele, dei Fait des Romains (2). Messo a riscontro col Marciano franc. III, esso presenta per lo più una forma alquanto più ampia, non perché l'originale sia parafrasato, ma perché nel nostro si trova qualche breve inciso che in quello manca. È però da credere che ciò sia da attribuire il più delle volte, anzi che ad aggiunte del nostro, a mancanze del Marciano, il quale non è certo un codice molto buono. Ma perché fa nel Riccardiano difetto tutta la prima parte, intitolata Sallustio? Si conteneva essa nelle centosessanta carte perdute del manoscritto, o invece il codice era miscellaneo e cominciava con testi affatto estranei al nostro, che lo occupavano per intero? La cosa non era ben chiara: la seconda ipotesi era stata messa innanzi dal Banchi, la prima invece sostenuta dal Meyer, supponendo che il codice fosse

(1) Ciò fu osservato dallo stesso NANNUCCI, op. cit, p. 172, dove anche citò alcuni dei più manifesti gallicismi che nel cod. si trovino. Per parole francesi lasciate intatte citerò io qualche esempio: « che li moustres (1. monstres), e di nuovo più sotto « il moustres ebe nome Medusa », f. 64 a; « lí charme cioè il brieve che egli sapevano dire », e più sotto « në sanza tutti charmes cioè brieve», f. 65 d; «elli mettevano in questo fuoco yebeles e sugo di noil arabique », f. 66 c, ed ivi pure « colà quella torre, e colà cis doignos (1. donjons) »; « sengniore, ciò disse il Troiano, qui sono li tel hettor (1. autel) », f. 66 d, ed ivi pure « qui v' ofera fuoco e inciensso uno vostro redevable ch'ee de[1]lengniagio di que'di Troia e nepote d'Eneas e Achairiz e Iuli »: « una frange lee di fino oro », f. 69 c (il Marc.: « et une frange léc »); « gli vaselli ove il vino iera e l'altra clarea fuorono corone (cioè coronati. Il Marc.: « furent corouné ») di spezie », ibid., e subito dopo « là fue li nardes tutto florito. Se non intende bene un periodo, il traduttore lo scrive talvolta in due diverse maniere, unendole con un cioè, al modo che fa per semplici parole, es.: « folgore si smové un giorno diverso Francia... over che voglia dire ch'una di quelle cotali istelle, etc. ». Io credo però che una parte delle spiegazioni aggiunte con dei cioè, sia dovuta a copisti posteriori.

(2) Si possono vedere alcune osservazioni sulla dipendenza del nostro testo dal francese, nella citata recensione del MUSSAFIA, e nella Romania, loc. cit., 31 sg.

legato in due volumi e che il primo di essi andasse, com'era ben facile, perduto (1).

Il ritrovamento insperato della parte perduta mi mette in grado di dire con tutta sicurezza chi avesse ragione fra i due, ed è questi il Meyer, che aveva colpito nel segno, supponendo la divisione dell'opera in due volumi. Solo, essendo centosessanta carte un po' troppe per i due primi libri dell'anonima compilazione, era da attendersi che ad essi dovessero precedere altri scritti, come difatti è, cosicché neppure il Banchi aveva del tutto congetturato male, imaginando un codice miscellaneo.

Il volume che manca al Riccard. 2418 è ora di proprietà della R. Biblioteca di Berlino e ad essa pervenne coll'acquisto della raccolta Hamilton, nella quale porta il num. 67 (2). Il formato, il carattere, ogni particolare esteriore, che non sia di provenienza moderna, sono così perfettamente identici a quelli del cod. Riccardiano, che basta un primo sguardo a riconoscere che il primo è un gemello del secondo. Ciò che segue basterà ad indurre la medesima persuasione anche in coloro che non possono assicurarsene de visu.

Che il codice è in pergamena, in foglio massimo e via discorrendo, come il Riccardiano, non fa d'uopo ripetere; i fogli scritti sarebbero, secondo la numerazione, 160, ma

(1) BANCHI, ediz. cit., p. LX; MEYER, loc. cit., p. 33. Cfr. auche GASPARY, op. e loc. cit., contro il quale aveva cercato di sostenere l'opinione del Banchi B. CoTRONEI, Intorno alla storia della letteratura italiana del prof. A. Gaspary, appunti critici, Firenze, 1885, p. 26.

(2) Richiamò su di esso la mia attenzione il cataloghetto che dei codd. Hamilton italiani diede il BIADENE, Giorn, stor. d. lett. ital., X, p. 341. Ivi esso non è iudicato molto esattamente e la descrizione non è troppo accurata, ma basta a far comprendere a un dipresso di che si tratta. Avutolo a mia disposizione, e per la buona intercessione del prof. G. Vitelli e per la cortese accondiscendenza del bibliotecario di Berlino, non durai fatica a riconoscere nel codice il primo volume desiderato del Riccardiano. Come poi esso sia stato separato dalla sua seconda parte e come pervenisse alle mani dell' Hamilton non saprei dire. Il Riccard. 2418 non figura nel LAMI, Catalogus codd. mss. qui in Biblioth. Riccardiana Florentiae adservantur, Livorno, 1756, ma bensì nell' Inventario e stima della Libreria Riccardi..., Firenze, 1810, p. 49. Sulla provenienza o sulla storia più antica del codice nulla si sa alla Biblioteca Riccardiana.

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