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E mi senta spogliar del vostro lume.
Comprendo allor vostro celeste dono;

E veggio allor ch' io sono

In man del fermo universal destino,

Onde ritorno all'ombra

Col mio povero gregge;

E sol quest' alma ingombra

La beltà di due ninfe,

Che il rio volgo sinor non ha vedute,

E deguano sovente

Nella capanna mia di porre il piede;

Queste, che intorno al cor mi son venute,

Son figlie degli Dei, Gloria e Virtute.

ALESSANDRO GUIDI.

CANZONE.

Al Signor Cardinale GIUSEPPE RENATO IMPERIALI.

Roma non mai soggiogata dal Tempo.

OSE l'ombra di Ciro

Lungo l' Eufrate oggi movesse il piede!

Fuor dell' antica sede

Babilonia vedria pianger sul lito;
Vedria le reggie dell' Impero Assiro
Per ermi campi inonorate e sparte,
El' ampie mura di splendore ed arte
Oggi d'Arabe insidie orrido albergo;

Chè tanto può colui, che armato il tergo

Di vanni eterni su per l'alta mole

Sta

sempre

al fianco a i corridor del Sole !

Egli è colui che quà giù spinge gli anni, Ei lor rapidi sdegni,

Onde transforma la sembianza a i regni,

E cangia sede a i mari.

Ma qualor volge il ciglio

All' Avventino, al Tebro,

Tutto l'orgoglio suo vede in periglio;

E ver sè stesso e il suo poter s'adira, Pensando che a domare indarno aspira Roma, che prende ogni gran piaga a gioco, E dal cenere ancor s' erge superba;

E così ei vede farsi,

Con suo tormento e scherno,

Delle glorie Latine un giro eterno.

Già non pensaro i secoli feroci,

Allor che vider del real bifolco

Girar qui intorno l'animoso aratro,

Che dal negletto solco

Sorger dovesse la fatal nemica.

Quindi dell'ira lor l'alta fatica

Incominciaro, e le dier tanta guerra,

E quando visse in regie spoglie accolta,

E quando alto sostenne

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Il piè degli anni irato,

E quante sul Tarpeo moli famose

A terra sparse, e in cieca notte ascose!

Nè stanco, o sazio di recare affanno,

Il fero Veglio alato ancor congiunse
L'ira de' Goti alle stagion crudeli;

E la Donna del Mondo a tal poi giunse,
Che il crin s'avvolse entro i funesti veli.
Non però da viltà prese consiglio,

Non di pianto portò le guance asperse, Ma tacita nel seno

L'orme del ferro e dell'età sofferse ;

E talora mirò le sue sventure,

Come leon che con terribil faccia

Guarda le sue ferite, e altrui minaccia.

Speravan gli anni di mirare estinto

Di Roma alfine lo splendore e il nome ; Poichè nel Vatican, cinta le chiome,

Seder vedean sul trono

Della Virtute antica,

Altra placida e lenta,

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