ALESSANDRO GUIDI. CANZONE. A FRANCESCo I. Duca VII. di Parma. Gli Arcadi in Roma.* O NOI d' Arcadia fortunata Gente, Che dopo l'ondeggiar di dubbia sorte, Noi qui miriamo intorno Da questa illustre solitaria parte L'alte famose membra Della Città di Marte. * L'ACCADEMIA DEGLI ARCADI fu instituita in Roma A.D. 1690. Mirate là tra le memorie sparte, Che gloríoso ardire Serbano ancora, infra l'orror degli anni, Delle gran moli i danni, E caldo ancor dentro le sue ruine Fuma il vigor delle virtù Latine! Indomita e superba ancora è Roma, Benchè si veggia col gran busto a terra; La barbarica guerra De' fatali Trioni, E l'altra, che le diede il Tempo irato, Son piene di splendor le sue sventure, E noi rivolti all' onorate sponde Del Tebro, invitto fiume, Or miriamo passar le tumid' onde Col primo orgoglio ancor d'esser reine Sovra tutte l'altere onde marine. Là siedon l' orme dell' augusto Ponte Ove stridean le rote Delle spoglie dell' Asia onuste e gravi; E là pender soleano insegne e rostri Di bellicose trionfate navi. Quegli è il Tarpèo superbo, Che tanti in seno accolse Cinti di fama cavalieri egregj, Per cui tanto sovente Incatenati i Regi De' Parti e dell' Egitto Udiro il tuono del Romano editto. Mirate là la formidabil' ombra Dell' eccelsa di Tito immensa mole, Quant' aria ancor di sue ruine ingombra! Quando apparir le sue mirabil mura, Quasi l'Età feroci Si sgomentaro di recarle offesa, E guidaro dai Barbari remoti L'ira e il ferro de' Goti Alla fatale impresa. Ed or vedete i gloríosi avanzi, Come sdegnosi dell'ingiurie antiche Stan minacciando le stagion nemiche. Quel, che v' addito, è di Quirino il colle, Ove sedean pensosi i Duci alteri, E dentro a i lor pensieri Fabbricavano i freni Ed i servili affanni A i duri Daci, a i tumidi Britanni. Ora il bel Colle ad altre voglie è in mano, Ed è pieno di pace e d'auree leggi, E soggiorno vi fan cure celesti: In mezzo a i dì funesti Spera solo da lui nove venture Affitta Europa, e stanca D'avere il petto e il tergo Entro il ferrato usbergo, In cui Marte la serra, e tienla il Fato. Magnanimo PASTORE, a te fia dato, Che sul bel colle regni, Entro il cor de' potenti Spegner l'ire superbe, e i feri sdegni. Quanto di sangue beve L'empia Discordia ancora, Ed a quante provincie oppresse e dome Volge le mani irate entro le chiome! Non serba il Vatican l'antico volto, Chè su le terga eterne Ha maggior Tempio e maggior Nume accolto. Scendere il vero lume or si discerne Su gli altari di Febo e di Minerva ; Nè già poggiaro in cielo |