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BERNARDINO ROTA.

QUESTA Scolpita in oro amica fede,
Che santo Amor nel tuo bel dito pose,
O prima a me delle terrene cose

Donna, caro mio pregio, alta mercede !
Ben fu da te serbata, e ben si vede

Ch' al commune voler sempre rispose
Dal dì che'l ciel nel mio pensier t'ascose,
E quanto potè dar, tutto mi diede.

Ecco ch'io la t'involo, ecco ne spoglio Il freddo avorio che l' ornava, e vesto

La mia, più assai che la tua, mano esangue.

Dolce mio furto! finchè vivo, io voglio Che tu stia meco; nè ti sia molesto

Ch' or di pianto ti bagni, e poi di sangue !

BERNARDINO ROTA.

In lieto e pien di riverenza aspetto,
Con vesta di color bianco e vermiglio,
Di doppia luce serenato il ciglio,

Mi viene in sonno il mio dolce diletto,

Io me l' inchino, e con cortese affetto Seco ragiono e seco mi consiglio, Com' abbia a governarmi in quest' esiglio, E piango intanto, e la risposta aspetto. Ella m'ascolta fiso, e dice cose

Veramente celesti, ed io l' apprendo

E serbo ancor nella memoria ascose.

Mi lascia alfine e parte, e va spargendo

Per l'aria nel partir viole e rose;

Io le porgo la man, poi mi riprendo.

ANGELO DA COSTANZO.*

DEL Re de' monti alla sinistra sponda, Ov' ancor Borea e 'l verno è sì possente, Che nè cantare alcun augel si sente,

Nè spuntar per

li colli erbetta e fronda;

Piango il mio duro esilio, e la gioconda

Vita passata, e le speranze spente;

E la cagion del mio viver dolente

Chiamo sempre, e non è chi mi risponda. Sol un conforto trovo in tanta pena, Che 'n ogni parte, ove 'l dolor mi spinga, Dal desio di morir l'anima affrena;

Chè non è valle, o piaggia sì solinga, Che ne' tronchi, ne' sassi, e nell' arena

Amore agli occhj miei non la dipinga.

TOM. III.

Maestro di nova Scuola in Poesia.

S

ANGELO DA COSTANZO.

Non ti nasconder più, Spirto divino ;
Chè già traspare il tuo lume celeste
Fra la testura di sì nobil veste,

Qual lampa in vasel puro e cristallino.

Nè più molli i begli occhj, e 'l viso chino

Portar, per far a noi creder che queste
Percosse di Fortuna aspre e moleste

Turbin l' animo eccelso e pellegrino;

Chè di tua Deità sicuro e certo

Ti sacra il coro de' poeti un tempio,

Benchè minore assai del tuo gran merto.

Nel qual, s' io pur il mio dover non empio,

Scusimi, Amor, che di mia vita incerto

Mi tien nel carcer suo crudele ed empio.

ANGELO DA COSTANZO.

NELL' assedio crudel che l'empia sorte

Mi tiene, a tal che l' alta impresa io lasce,
Benchè manchi la vista onde si pasce

Per gli occhj, non però l'alma è men forte.
Perchè le viene ognor per altre porte
Quell'immagin gentil che dalle fasce
Le diede il ciel per cibo, onde rinasce
In lei 'l vigore, e sprezza ognor la morte.
Nè insidie umane mai, nè caso avverso
Potranno avere in lei cotanta forza

Ch'ella si renda, e ch' abbia a mutar verso.
Chè quanto dell' inferma afflitta scorza
Di fuor abbatte il mio destin perverso,
Tanto dentro il pensier salda e rinforza.

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