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VIII. QUALITÀ E CONDIZIONE DELLA RIMA.

La rima' di norma è parossitona (piana). Della rima proparossitona (sdrucciola) sono rarissimi gli esempi nel secolo XIII, e scarseggiano anche nel XIV; lo stesso deve ripetersi della rima ossitona (tronca). L'uso di queste due ultime specie di rime nel Sonetto è sempre tanto o quanto artificioso, e perciò ne raccoglieremo gli esempi più avanti, nel Capo IV, dove discorreremo anche degli altri artifici.

La rima nel Sonetto come nella lirica d'arte in generale, è ordinariamente perfetta. Tale asserzione si fonda sull'esame comparativo delle rime nei codici, ma sulla verità sua non potrebbe cadere alcun dubbio anche solo conoscendo le attestazioni in proposito degli antichi. Francesco da Barberino pone fra i vizi' l'imperfezione della rima (1), Pieraccio Tedaldi dice precisamente che le rime devono essere perfette, (2) Guido Cavalcanti rivolgendosi in tono ironico a Guido Orlandi gli riconosce l'abilità di usare false rime (3), e finalmente Antonio Pucci (4) espone nel modo seguente la legge della rima nella sua triplice varietà (tronca, piana e sdrucciola):

Se tu divari la comune usanza
rima in diece sillabe si vale
se una sola lettera vocale
perfettamente fa la consonanza.

Se d'undici vuoi far senza fallanza

fa che ogni verso sia di piedi uguale:

due lettere vocal 'tien per segnale

coll' altre che fra lor fan dimoranza.

(1) Op. cit. pag. 94, vizio xij: non saltem in tribus licteris cum intervenit consonans concordare, vel in duabus cum simul sunt consonantibus (sic) in fine rimarum. Vedi anche la nota posta a questo passo dall'editore.

(2) Nel più volte citato sonetto sul Sonetto, v. 10 « e le rime perfette vuole avere ». (3) Son. XXX, vv. 4 e 8 « Perché succiate e trar quadrelli e false rime usare » (4) L'arte del dire in rima son. III.

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Se 'n dodici facesse recadute

tre lettere vocal 'similemente
tien pel secondo modo provvedute,

sì che ciascuna sia nel dir corrente,
che quando per altrui seran vedute
ti porti pregio di rimar la gente.

Disputa con color che son più savi

a ciò che ciaschedun d'error ti cavi.

La rima dunque di norma doveva essere perfetta, ma non mancano anche esempi di semplici assonanze e consonanze, la precisa determinazione delle quali richiederà uno studio speciale, che per riuscire a risultati ben sicuri e precisi vorrà essere condotto con molti più accorgimenti che forse sulle prime non paja. Qui intanto ci contenteremo di poche osservazioni. E cominciando a parlare dalla consonanza, si può tener per certo che si verifica la legge formulata dal MONACI nella Riv. di fil. rom. II, 240, ma quale è l'estensione della sua applicazione? Questo sarebbe importante determinare.

Meno frequenti o anzi addirittura rari sono i casi di semplice assonanza, e, anche senza averli esattamente annoverati, spererei di non peccar d'imprudenza affermando che nelle raccolte da me spogliate il loro numero supererà difficilmente il doppio di quelli registrati qui appresso (1).

Guittone n.o 18 vv. 17 e 22 amante è amare (se il testo non è errato), n.o 166 vv. 2 e 4 ventre: valente (ma anche nell'antico toscano era possibile la forma valentre, come nei dialetti settentrionali, e così si ristabilirebbe la perfezione. della rima); Cecco Angiolieri CHIG. n.° 470 vv. 10 e 12 ritorta: otta, n.o 487 vv. 6 e 8 sembrate : carte, n.o 489 vv. 10 e 12 trovate tante; Ser Manno CHIG. n.o 354, e la risposta di Paolo Zoppo CASINI pag. 124 vv. 2 e 4 modo: domo; Monte

(1) Non tenendo conto, s'intende, degli esempi illusori che dipendono da guasti più o meno evidenti del testo.

Andrea D'ANC. n.o 662 vv. 12 e 15 protesto: amaestro; anonimi D'ANC. n.o 367 vv. 10 e 13 fare: pietate, n.o 680 vv. 9 e 11 speranza intenza (ma non è escluso il sospetto che la lezione del v. 9 non sia la primitiva; esso è mancante di una sillaba), CHIG. n.o 334 vv. 1, 3 e 5 mondo: piombo funno, CASINI pag. 145 vv. 2 e 4 ragione: colore; Francesco da Barberino Doc. d'Amore pag. 376 vv. 9 e 12 scura: aclusa; Dino Compagni DEL LUNGO pag. 350 vv. 10 e 14 vetro: Pulicreto; Ugolino Buzzuola Vol. II, 256 vv. 13 e 14 sortita: oblica; Loffo Bonaguidi VAL. II, 261 vv. 11 e 13 rivenuto : punto; Giovanni Quirini MORPURGO, Rime inedite ecc. son. XXII, vv. 10 e 11 morte ponte; Ventura Monaci (son. doppio) in Rime di Matteo Frescobaldi pag. 76 vv. 19 e 20 rinfresca : nespa; Benuccio da Orvieto ALLACCI pag. 81 vv. 11 e 14 velo: intero; Andrea Orcagna TRUCCHI II, 31 vv. 14 e 15 scorpione: piove. Dei vari artifici della rima ci occuperemo nel capo quarto.

CAPO III.

DI UN USO SPECIALE DEL SONETTO

IN RELAZIONE COLLA SUA FORMA.

(Il Sonetto in funzione di strofa)

6

Il Sonetto è un componimento compiuto in sé stesso, e tra le forme dell'antica poesia italiana si può dire che tenga il luogo della cobla esparsa' dei provenzali. Così si spiega l'uso rarissimo che presso di noi fu fatto della stanza della Canzone come componimento a sé. Del Sonetto per altro si fece anche un uso che si avvicina molto a quello della vera strofa, la quale si ripete un numero indeterminato di volte in un medesimo componimento.

In questo capo tenteremo appunto di determinare approssimativamente l'estensione di quest'uso, indicandone anche i casi e i modi particolari.

Ad imitazione della poesia provenzale anche nell'antica poesia italiana si trova la Tenzone (1). Per altro differentemente dalla Tenzone provenzale nell'italiana le strofe non sono sempre uguali a quelle della Canzone, ma possono essere anche sonetti. Le serie di sonetti a dialogo sono appunto intitolate tenzoni nel codice Vaticano 3793 (2), e il nome tenzone e il verbo tenzonare e la locuzione star a tenzone compariscono negli stessi sonetti (3).

Si sa che due sono le maniere della Tenzone provenzale, secondo che essa è fattura di due o più rimatori contendenti o di un solo rimatore che immagina un dialogo. In altre parole la tenzone può essere reale o finta (4). Tutte due le maniere sono rappresentate nella poesia italiana, e la seconda anzi più largamente che in Provenza.

D'ordinario i dialoghi della seconda maniera hanno luogo. fra l'uomo e la donna di cui è innamorato, e non sono in fondo che variazioni del noto tema della poesia popolare che si svolge nel componimento conosciuto in Sicilia col nome di Tuppi-tuppi. Perciò ci pare opportuno di chiamare questi dialoghi d'indole popolare contrasti (5), e di riserbare

(1) Sulla Tenzone o meglio sulle poesie a dialogo in genere nella poesia provenzale si vegga specialmente: L. SELBACH, Das Streitgedicht in der altprov. Lyrik, Marburg, Elwert, 1886, e H. KNOBLOCH, Die Streitgedichte im Provenzalischen und Altfranzösischen, Breslau, Korn, 1886.

(2) Sopra alcuni sonetti è scritto Tenzone 11, Tenzone IV, Tenzone X ecc., e vuol dire che la tenzone che segue si compone di due, di quattro o di dieci sonetti ecc., come fu già avvertito da altri.

(3) Guittone son. 108, vv. 9-11 « Ma io vorrebbi, lassa, essere morta | quando con uomo, ch'i' l'ho disdegnato, | come tu se' tale tencion fatt'aggio». E Lapo Saltarelli VAL. II, 434 v. 9 « Or donqua come deggio i'tenzonare | teco che porti degli amanti fiore?». E Guittone son. 105 vv. 1 e 2 « Certo, o mala donna, malo accatto | farebbe lo meo star teco a tencione ». E similmente Monte Andrea D'ANC. n.0 669 vv. 1 e 2 « Assai mi pesa ch'io così m'infango | con voi stare a tenzon, be' lo vi dico». (4) Vedi KNOBLOCH, op. cit. pag. 13 e sgg.

(5) Il Da Tempo non parla del Contrasto, del quale invece tratta Gidino, che così lo definisce (op. cit. pag. 223-24); contrasto ee, quando duy compagni cantando parlano l'uno contra l'altro de una medesima materia. E lo primo che comincia ee appellato opponente e lo secondo ee appellato respondente. E l'uno tene la sua oppinione per una de le parte, e l'altro responde e tene una opposita oppinione per una altra parte, a modo de una disputança, e caschaduno de loro canta una stancia de lo dicto contrasto.

Il nome poi di Contrasto, come è noto, è sempre usato nella poesia popolare.

agli altri il nome di tenzone, quantunque non si possa dire ben proprio, svolgendosi il più delle volte il dialogo pacificamente senza alcun vero alterco.

Dall'uso di collegare fra loro due o più sonetti per mezzo del dialogo a quello di collegarli anche senza questo mezzo è breve il passo.

E troviamo infatti già nel secolo XIII parecchi esempi del Sonetto adoperato come parte di un più lungo componimento.

Distingueremo dunque il presente capo in tre capitoli, discorrendo partitamente delle Tenzoni, dei Contrasti, e delle Serie o Corone di sonetti.

1. TENZONI.

Prima che ci facciamo ad esaminare le tenzoni non saranno superflui alcuni cenni sui nomi che si davano ai sonetti che le componevano secondo che appartenevano all'una o all'altra delle parti tenzonanti. I nomi più comuni erano quelli che sono anche i più naturali: proposta e risposta. Questo secondo nome trovasi scritto sopra i sonetti di risposta in parecchi codici, e già nel Laur.-red. IX, 63. Invece i sonetti di chi apre il dialogo non portano alcun nome che accenni alla loro relazione coi sonetti che seguono, essendo questa relazione indicata più che a sufficenza dall'invio di ciascuno di questi sonetti al rimatore di cui segue la risposta. Soltanto nel Palatino 418 al n.° 144 troviamo scritto « Questione di messer gonella degli anterminelli da lucca », e nel codice Padovano a c. 36 « Missiva dñi petri de la rocha ad F. V. ». Per altro il nome proposta era certo del linguaggio dell'arte, come si apprende dai due seguenti esempi, che sono i soli che io sappia citare, ma che bastano a provare la mia asserzione. Uno dei precetti che Pieraccio Tedaldi dà nel suo sonetto sull'arte del Sonetto (n. XXVI) è « dir bene alla proposta il suo dovere », e la risposta di un ferrarese al sonetto di Francesco di Vannozzo contro Ferrara, comincia:

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