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I sonetti doppi di questa prima forma sono 32. Eccone uno di Guittone (n.° III):

O benigna, o dolce, o graziosa,

o del tutto amorosa

madre del mio signore, e donna mia,
ove fugge, ove chiama, o'sperar osa
l'alma mia bisognosa,

se tu, mia miglior madre, haila in obbria?

Chi se non tu misericordiosa?

chi saggia, o poderosa,

o degna in farmi amore o cortesia?
Mercè dunque, non più mercè nascosa
ne paia in parva cosa;

chè grave in abondanza è carestia,

nè sanaria la mia gran piaga fera

medicina leggera.

Ma se tutta si fera e brutta pare,

sdegneraila sanare?

Chi gran mastro, che non gran piaga chera?

Se non miseria fusse, ove mostrare

si poria, nè laudare

la pietà tua tanta e sì vera?

Conven dunque misèra,

a te, Madonna, miserando orrare.

B) Esempi della seconda forma: Pucciandone Martelli VAL. 1, 467; Dante FRATICELLI pag. 75 e 77 e CASINI, Giorn. stor. d. lett. it. II, 341-42; Cino da Pistoia FANFANI pag. 162 *; Lapo Saltarelli DEL LUNGO pag. 329; Boccaccio, il terzo dei sonetti preposti all'Amorosa Visione (con coda di cinque versi); Tommaso di Giunta pag. 13 e RENIER, Fazio p. CCXCI, (con un verso di coda); Adriano WIESE n.° 72 e la risposta di frate Antonio da Pisa, ibid. (tutti due con un verso di coda); Agnolo Torini C. PAOLI, Della Signoria di Gualtieri Duca d'Atene pag. 197 (con tre versi di coda) e ZAMBRINI, Propugnatore Tomo XIV, Parte I, pagg. 440 e 441 (tutti due con coda di due versi); Conciliato d'Amore n. IX e X, e XXI

e XXII (tutti quattro con un verso di coda). Niccolò Soldanieri Cod. Laur-red. 151 c. 88a e 88° e Francesco di messer Simone Peruzzi, ibid. c. 88 (tutti tre inediti e con un verso di coda). Strano nella seconda parte può sembrare il sonetto doppio di Lapo Gianni VAL. II, 104, il cui schema è:

A a B Bb A. A a B Bb A: Cd DD. Dd DC. [EE (1).

La singolarità di questo schema dipende, come ognun vede, da ciò che nelle volte sei versi consecutivi sono sulla medesima rima, e il settenario della prima volta rima coll'endecasillabo che gli sussegue, mentre nella seconda rima con quello che gli sta innanzi. Lo schema è singolare, ma non irregolare. Gli sta a base lo schema di sonetto semplice che vedemmo essere stato usato una volta da Ser Onesto e da Cino da Pistoia (cfr. più indietro gli schemi dei terzetti su due rime, lettera :).

Gli esempi di questa seconda forma sono 22. Eccone uno di Dante:

O voi, che per la via d'Amor passate,

attendete e guardate

s'egli è dolore alcun, quanto 'l mio, grave:

e priego sol, ch'audir mi sofferiate;

e poi immaginate

s'io son d'ogni tormento ostello e chiave.

Amor non già per mia poca bontate,

ma per sua nobiltate,

mi pose in vita sì dolce e soave,

ch'io mi sentia dir dietro assai fiate:

Deh! per qual dignitate

così leggiadro questi lo cor have?

Ora ho perduta tutta mia baldanza,

che si movea d'amoroso tesoro :

ond' io pover dimoro

in guisa, che di dir mi vien dottanza.

(1) Il segno serve qui e in seguito a dividere la coda dal sonetto a cui appartiene.

Sicchè, volendo far come coloro,

che, per vergogna, celan lor mancanza,
di fuor mostro allegrezza,

e dentro dallo cor mi struggo e ploro.

§ 2. FORME SECONDARIE.

Chiamo secondarie le forme che mostrano di essere direttamente derivate dalle forme normali, e che come queste sono o si possono considerare come divisibili in due piedi e due volte. In che esse differiscano dalle forme normali apparirà dalle distinzioni che ora faremo.

a) È differente il numero e la disposizione delle rime. Conciliato d'Amore n. VII e VIII

AbCCb A. AbCCbA: DeFfE. DfEeF[F

Gidino da Sommacampagna e Francesco Vannozzo GRION Prefazione al DA TEMPO pag. 23 e 24

AbCAbC. AbCAbC: DEfG. DEfG

Lapo degli Uberti VAL. II, 242

AbCAьC. AbCAbC: DEfD.

EEfE

P) È alterata anche la struttura della prima o della seconda parte o di tutte due le parti del Sonetto doppio di una delle forme normali.

Dino Compagni DEL LUNGO pag. 327

A a BA a B. AaB Aa B: CDDC. DCCD

Nelle volte dunque è endecasillabo anche il verso che nello schema normale è settenario.

Anonimo VAL. II, 159

a BCaBC. a BCaBC: DeFG. DeF G.

E qui il primo verso di ciascuno dei quattro terzetti in cui si scompongono i piedi è settenario invece di endecasillabo ed è endecasillabo invece il secondo.

Studi di Alologia romanza, IV.

Panuccio del Bagno VAL. I, 389

ab Aba B. ab Aba B: CddC. Cdd C.

Qui invece sono settenari tutti due i primi versi dei terzetti dei piedi, e in ciascuna delle volte, che sono di quattro versi, abbiamo non uno ma due settenari. Notevole anche che le due rime dei piedi si succedono con regolare alternazione. Valga questo medesimo sonetto come esempio della sottovarietà.

Lasso di far più verso

son, poi veggio ogni uom manco
d'amore far tuttor del dritto inverso:

chè qual ten' uom più franco

di lealtate, perso

tosto fa sé veder, se può del bianco.

Che donna nè converso

non sol cor aggia stanco

di ciò pensare e fare, ond'è ben perso,
sicchè virtù non branco,

può dire anzi l'avverso

leal uom non sì l'ha preso per lo fianco;

Islealtate, inganno, ch'ognor monta,

e lo mondo governa;

sicch' a quella lanterna

vuoi gire ogni uomo, ed in ciò far si ponta,

tanto ch'obbriat' hanno la superna

membranza, dove l'onta

e 'l ben d'ogni uom si conta,

e di ciascuno han merto in sempiterna.

Soltanto il primo verso di ciascuna volta è endecasillabo, gli altri sono tutti settenari nel son. anonimo VAL. II, 18, di cui lo schema è

abc, abc. abc, abc: Defg. Defg.

E colla medesima disposizione delle rime, ma con D=d, cosicché tutti i versi sono settenari, il son. di Noffo d' Oltrarno VAL. I, 160 e quello di Guido Orlandi VAL. II, 260.

7) Un'ulteriore modificazione è rappresentata dal seguente componimento di Dino Frescobaldi, che appartiene certo alla famiglia del Sonetto doppio. MANZONI n.° VI

Quant[a] nel meo lamentar sento dogl[i]a

e pena molt' altrove,

tanta k'io non so dove

i' offendesse amore k' el mi f[a]ce....

Ancor ke sua possanza a molti dogl[i]a,
i' son quelli in ku' piove

fere gravezze e nove,

k'ogni possanza iu lor esser li piace

E quel dixio dell' amorosa dogl[i]a
k'i' porto, non si muove.

Dunque le dure prove

d'amor[e] mi tolgon molto di(o) p(i)ace.

Ke de la mente, non più k' ella so[gli]a
morte mi si rimove,

la qual mia vita smove

d'ogni valor che llei strugg' e disface.

I'ò per lei nel cor tanta paura

e tant' angoscia e si grave dolore,

ke la sua potestate

m' à tolto libertate

di vedere ove la mia donna sia.

E qual delli mei spiriti la dura,

et qual per troppa gravitate more
in questa nimistate,

e qual per sua viltate

esce di me, per campar fugge via.

Lo schema dunque è:

Abb C, Abb C. Abb C, AbbC: DEffG. DEffG.

Questo non è altro che un ampliamento dello schema che vedemmo indietro usato da Gidino e dal Vannozzo (cfr. la rubrica a di questo stesso paragrafo), e l'ampliamento si risolve nel raddoppiato numero dei settenari.

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