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ORSATTO GIUSTINIANO.

NOBIL figlia d'Apollo amata e cara,
Il cui bel nome già nel mondo sona,

Mentre a noi dal santissimo Elicona
Vena spargete così dolce e chiara ;

Deh se vostra beltà, più ch' altra rara, Renda eterna il Signor che 'l tutto dona, All' alta brama che m' accende e sprona Non siate mai del vostro canto avara.

Chè sì strana dolcezza al cor mi piove Da' vostri accenti ch' ogni amaro obblio, Nè l'armonia del ciel invidio a Giove;

E s'anco giunta al fin del viver mio L'alma s'alzasse per vola e altrove,

L'affreneria d' udirvi il sol desio.

ORSATTO GIUSTINIANO.

Tu, pur col fin per me solo infelice

Quinci partendo in pena aspra ed amara, Madre, mi lasci, e tra quell' alme rara Or ti rinnovi in ciel vera Fenice?

Ahi! che qui pur vederti a me non lice,

Nè più teco sperar tranquilla e chiara

Vita, o la voce udir tanto a me cara,

Che fu del viver mio norma felice.

Ben mi vedrai tu spesso afflitto e lasso, Pien di lagrime gli occhj, e 'l cor tremante Presso alla tomba tua fermar il passo;

Ove, finto nel marmo il tuo sembiante, Baciando in vece sua que reddo sasso, Adorerò le tue ceneri sante!

GIOVANNI BATTISTA MARINO.

APRE l'uomo infelice, allor che nasce

In questa vita di miserie piena,

Pria ch' al Sol gli occhj al pianto, e nato appena

Va prigionier fra le tenaci fasce;

Fanciullo poi, che più non latte il pasce,

Sotto rigida sferza i giorni mena;

Indi in età, più fosca che serena,

Tra fortuna ed amor more e rinasce.

Quante poscia sostien tristo e mendico Fatiche e morti, infin che curvo e lasso Appoggia al debil legno il fianco antico! Chiude alfin le sue spoglie angusto sasso Ratto così, che sospirando io dico;

Dalla cuna alla tomba è un breve passo.

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GIOVANNI BATTISTA MARINO.

DEL Silenzio Figlio e della Notte!

Padre di vaghe immaginate forme,

Sonno gentil, per le cui tacit' orme

Son l'alme al ciel d' Amor spesso condotte!

Or che'n grembo alle lievi ombre interrotte Ogni cor, fuor che 'l mio, riposa e dorme, L'Erebo oscuro al mio pensier conforme Lascia, ti prego, e le Cimmerie grotte;

E vien col dolce tuo tranquillo obblio,

E col bel volto in ch' io mirar m' appago,

A consolar il vedovo desio :

Chè se'n te la sembianza, ond' io son vago,

Non m' è dato goder, godrò pur io

Della Morte, che bramo, almen l'immago.

GIOVAMBATISTA MARINO.

In Sepolcro di Sannazzaro presso a Virgilio.

Ecco il monte, ecco il sasso, ecco lo speco
Che'l Pescator,* che già solea nel canto
Girsen sì presso al gran pastor di Manto,
Presso ancor alla tomba accoglie seco!

Or l'urna sacra adorna e spargi meco,

Craton, fior dalla man, dagli occhj pianto; Chè del Tebro e dell' Arno il pregio e il vanto In quest' antro risplende oscuro e cieco.

Pon mente come (ahi stelle avare e crude!) Piange pietoso il mar, l'aura sospira,

Là dove il marmo avventuroso il chiude:

Fan nido i cigni entro la dolce lira,

E intorno al cener muto, all' ossa ignude,
Stuol di meste Sirene ancor s' aggira.

* Sannazzaro.

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