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quieux baillies il ot a Rome ainçois qu'il i eüst emperors.

verse dingnitadi al tenpo di'.xij. inperadori, donde Giulio Cesare fue lo primo. E per meglio continuare la nostra materia noi cominceremo inprima che dingnitade ebbe Roma inanzi che fosse inperadore (1).

morte: & nominaremo piu Romani che hebero diverse dignitade per lo suo tempo. Et per melgio continuare nostra materia diremo in primamente la dignitade che hebe Roma prima inanzi ali Imperadori (2).

Ognuno avrà notato in questo passo come, oltre alla somiglianza continua dei due testi italiani, vi si riscontrino parecchi errori di traduzione, abbastanza caratteristici, comuni ad entrambi; cosicché non si potrebbe ragionevolmente negare che l'uno e l'altro non sieno la medesima cosa, nonostante le non gravi e certo volute modificazioni del Cesariano. Richiamerò l'attenzione sui tratti seguenti: « vana gloria nel Laurenziano e « mundana gloria» nel Cesariano rispondono al nudo << gloire » del testo francese; entrambi hanno solo << la gloria di beltade si è frale » (Cesar. fragile), anziché « de biauté et de richesce »; entrambi traducono « doit suivre le fet » con « dee l'uomo seguire (Cesar. seguitare) lo fatto » e << li un des enciens » con « gli uomini degli antichi » 0 <«<li homini antiqui », come se fosse « li home », e « que l'en s'aperceüst » col non esatto « tanto che s'avvidero », e << richesces, que nus hom n'a fors a prest» con « nullo ci ae in questo secolo nulla, altro che in presto » o « che in questo seculo cio che 1 homo ha si 1 ha in prestanza». Anche più notevole è forse « Cycero » inteso nell'uno e nell'altro per « Cesare », né é da dimenticare « desore mès », che segue subito dopo, reso col semplice « ma ».

In curioso contrasto colla conclusione che da questi raf

(1) Riccard. 1513: « che dengnità ebe Roma inauzi che vi fosse inperadore ». L'intero passo occupa nel Gaddiano le colonne a-c del primo foglio.

(2) Carta 2 ab.

fronti è pur necessario di trarre, sta però il capitoletto che segue al tratto da noi riferito.

« De la edificatione di Roma & si como li primi Re signorizarono. Capitulo I.

<< Quando la nobile Citade di Troia fo destructa da li superchij di greci: Enea troiano vene in Italia: & dapo molti anni del suo lignagio naquero quelli che edificorono la nobile Citade de Roma, dapo quella destructione de Troia anni CCCLV. Remo & Romulo descendenti de Enea la edificorono: & posero intra loro sorte: che I uno prese da la parte de leuante: & 1 altro da ponente: in cotal modo ordinate: che da qualunque parte di quella nominati (1) prima apparesse una schiera d vccelli: quelli da la cui parte venisse hauesse vinta la sorte; & ponesse il nome a quella citade al suo piacere: & fossene del tuto Re & signore. Unde Romulo el qual fu signore de la sorte 1 appello Roma. Et elgij ne fu el primo Re & Signore. In Roma fece de molte nouitade. Et al suo tempo stabili in Roma dece Corte di Cavaleri: & a ciaschuna stabili li Senatori.

<< Si come il padre gouerna solicitamente i soi filgioli ereno chiamati questi padri conscripti. Imperho che Romulo li hauea electi & li si scriueuano loro nomi in tauole d'oro, prima che elgij i nominasse al populo: & questo officio se mantene in fine al Re Tarquino: il qual per sua superba Signoria si fu caciato di Roma con tuta sua schiata. Il quale ful ultimo Re de Romani & in lui fini la dignita regale ».

Questo capitolo, che fatta eccezione per le ultime righe, non si trova affatto nei codici della nostra redazione e che senza dubbio manca pure nei codici del testo francese (2), si riconosce subito provenire dal secondo capitolo del primo libro di S. Ma come spiegare questa intrusione? A nostro

(1) Correggi: di quelle nominate.

(2) Una prova ne è il non trovarsene traccia nel proemio del cod. Hamilton. Ecco le prime linee del Gaddiano, subito dopo quelle riferite nel testo: « Li re che governavano la città di Roma vi diremo. Inprima Romolus fue lo primo re: quegli stabilio .x. corti di sanatori ed in ciascheduna corte n'avea tre volte dieci .iij. (sic: 1. che?) fanno trenta. Cotanti sanatori v'avea. Questi erano antichi uomeni, che per lo loro senuo aiutavano la città governare, sicome fae lo padre lo suo figlio...»

avviso, si ha da far qui con una delle solite interpolazioni medievali, interpolazioni di cui noi stessi abbiamo già indicato altrove esempi molto notevoli: solo, noi non crediamo che essa sia dovuta allo stampatore veneziano, ma bensì al codice di cui si servì. Certo, questo capitoletto è una nuova prova che il codice stesso non era francese. Se ora noi esaminiamo le ultime righe del capitolo interpolato, troviamo che in esse già si trovano indizî che si ritorna al testo primitivo: per esempio le parole « scriueuano loro nomi in tauole d'oro, prima che elgij i nominasse al populo », non trovano esatto riscontro nella stampa, ma bensì nel Gaddiano: « sì scrivea li loro nomi in una tavola. d'oro, anzi che gli nominasse al minuto popolo ». E con quest'ultimo va di nuovo completamente d'accordo, tranne le solite volute varianti, il tratto che segue subito dopo:

Gaddiano

... Allora fue abattuta la dingnità derreame e fuorono chiamati due produomeni, che fosse[ro] sopra li sanatori e ched egliono consigliassero la cittade e fossono mutati ciascheduno anno, acciò che quello rimovimento a llor togliesse cagione di mal fare o di montare in argollio. L'uno si tramettea di consigliare Roma dentro dala cittade, l'altro si tramettea consigliare fuori di Roma, sicome delle battaglie ordinare. Questi si erano chiamati consoli e questa fu la prima dingnità dopo li re, ma nullo potea mantenere si lealmente quella dingnitade che vi potesse stare più d'uno anno.......(1)

(1) F. 1 cd.

Cesariano

Como de prima se elessero li Consuli in Roma. Capitulo 2.

Abatuta in Roma la Signoria

de Re forono electi sopraconsuli dui sopra lo officio del Senato al gouerno de la Citade. Et durauano in loro officio solamente vno anno: & questo renouamento faceuano a cio che non hauessero cagione de montare in superbia. Et 1 uno de li dicti consuli attendeua a gouernare la cita dentro: & 1 altro ne li facti communi de fori: ordinando le batalgie. Et questa fu la seconda dignitade de Roma: & dapo li Re nullo pote mantenere si lealmente quello officio & dignita: che piu de vno anno durasse...

Non c'è nessun motivo per credere che più tardi la nostra redazione fosse abbandonata o che si ritornasse ai Fatti stampati. Noi non abbiam modo di proseguire più oltre la comparazione: tuttavia, chi si valga pel raffronto e del tratto riportato dal Banchi, riguardante le insidie di Catilina e il ritratto di Sempronia, e di quello sulla divisione delle Gallie comunicato dal Meyer (1), troverà che sebbene nel primo le varianti del Cesariano si facciano più gravi, tuttavia le traccie della prima fonte si trovano sempre, mentre mancano affatto quelle di S. Infine dall'indice dei capitoli appare che il racconto delle guerre galliche è nel Cesariano sviluppatissimo, comprendendo non meno di 42 capitoli sui 107 di cui il libro si compone, il che, mentre esclude che si sia attinto al magro e mal fatto riassunto di S, non si oppone punto alla nostra affermazione che la fonte si debba cercare nella redazione R1 (2).

(1) Riporterò il passo corrispondente del Gaddiano, affinché chi voglia possa confrontarlo col testo francese e col Cesariano, riferiti entrambi dal Meyer. < Francia era molto grande al tempo di Julio Cesari ed era divisata in tre parti. Li Franceschi che abitavano inn una delle parti era chiamata Belgue quegli della seconda parte era chiamata Pocovino o Auquítani, ch'è ttutto uno, e quegli della terça parte erano chiamati Celte. Queste tre maniere di Franceschi non ierano mica d'uno lingnaggio nè d'uno modo di vivere. Li Belgue erano li più forti a quello tenpo: gente erano sanza solazzo e sanza conpangnia, perciò che lunge erano da altra gente né gente d'altre terre non vi veniano guari tra loro, che aportasseno cose di disdotto che (e) li cuori della gente amollavano alcuna volta. Vicini erano de Fesensi (1. Sesnensi) oltra lo Rino: tuttavia avea battaglie tra loro e ttutto giorno correa l'uno sopra l'altro...».

(2) I1 MEYER, loc. cit., p. 38, accennò ad un cod. Canoniciano di Oxford, il num. 125, la cui prima parte corrisponderebbe al Cesariano assai bene. Esso apparteneva alla preziosa Biblioteca Soranzo, pur troppo andata dispersa, della massima parte dei cui codici si formò appunto il fondo Canonici della Bodleiana: infatti nel catalogo di quell'antica, Biblioteca, che si conserva manoscritto uel cod. Marc. It. X, 137-38-39, si trova registrato sotto il num. 513, secondo rilevo dagli appunti del mio ottimo Vittorio Rossi. Dalla descrizione del MORTARA, Catalogo dei mss...canoniciani italici..., col. 140, appare che il detto cod. è del sec. XV, in foglio, di 79 carte scritte, delle quali le prime due contengono la Tavola, le 42 seguenti il Sallustio, le altre il Lucano. Confrontando le prime righe di esso con le corrispondenti del Cesariano l'accordo è veramente grande: « Ciaschuno huomo a chui dio ha dato ragione et itendimēto si die apenare ch no guasti il tempo stando hoçioxo e che no viua chome bestia ... Noi supponiamo adunque che questo codice oa meglio dire la sua prima parte, della quale sola ora parliamo appartenga alla medesima redazione che il Gaddiano, ma ad un gruppo diverso, che non è rappresentato nelle

CAPITOLO II.

RIFACIMENTI DEI FATTI DI CESARE (1).

§ 1. L'INTELLIGENZA.

Le ottave 77-215 dell' Intelligenza contengono, come è noto, una lunga storia di Cesare, la quale, secondo fu mostrato dal Banchi e dal Bartoli (2) ed in ultimo, con diffu

Biblioteche fiorentine, ma fornì l'originale della stampa veneta: infatti la lingua stessa offre un tipo dialettale somigliante, e i capitoli sono, secondo il catalogo Soranzo, 109, corrispondendo abbastanza bene ai 107 del Cesariano. Il Cesariano ha però una didascalia iniziale più completa e più vicina all'originaria che non sia quella del cod. Canonici: ciò serve se non altro a levare il sospetto che questo fosse proprio l'originale della stampa. Ma almeno contiene esso l'interpolazione di un passo della redazione 8, che in quella abbiamo trovato? Sarebbe interessante il saperlo. — Se ci volgiamo ora alla seconda parte del codice, ci avvediamo d'un fatto curioso: il principio che ne riporta il Mortara, non corrisponde già al principio della seconda parte del cod. Gaddiano o dei suoi affini, ma bensì a quello di S: « Chontasi in questo libro primo de luchano che Ce. si penso di riuenire a Roma cho tutto sno sforzo, dove, più ancora della stampa, va raffrontato qualcuno dei codd. di essa, per es. il Magliab. Palch. II 49, f. 28 : « Racontasi in questo [prímo] libro di Lucano come Cesare si pensò di venire a Roma con tutto suo sforzo ». Per R1 cfr. qui sopra, p. 350. Anche la fine è identica a quella di S medesimo, non essendo altro che la fine del secondo asterisco, il quale sappiamo non trovarsi che ivi: « E poy si mise quello serpente ala mamella mancha per mel chuore E chusi morio amen ». Tutto ciò parrebbe provare che la seconda parte del nostro codice appartiene proprio alla redazione stampata e che quindi essa non è unita colla prima se non incidentalmente e fu tratta da un codice diverso. Qui ricorderò anche un altro cod. Canoniciano, il num. 136, del quale, oltre la breve descrizione del MORTARA, si ha qualche cenno più esteso dal GRAF, op cit., I, 288 in nota. Faceva parte esso pure della Biblioteca Soranzo ed è registrato nel catalogo sotto il num. 511. Io non son riuscito a farmene un'idea chiara: il principio arieggia, benché più ampio, al principio della redazione stampata, ma certo è diverso ciò che si dice sul rumore levatosi in Roma per la morte di Cesare. Il suo titolo nel catalogo Soranzo è: « Storia delle battaglie Romane cominciando da Giulio Cesare con la serie dei seguenti imperatori fino al 1320 » e l'ultima riga: « mentre ponesse lo regno de zezillia ». Per altre indicazioni si vegga il Graf.

(1) Non fa bisogno ch'io avverta come sotto questo titolo comprenda tutte le redazioni italiane e, dove ce ne fosse bisogno, anche la francese.

(2) BANCHI, op. cit., p. XLV sgg. e 351 sgg.; BARTOLI, I due primi secoli della letteratura italiana, Milano, 1872, pp. 251-52, e di nuovo in Storia d. letter. itul., II, pp. 325-28. Gli altri non pochi che accennarono ai Fatti come una fonte dell' Intelligenzo, fecero per lo più gravi confusioni.

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