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PIETRO BEMBO.

SOGNO, che dolcemente m' hai furato A morte, e del mio mal posto in obblio, Da qual porta del ciel cortese e pio Scendesti a rallegrar un dolorato ?

Qual angel ha lassù di me spirato,

Che sì movesti al gran bisogno mio ?
Scampo allo stato faticoso e rio

Altro che 'n te non ho, lasso, trovato.
Beato se' ch' altrui beato fai,

Se non ch' usi troppo ale al dipartire,
E'n poc' ora mi toi quel che mi dai,
Almen ritorna, e già che 'l cammin sai,
Fammi talor di quel piacer sentire,

Che senza te nou spero sentir mai.

PIETRO BEMBO.

PON, Febo, mano alla tua nobil arte,
A i sughi, all' erbe, e quel dolce soggiorno
De' miei pensier, cui piove entro e d'intorno
Quanta beltà fra mille il ciel comparte,

Ch' or langue, e va mancando a parte a parte, Risana e serba: a te fia grave scorno,

Se così cara donna anzi 'l suo giorno

Dal mondo, ch' ella onora, si diparte.

Torna col chiaro sguardo, ch'è il mio Sole, La guancia, che l'affanno ha scolorita, A far seren, qual pria, delle vostre ugge, E sì darai tu scampo alla mia vita, Che si consuma in lei, nè meco vuole Sol un dì sovrastar s' ella sen fugge.

* Ombre.

PIETRO BEMBO.

QUELLA che co' begli occhj par che invoglie Amor di vili affetti, e pensier casso,

E fa me spesso quasi freddo sasso,

Mentre lo spirto in care voci scioglie ;
Del cui ciglio in governo le mie voglie

Ad una ad una, e la mia vita lasso;

La via di gir al ciel con fermo

passo

M' insegna, e 'n tutto al volgo mi ritoglie.
Legga le dotte ed onorate carte,

Chi ciò brama; e per farsi al poggiar ale,
Con lungo studio apprenda ogni bell' arte;
Ch' io spero alzarmi ov'uom per sè non sale,

Scorto da i dolci amati lumi, e parte

Dall suono all' armonìa celeste eguale,

PIETRO BEMBO.

LIETA e chiusa contrada! ov'io m'involo
Al vulgo, e meco vivo e meco albergo,

Chi mi t'invidia, or che, i Gemelli a tergo
Lasciando, scalda Febo il nostro polo?

Rade volte in te sento ira, nè duolo,
Nè gli occhj al ciel sì spesso e le voglie ergo,
Nè tante carte altrove aduno e vergo,

Per levarmi talor, s' io posso a volo.

Quanto sia dolce un solitario stato,

Tu m'insegnasti, e quanto aver la mente
Di cure scarca e di sospetti sgombra.

O cara selva, o fiumicello amato !

Cangiar potess' io 'l mare, e il lito ardente, Con le vostre fredd' acque e la verd' ombra!

LODOVICO ARIOSTO.

QUELL' Arboscel che 'n le solinghe rive
All'aria spiega i rami orridi ed irti,

E d'odor vince i pin, gli abeti, e i mirti,
E lieto e verde al caldo e al ghiaccio vive;
Il nome ha di Colei che mi prescrive
Termine e leggi a i travagliati spirti,
Da cui seguir non potran Scille o Sirti
Ritrarmi, o le brumali ore, o estive:

E se benigno influsso di pianeta,

Lunghe vigilie, od amorosi sproni

Son

per condurmi ad onorata meta,

Non voglio (e Febo e Bacco mi perdoni)

Che lor frondi mi mostrino Poeta,

Ma ch' un Ginebro sia che mi coroni.

L

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